L’unione fa la forza

Come è comparsa la vita pluricellulare sulla Terra? Perché ha riscosso tanto successo evolutivo? Due ricercatori del Politecnico di Zurigo indagano, con l'aiuto del computer.
Un viaggio tra batteri «egoisti» e batteri «altruisti».
Più di un miliardo di anni fa, l’unica forma di vita presente sulla Terra erano i batteri: organismi unicellulari autonomi, capaci di colonizzare qualunque ambiente disponibile e sfruttare come fonte di energia le risorse più disparate.
A un tratto, alcuni batteri cominciarono ad aggregarsi. Probabilmente una mutazione casuale impedì alla cellula madre di separarsi completamente dalle figlie che, generazione dopo generazione, rimanevano saldamente incollate.
Il successo evolutivo di quei primi agglomerati è stato sorprendente: le cellule si sono progressivamente specializzate, i loro ruoli si sono diversificati e, infine, la colonia è diventata a tutti gli effetti un organismo pluricellulare, in grado di riprodursi come un tutt’uno. Le piante, gli animali e l’uomo sono eredi di quella lontana vittoria.
Un quesito irrisolto
Da tempo i biologi si pongono una domanda fondamentale sull’origine degli organismi pluricellulari: quale vantaggio selettivo ha favorito la loro sopravvivenza? Se lo sono chiesti anche Sebastian Bonhoeffer e Thomas Pfeiffer, ricercatori dell’Istituto di Ecologia Sperimentale del Politecnico di Zurigo.
«Di certo l’aggregazione ha comportato degli svantaggi per i singoli batteri», scrivono i due scienziati sulle pagine della rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. «Le cellule concentrate in uno spazio ristretto dovevano affrontare una competizione maggiore per lo sfruttamento delle risorse locali. Inoltre, i batteri saldati l’uno all’altro non erano più liberi di muoversi per andare in cerca di altre fonti di cibo.»
Perché, allora, i frutti di quella bizzarra mutazione non si sono estinti, ma al contrario si sono diffusi su tutto il pianeta?
La simulazione del computer
Bonhoeffer e Pfeiffer si sono serviti del calcolatore per ricostruire le prime tappe della vita pluricellulare. Nella loro simulazione hanno considerato una colonia formata da due categorie di microrganismi. I primi hanno un comportamento «egoista»: si nutrono velocemente, incamerando grandi quantità di energia e sfruttando le risorse in modo inefficiente.
Le cellule della seconda categoria hanno un comportamento più «altruista»: si nutrono lentamente, sfruttano le risorse con maggiore efficienza e dunque favoriscono il guadagno di energia complessivo della colonia.
I vantaggi dell’aggregazione
Come era facile prevedere, la simulazione ha dimostrato che i batteri «egoisti» sono formidabili competitori e hanno la meglio su quelli «altruisti». Se però si saldano tra loro e formano degli agglomerati, i batteri «altruisti» riescono a escludere quelli «egoisti», a tenerli lontano dal cibo.
Solo così, comportandosi come un unico individuo, hanno la possibilità di sopravvivere e affermarsi. Dunque, la molla che ha spinto lo sviluppo degli agglomerati è la necessità di fare fronte comune contro i competitori. La teoria di Bonhoeffer e Pfeiffer spiegherebbe per quale motivo il lievito, che si comporta come i batteri «egoisti» della simulazione, si è evoluto fino ai nostri giorni come un micorganismo unicellulare.
«La vita pluricellulare è emersa più volte nel corso dell’evoluzione, in condizioni differenti», concludono gli autori, «non abbiamo la pretesa di dare una spigazione valida per tutti i casi. Quello che proponiamo è solo un meccanismo plausibile.»
swissinfo, Cristina Valsecchi
La più antica forma di vita pluricellulare documentata è un piccolo verme che abitava sul fondale sabbioso del mare un miliardo e cento milioni di anni fa.
Nel 1998, un gruppo di ricercatori americani ha scoperto le sue tracce fossili in un campione di roccia prelevato nell’India centrale.

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