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Le cure e il benessere che crescono dalle piante

In passato la raccolta delle erbe medicinali è stata, per tradizione, in mano alle donne.

L'impiego terapeutico delle piante medicinali non solo è stato riscoperto, ma nel campo della farmacologia si sta ritagliando uno spazio di primo piano.

In Ticino, e più precisamente a Olivone, opera un centro di ricerca di eccellenza nel campo della fitoterapia scientifica, rinomato a livello internazionale.

Al Centro di competenza per le Scienze della vita di Olivone – che collabora ormai da diversi anni con numerosi atenei europei e con importanti centri scientifici – sono in corso numerosi progetti di ricerca, uno dei quali interessa l’etnbotanica, una disciplina in netto sviluppo, soprattutto a partire dagli anni Novanta.

Giulia Becera Poretti è autrice di una ricerca che l’ha messa direttamente in contatto con numerosi anziani del Ticino. L’idea di base è di riscoprire la memoria storica riguardante le piante medicinali per preparare il futuro. Intervista alla giovane biologa.

swissinfo: Quali sono gli elementi salienti emersi dalla sua ricerca?

Giulia Becera Poretti: Allo stato attuale sono state raccolte sul territorio ticinese testimonianze su quasi un centinaio di piante medicinali. Le famiglie botaniche più rappresentative sono le Rosacee (che comprendono specie erbacee come l’alchemilla, arbustive come il biancospino e arboree come il melo), le Asteracee (camomilla, arnica, millefoglio, erba iva, assenzio, ecc.) e le Lamiacee (che includono fra l’altro diverse erbe aromatiche, come rosmarino, menta, melissa, salvia, timo).

Questo primo dato conferma che anche in Ticino esiste una “tradizione”, nel senso ampio del termine, legata all’uso terapeutico delle risorse vegetali. Un altro elemento interessante è l’importanza della figura femminile nell’uso delle piante medicinali, che va dalla raccolta, passando dalla preparazione, fino al vero e proprio uso del rimedio vegetale.

swissinfo: Ci sono ricordi comuni legati alle piante?

G.B.P.: Esiste effettivamente un’immagine ricorrente nella memoria “collettiva” degli informatori intervistati: quello della raccolta, in alta montagna, di alcune piante medicinali tipicamente alpine, in particolare l’arnica, ma anche le genziane, l’erba iva o l’alchemilla..

A queste piante sono legati intensi ricordi d’infanzia, che l’informatore anziano ama rievocare con frequenza. Talune piante più di altre suscitano perciò emozioni e ricordi che – nella loro unicità – oltrepassano il singolo individuo fino ad abbracciare una comunità.

swissinfo: C’è una pianta particolarmente usata e magari anche qualche rarità?

G.B.P.: Fra le piante usate con frequenze vanno sicuramente citate la malva (che include la piccola malva e la malva selvatica), come pure la popolare camomilla e la vite, alla base della produzione di un rimedio popolarissimo, la grappa.

Dalle testimonianze orali sinora raccolte queste piante medicinali rappresentano sul territorio una vera e propria panacea: erano cioè piante estremamente versatili da un punto di vista terapeutico, oltre che facilmente disponibili.

La malva cresce un po’ ovunque dal piano alla montagna, anche negli spazi umanizzati, e la camomilla era coltivata quasi in tutti gli orti come erba destinata unicamente ad uso terapeutico. Ma anche la già citata arnica era una pianta medicinale molto popolare e dalle molteplici virtù, il cui uso è però esclusivamente esterno vista la sua tossicità.

Quanto alle rarità, esiste un aneddoto curioso narratomi da un’informatrice valmaggese. Le galle del rododendro rosso o rosa delle alpi, venivano messe a macerare in olio di oliva per circa due mesi (possibilmente al sole), poi il tutto veniva spremuto e filtrato.

Questo rimedio era spacciato come vero “olio di marmotta”, del quale oltre all’odore possedeva pure analoghe virtù: veniva spalmato sul corpo soprattutto per lenire i dolori reumatici e artritici.

swissinfo: Che tipo di relazione c’era con le piante?

G.B.P.: Se con la malattia (e di riflesso con il rimedio vegetale) esiste inevitabilmente un rapporto conflittuale e per certi versi dialettico, la pianta medicinale è comunque circondata da rispetto: non si usava solo per curare le affezioni più comuni, particolarmente nei periodi invernali (tosse, bronchite, raffreddore, ecc.), ma anche malattie croniche dovute all’età avanzata, stati di malessere e piccoli incidenti che avvenivano fra le mura domestiche o durante il lavoro nei campi.

La salute della gente dipendeva quindi dalla pianta e dal suo uso corretto, che implicava pazienza, costanza e tempi lunghi di amministrazione: non a caso alcune di queste erbe (come la malva) sono state definite “provvidenziali”. Non va scordato poi che la pianta non è solo un rimedio: ad essa sono legati momenti piacevoli, come le spedizioni in alta montagna nei periodi estivi oppure la raccolta di determinate erbe depurative con l’arrivo della primavera.

swissinfo: Oggi si sente il bisogno di recuperare quei saperi antichi?

G.B.P.: Esiste sicuramente il bisogno, manifesto già da diversi anni, di recuperare questa memoria collettiva. In Ticino sono numerose le ricerche di tipo etnologico che propongono studi sugli usi e i costumi della tradizione regionale, la cui ricchezza si condensa nella monumentale opera tuttora in corso, il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana.

Va però anche detto che esiste un altro fenomeno legato al sapere popolare, che consiste nella sua continua riappropriazione e trasformazione: se molte conoscenze si sono purtroppo già perse, altre mutano grazie ad apporti esterni e a nuove conoscenze, dando vita ad un sapere-mosaico in continua evoluzione.

Spetta quindi ancora una volta alle giovani generazioni rendersi conto dell’importanza della salvaguardia del sapere naturalistico popolare e della sua inestimabile ricchezza.

swissinfo, Françoise Gehring

Piante medicinali terapeutiche al centro di un convegno internazionale a carattere scientifico. Recentemente al Monte Verità di Ascona specialisti del mondo intero hanno discusso sulle sviluppo di nuovi farmaci derivati dalle piante.

Il convegno è stato organizzato dal Dipartimento dell’educazione,della cultura e dello sport del Canton Ticino, con la Fondazione Alpina per le Scienze della Vita di Olivone, in collaborazione con diversi atenei svizzeri ed europei.

A livello del canton Ticino, ricorda Giulia Becera Poretti, esistono alcune pubblicazioni specifiche che ripropongono l’uso delle piante medicinali locali riprendendo e ampliando alcune conoscenze che si rifanno alla tradizione popolare.

Nel suo piccolo la sua ricerca, che si svolge in collaborazione con la Fondazione alpina per le Scienze della Vita di Olivone, con il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (in particolare il Centro di dialettologia e di etnografia), vuole dare un contributo speciale all’approfondimento dell’intenso rapporto che da sempre unisce l’uomo alle piante medicinali.

Gli anni Novanta hanno visto il fiorire nel panorama scientifico di una nuova disciplina, l’etnobotanica, che studia l’uso di speciali piante indigene da parte di popolazioni e culture lontane dal nostro modello scientifico.

Il suo scopo è quello di ottenere nuovi principi attivi efficaci nella cura delle malattie. La botanica, è stata sempre intimamente legata alla medicina e l’etnobotanica rappresenta una sorta di ritorno alle origini, un ponte tra antico e moderno.

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