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Nagoya: accordo per la biodiversità

Un ecologista giapponese in... divisa Reuters

Per il 2020 bisognerà proteggere almeno il 17% delle aree di terra e il 10% degli oceani. L'accordo raggiunto alla decima conferenza della Convenzione Onu sulla diversità biologica è un successo. Ma per il ministro dell'ambiente e le ong svizzere resta ancora molto da fare.

La conferenza di Nagoya si è chiusa il 29 ottobre con un risultato positivo. Al termine di una lunga maratona negoziale notturna si è deciso di lavorare per la protezione di almeno il 17% delle aree di terra e il 10% di quelle degli oceani per il 2020.

I nuovi obiettivi per giungere alla salvaguardia di ecosistemi e biodiversità in tutto il mondo sono meno ambiziosi di quelli auspicati alla vigilia della conferenza, quando c’era chi parlava di 25% per la terra e di 15% per gli oceani. Si tratta comunque di un buon accordo, che il ministro svizzero dell’ambiente Moritz Leuenberger ha definito «un successo enorme».

A un mese circa del vertice di Cancun, che dovrà discutere lo schema post-Kyoto, i risultati raggiunti in Giappone sono di buon auspicio. A Nagoya, i paesi firmatari della Convenzione Onu sulla diversità biologica hanno concordato anche i contenuti del protocollo internazionale sulla «condivisione equa dei benefici» legati all’uso delle risorse genetiche in prodotti come la medicina che era uno dei punti più controversi in esame.

Leuenberger: critica ai paesi industrializzati

Nel corso del suo ultimo appuntamento ufficiale – dal primo novembre sarà un ex consigliere federale – Moritz Leuenberger non si è lasciato sfuggire l’occasione per togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Davanti ai delegati di tutto il mondo (pochi, la sala era quasi vuota), il ministro dell’ambiente elvetico ha aspramente criticato la politica ambientale dei paesi industrializzati, Svizzera in testa.

Leuenberger ha invitato gli svizzeri a guardarsi allo specchio in materia di politica ambientale: «Quello che vi vediamo non è particolarmente rallegrante». Nella Confederazione c’è un «profondo amore della natura». Tuttavia – si legge nella versione scritta del suo discorso – «stiamo rovinando questa ricchezza». Il parlamento, ad esempio, ha recentemente deciso di allentare la protezione del lupo e rifiutato di ratificare i nove protocolli alla Convenzione delle Alpi.

Leuenberger ha esteso la critica a livello internazionale, denunciando l’incapacità di fermare il declino della biodiversità.

Nonostante ciò, il capo del Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni è soddisfatto dell’esito dei lavori in Giappone. È la prova che soluzioni consensuali in seno alle Nazioni Unite sono possibili e questo lascia ben sperare in vista del vertice di Cancun.

Una pietra miliare

Dal canto loro, le organizzazioni non governative (ong) elvetiche giudicano un «progresso» l’accordo di Nagoya. In un comunicato congiunto, la Dichiarazione di Berna, Pro Natura e l’Associazione svizzera per la protezione degli uccelli criticano comunque il testo perché gli obiettivi di biodiversità per il 2020 sono stati indeboliti e per il fatto che le decisioni sono solo parzialmente vincolanti.

Interrogato da swissinfo.ch, Friedrich Wulf di Pro Natura ha definito l’accordo «una pietra miliare» e ha sottolineato il ruolo attivo della Svizzera nella ricerca di soluzioni sia per quanto riguarda gli obiettivi per il 2020, sia per l’impiego delle risorse genetiche.

Secondo Wulf, ci si è invece mossi meno bene sulla questione dei finanziamenti, il terzo tema importante discusso a Nagoya. La Svizzera – così come altri paesi industrializzati – sostiene che prima di stanziare dei fondi è necessario conoscere quali mezzi finanziari sono necessari per lottare contro la scomparsa delle specie.

«È una situazione un po’ infelice», afferma Wulf. «Da un lato è chiaro che i paesi del sud non fanno i salti di gioia se si dice loro: “Dovete spiegarci esattamente di quanto avete bisogno e come volete impiegare il denaro che riceverete”. Dall’altro, la posizione dei paesi industrializzati è comprensibile. Tuttavia non rappresenta una buona base per dei negoziati», anche perché è più difficile calcolare quanto serve per difendere la biodiversità che, per esempio, quanto costano le misure contro il cambiamento climatico.

Per il rappresentante di Pro Natura, a Nagoya si sono fatti degli importanti passi avanti, ma il cammino è ancora lungo. «Abbiamo visto quanto sia semplice trovare delle somme enormi per salvare delle banche. Quando si tratta della biodiversità, le somme in gioco sono molto meno importanti, eppure trovare i finanziamenti è molto più difficile», conclude Wulf.

Secondo uno studio recentemente pubblicato dalla rivista Science, un quinto delle specie animali e vegetali sono minacciate di estinzione.

Mediamente, una cinquantina di mammiferi, uccelli e anfibi si avvicinano ogni anno all’estinzione, a causa della perdita di spazio vitale (aumento delle superfici edificate e coltivate), del disboscamento o degli eccessi venatori.

A ciò si aggiunge la lotta tra le specie, in particolare quelle indigene e quelle provenienti da aree geografiche diverse.

Sempre secondo i ricercatori, l’evoluzione avrebbe potuto essere anche più preoccupante, se non vi fossero stati gli sforzi di conservazione.

Lo studio in questione ha preso in considerazione circa 26’000 specie di vertebrati, inserite in una lista stilata dall’Unione per la conservazione della natura.

La Conferenza mondiale sulla diversità è iniziata il 18 ottobre 2010 – anno internazionale della biodiversità – a Nagoya, città portuale in Giappone. L’obiettivo era la definizione delle misure di protezione di specie e habitat naturali per i prossimi dieci anni.

I circa 200 Stati partecipanti erano chiamati ad adottare misure volte a frenare la scomparsa di specie e habitat naturali a livello mondiale. Finora, infatti, i tentativi di arrestare la perdita di biodiversità sono stati giudicati troppo poco efficaci, anche in Svizzera.

I negoziati si sono concentrati su tre temi: il piano strategico 2020, il protocollo concernente l’accesso alle risorse genetiche e il finanziamento delle misure nei paesi in via di sviluppo.

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