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Divisioni tra continuità e ringiovanimento

La questione di un ricambio generazionale alla presidenza dell'Organizzazione degli svizzeri all'estero ha tenuto banco alla sessione di primavera 2013 del "parlamento" della Quinta Svizzera Keystone

Una proposta di limitare a due il numero di mandati del presidente dell’Organizzazione degli svizzeri all’estero (OSE) ha suscitato un dibattito infiammato nel “parlamento” della Quinta Svizzera. La decisione è rinviata all’anno prossimo, nell’intento di adottarla con serenità. C’è chi ha anche invitato a una riflessione su un ringiovanimento globale dell’esecutivo.

Il presidente dell’OSE dovrebbe essere rieleggibile solo una volta. Questo anche nel caso in cui la prima volta fosse eletto nel corso di un mandato. È la modifica degli statuti sottoposta al vaglio del Consiglio degli svizzeri all’estero (CSE), riunito sabato a Berna per la sessione primaverile. Autore della mozione, Erich Bloch, delegato degli espatriati in Israele, ha motivato la richiesta con il bisogno di ringiovanimento degli organi dell’OSE. A suo avviso, questo porterebbe maggior creatività e dinamismo, permettendo di stare al passo con i tempi.

Un’opinione ribadita da diversi sostenitori della sua proposta, i quali hanno ricordato come il disinteresse delle nuove generazioni di espatriati per le associazioni elvetiche nel mondo sia stato un tema di preoccupazione ricorrente negli ultimi anni in seno all’OSE. Per ridestare il loro interesse, “occorre ringiovanire i nostri organismi e questo deve iniziare dalla presidenza. Visto che l’autoregolazione non funziona”, si devono fissare regole che impongono il ricambio, ha detto un delegato. Certo, questo non risolverebbe tutti i problemi, ma rappresenterebbe un’apertura rivolta al futuro, ha affermato Remo Gysin.

Di opinione diversa la maggioranza del comitato, che raccomandava al Consiglio di bocciare la mozione. Per bocca di Thérèse Meyer-Kaelin, la maggioranza del comitato ha fatto valere il bisogno di continuità per una carica impegnativa, che richiede molte qualità. Non è dunque facile trovare in continuazione personalità adeguate disposte ad assumere un compito così gravoso, ha sottolineato l’ex parlamentare friburghese. Inoltre il presidente, che deve rappresentare l’OSE di fronte alle autorità, deve tessere molti legami per difendere al meglio gli interessi della Quinta Svizzera: questo domanda anni di lavoro, ha affermato un delegato.

Il timore che cambiamenti frequenti alla testa dell’OSE possano pregiudicare la stabilità dell’organizzazione è stato espresso da diversi oppositori della mozione. Da più parti è inoltre stata manifestata l’impressione che dietro a questa proposta si celasse un attacco personale contro il presidente in carica, Jacques-Simon Eggly. Più voci si sono quindi levate per elogiare l’operato di Eggly e di tutto il comitato. Il grigionese Pierino Lardi, delegato del Venezuela, ha quindi ricordato una regola sportiva: “Non si cambia una squadra che vince”.

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“Non si tratta di disqualificare il lavoro che è stato fatto finora, ma di portare nuove idee”, ha replicato Bloch. “Anche se il presidente attuale è competente e tutto funziona bene, a un certo punto occorre cambiare: tutto ha una fine”, ha osservato un altro delegato, rammentando che anche il presidente degli Stati Uniti può essere eletto solo per due mandati.

Senza voler entrare nel merito della mozione, alcuni delegati hanno giudicato che i tempi fossero inopportuni, dato che tra tre mesi ci saranno le elezioni per il rinnovo del CSE. Inoltre a quel momento lascerà la carica il direttore dell’OSE Rudolf Wyder, che andrà in pensione. Se anche il presidente dovesse essere cambiato, significherebbe che scomparirebbe “l’intero binomio che ha guidato con destrezza l’OSE” negli ultimi anni, con il rischio di creare un vuoto, ha messo in guardia un delegato.

