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La “democrazia” kirghiza sprofonda nel caos

Due lavoratori rimettono ordine in un negozio di Bishkek dopo il caos di mercoledì Keystone

La situazione in Kirghizistan è ancora incerta, dopo i sanguinosi scontri di mercoledì tra opposizione e forze dell'ordine. Lo Stato dell'Asia centrale, paese prioritario della cooperazione svizzera, evidenzia ancora una volta la sua fragilità.

Cinque anni dopo la “rivoluzione dei tulipani”, il Kirghizistan ricade nella violenza. I disordini di massa di mercoledì hanno portato al rovesciamento del regime e alla fuga del presidente Kurmankbek Bakiev.

L’opposizione ha annunciato lo scioglimento del parlamento e ha formato un governo provvisorio che rimarrà in carica per sei mesi. Le redini del paese sono state prese dall’ex ministro degli esteri e leader dell’opposizione, Roza Otunbayeva.

Esercito e polizia sono passati dalla parte degli insorti e in tutto il paese vige lo stato di emergenza. Gli scontri tra manifestanti – scesi in piazza per denunciare il dispotismo di Bakiev – e forze governative nella capitale Bishkek, così come in altre città del paese, hanno fatto almeno 75 morti e più di 1’000 feriti, ha indicato un rappresentante del Ministero della sanità.

La consigliera federale Micheline Calmy-Rey, indica il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) in un comunicato, incoraggia le parti in causa a «non provocare ulteriori spargimenti di sangue» e a «cercare una soluzione pacifica al conflitto».

La Svizzera invoca inoltre «il rispetto dei diritti umani, la salvaguardia dello Stato di diritto ed il ripristino dell’ordine democratico». I cittadini svizzeri registrati al consolato svizzero di Bishkek sono 55, ha fatto sapere il DFAE, che sconsiglia i viaggi turistici o non assolutamente necessari a destinazione del Kirghizistan.

Malessere economico

«Nonostante il paese sia da tempo confrontato a conflitti politici latenti, le violenze sono scoppiate in modo inatteso», riferisce da Bishkek Karl Goeppert, direttore dei programmi di Helvetas in Kirghizistan.

«La caduta del governo è stata sostenuta principalmente dalle fasce più povere della popolazione», spiega il collaboratore dell’organizzazione svizzera di aiuto allo sviluppo.

«Nel mese di gennaio, i costi per acqua, elettricità e riscaldamento sono aumentati del 200-500%: il salario medio di un impiegato non basta a coprire le spese», rileva Goeppert.

L’ufficio di Helvetas, presente in Kirghizistan dal 1994 soprattutto con progetti agricoli, è stato chiuso per motivi di sicurezza. Nessuno dei 30 collaboratori di Helvetas è stato coinvolto negli scontri, precisa Goeppert. «Durante la notte sono stati saccheggiati diversi negozi e supermarket. Nelle prossime settimane potrebbe verificarsi una penuria alimentare».

Anche Kathy Riklin, osservatrice svizzera dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) in occasione delle elezioni kirghize del 2009, si dice sorpresa per quanto sta succedendo nell’ex paese sovietico.

«L’opposizione è sempre stata disunita», dice a swissinfo.ch. «Credo che si tratti non tanto di una protesta contro il presidente, ma della manifestazione di un malessere generale dettato dalla difficile situazione economica».

Corruzione e false promesse

Indipendente dal 1991, il Kirghizistan è sostanzialmente un paese agricolo (cotone, riso, cereali) che poggia su un suolo ricco di risorse minerarie.

Le esportazioni dai giacimenti auriferi e di uranio, così come la produzione idroelettrica, sono però a beneficio di una fascia ristretta di persone. Circa un terzo del prodotto interno lordo è generato dalle rimesse dei lavoratori attivi in Russia.

Nei primi anni dopo l’indipendenza, il Kirghizistan era considerato “un’isola di democrazia” sullo sfondo autoritario della regione. Il presidente della giovane repubblica, Askar Akayev, si è però mostrato sempre più dispotico e la corruzione è dilagata.

La “rivoluzione dei tulipani” del 2005 ha portato sulla poltrona presidenziale l’ex primo ministro Bakiev, spinto al potere da un popolo stanco del vecchio regime erede dell’Unione sovietica.

Le illusioni iniziali sono tuttavia state spazzate via rapidamente: accusato di non mantenere le promesse e di gestire il paese in modo autoritario, Bakiev ha represso con violenza le proteste dell’opposizione.

Nel corso della sua rielezione nel 2009, l’OSCE ha lamentato brogli e irregolarità. «Nella zona del lago Ysykköl, il voto si è svolto in modo corretto. Non si può però dire lo stesso per altre parti del paese», ricorda Kathy Riklin.

«È una nazione ancora impregnata della mentalità russa, che non ha mai imparato il concetto di democrazia», prosegue la parlamentare elvetica. «Non è ancora matura per una democrazia senza corruzione».

Paese prioritario

Il Kirghizistan fa parte con Tagikistan e Uzbekistan dei paesi prioritari della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC).

La cooperazione elvetica con l’Asia centrale, iniziatasi nei primi anni ’90, punta soprattutto sul sostegno tecnico e l’aiuto finanziario (vedi a fianco). L’aiuto di DSC e SECO (Segreteria di Stato dell’economia) ammonta a circa 40 milioni di franchi all’anno.

Il Kirghizistan è poi uno dei primi paesi dell’ex blocco sovietico con cui la Svizzera ha concluso accordi economici.

Insieme a Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Azerbaigian, Polonia e Serbia Montenegro, fa inoltre parte del cosiddetto “Helvetistan”, il gruppo di paesi rappresentato dalla Svizzera presso il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale.

Luigi Jorio, swissinfo.ch

Il Kirghizistan è un paese a maggioranza musulmana con 5,1 milioni di abitanti, grande cinque volte la Svizzera. Confina con Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Cina.

Si tratta di un paese montagnoso e povero, prevalentemente agricolo e senza sbocchi sul mare.

È però situato in un’area strategica della massima importanza e la tradizionale influenza russa sul paese è contesa dagli Stati Uniti.

Dopo il 2001, in cambio di grossi aiuti economici, ha aderito alla guerra contro il terrorismo degli Usa e accettato di ospitare la base aerea americana di Manas, fondamentale per le operazioni militari nel confitto in Afghanistan.

Mosca e Washington sono inoltre interessate ad aggiudicarsi l’accesso alle ricche riserve energetiche della regione.

Tra i campi d’intervento principali della cooperazione svizzera in Asia centrale vi è la riduzione della povertà, lo sviluppo del settore privato e il sostegno della transizione verso uno Stato pluralistico ed economicamente autonomo.

Altre priorità concernono la sanità, le istituzioni pubbliche e i servizi, le infrastrutture di base e la gestione delle risorse idriche.

Date le frequenti catastrofi naturali che colpiscono la regione (terremoti, inondazioni, frane), la Svizzera è pure attiva sul fronte della prevenzione dei disastri.

Nel 2009, gli aiuti accordati dalla Confederazione all’Asia centrale hanno totalizzato poco meno di 48 milioni di franchi.

Il Dipartimento federale degli affari esteri ha indicato giovedì che l’ufficio a Bishkek della cooperazione svizzera è stato temporaneamente chiuso. I progetti di aiuto allo sviluppo, ha puntualizzato, non sono però rimessi in discussione.

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