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Il punto sulle armi chimiche

Con poco più di un secolo di storia, le armi chimiche rappresentano oggi una delle sfide più difficili del disarmo internazionale.

Breve panoramica su accordi internazionali e lo stato dello smaltimento.

Oggi nel mondo esistono circa 70’000 tonnellate di armi chimiche dichiarate, stoccate in depositi, in attesa della loro eliminazione definitiva. La parte del leone la fa proprio la Russia, con 40’000 tonnellate suddivise in sette siti: Gorny e Kambarka (7’500 tonnellate), Kizner, Schchuch’ye, Maradikova, Pochep e Leonidovka (le restanti 32’500). A parte Schchuch’ye, si tratta di località situate tutte nella parte europea della Federazione russa.

In secondo luogo vengono gli Stati Uniti, con circa 31’500 tonnellate ubicate in otto siti sul continente e uno su un atollo nell’Oceano Pacifico. Depositi di agenti tossici, infine, si trovano anche in India e Corea del sud.

Le «armi chimiche», che secondo la definizione ufficiale sono sia le sostanze tossiche (iprite, gas nervino, eccetera) sia le munizioni e i materiali utilizzati per disperderle contro il nemico, nascono ufficialmente con la Prima guerra mondiale. Il 22 aprile 1915, un attacco tedesco col gas vicino a Ypres causa 5’000 morti e 10’000 feriti.

Verso le convenzioni internazionali

Al termine del conflitto, nel 1925, il cosiddetto “Protocollo di Ginevra” sancisce il divieto universale di simili armi, ma nonostante ciò ricerca scientifica e fabbricazione proseguono durante tutta la Guerra fredda.

Nel 1991, la prima Guerra del Golfo mette in evidenza tutti i pericoli di una proliferazione incontrollata degli agenti chimici, inducendo per la prima volta la comunità internazionale a riunirsi per studiare un efficace strumento di lotta a livello giuridico.

Nel 1993 nasce così la «Convenzione per la proibizione delle armi chimiche», con una relativa Organizzazione istituita all’Aja con l’incarico di far rispettare il trattato.

Un percorso difficile

Il cammino, però, è estremamente lungo e difficile: finora si è riusciti a smaltire appena il 10 per cento delle armi chimiche mondiali, per lo più in India, Corea del sud e Stati Uniti.

Drammatico rimane invece il ritardo della Russia, che dopo alterne vicende è riuscita ad attivare al cento per cento un solo impianto adatto, a Gorny, a nord del Mar Caspio. La struttura ha iniziato la sua attività nel dicembre 2002 e finora è riuscita a riconvertire appena 400 tonnellate di materiali tossici.

La popolazione locale intanto è esasperata, visto che le sostanze chimiche stoccate in maniera precaria contaminano l’ambiente, mentre gli impianti di smaltimento spesso non raggiungono gli standard di sicurezza e finiscono per inquinare essi stessi le aree circostanti.

swissinfo, Alessandra Zumthor, Ginevra

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