La delegata francese Elisabeth Etchart ha quindi presentato una proposta di tipico compromesso svizzero: rinviare il voto sulla mozione di Erich Bloch a dopo le elezioni del CSE, quando le acque si saranno calmate e si potrà discutere più pacatamente. Con 32 voti contro 24 e qualche astensione, il CSE l’ha seguita. La decisione sulla limitazione del mandato presidenziale sarà dunque presa nella sessione del marzo 2014. Nel frattempo, il comitato riesaminerà la questione. E c’è chi ha invitato a fare una riflessione approfondita, sulla necessità di un ricambio generazionale più ampio: “forse tutto il comitato dovrebbe essere ringiovanito”, ha lanciato un delegato.

Il Consiglio di svizzeri all’estero (CSE) ha 140 membri: 120 delegati rappresentanti della diaspora e 20 residenti in Svizzera.

Questi 20 “svizzeri dell’interno” sono dei rappresentanti politici e di vari settori importanti per gli espatriati (economia, media, cultura, ecc.). Sono eletti dal CSE su proposta della commissione per la Organizzazione degli Svizzeri all’estero.

I 120 delegati dell’estero rappresentano la Quinta Svizzera. I seggi sono distribuiti in base al peso demografico delle diverse comunità di svizzeri espatriati. A livello continentale, l’Europa dispone di 60 delegati, le Americhe di 30, l’Africa di 8, l’Asia di 16 e l’Oceania di 6.

A livello di paesi, è la Francia che ha il maggior numero di delegati (12). Gli altri paesi meglio dotati sono: Germania (8 delegati), Stati Uniti (8) Italia (6) e Canada (5). Tutti gli altri paesi hanno meno di 5 delegati.

Le banche sempre nel mirino

Nessun diverbio tra i membri del CSE, ma grande preoccupazione comune, ha invece caratterizzato la discussione di un altro tema all’ordine del giorno sabato: i problemi crescenti che incontrano gli svizzeri dell’estero con i conti bancari in patria. Aperture negate e chiusure di quelli esistenti, rifiuti di rilasci di carte di credito, addebiti di costi di gestione elevati sono diventati moneta corrente per gli espatriati che risiedono in paesi con cui la Svizzera ha in ballo vertenze fiscali.

La risoluzione di protesta contro le banche svizzere e di richiesta di soluzioni per permettere agli espatriati “in regola con il fisco di mantenere relazioni bancarie in Svizzera a condizioni ragionevoli”, dell’anno scorso, non ha portato frutti. Il governo non vuole intervenire nelle relazioni tra le banche e i loro clienti, giudicando che non sia di sua competenza.

Quale alternativa al conto bancario, il CSE aveva pensato al conto postale. Ma il governo si è detto contrario alla mozione parlamentare di Roland Rino Büchel che chiede di “garantire a tutti gli svizzeri residenti all’estero la possibilità di aprire un conto presso PostFinance e di beneficiare dei relativi servizi a condizioni ragionevoli”, includendo queste prestazioni nel servizio universale del traffico dei pagamenti postale. Il Consiglio federale giudica la misura “sproporzionata e difficilmente realizzabile” e invita il parlamento a respingere la mozione.

L’OSE sostiene questa mozione e spera che sia accolta dal parlamento, contro il parere del governo. Ma anche se fosse respinta, questa mozione servirà a fare pressione e ci sarà utile nelle discussioni avviate con PostFinance, ha sottolineato Jacques-Simon Eggly.

Una speranza è risposta dagli svizzeri residenti negli Stati Uniti nell’accordo sull’applicazione della legge fiscale americana FATCA, firmato da Berna e Washington il 14 febbraio scorso. Esso garantisce che i conti detenuti da cittadini americani o che risiedono negli Stati Uniti presso istituti finanziari svizzeri vengano notificati alle autorità fiscali USA con il consenso del titolare o in virtù dell’assistenza amministrativa mediante domande raggruppate.

Questo permette una trasparenza sulla dichiarazione dei redditi e dei patrimoni. E dal momento che quest’ultima “è garantita da questo accordo, i delegati del CSE ritengono che gli istituti finanziari esteri non abbiano più motivo di rifiutare di aprire o di mantenere dei conti dei nostri compatrioti residenti negli Stati Uniti”, scrive l’OSE in un comunicato. Se approvato dal parlamento, l’accordo dovrebbe entrare in vigore in gennaio. 

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