Le origini della toxoplasmosi

Un parassitologo dell'Università di Zurigo ha analizzato il DNA del Toxoplasma gondii, l'agente della toxoplasmosi, e ha ricostruito la storia della malattia
Il percorso evolutivo di ogni essere vivente è scritto nei suoi geni, basta saperlo leggere. Adrian Hehl, biologo dell’Istituto di Parassitologia dell’Università di Zurigo, ha analizzato il DNA del Toxoplasma gondii, il microrganismo responsabile della toxoplasmosi, e ha ricostruito la storia della malattia.
Il Toxoplasma gondii è un protozoo, un microscopico parassita che si insedia nelle cellule di numerose specie di mammiferi. Colpisce soprattutto i gatti, i suini e l’uomo e si contrae toccando le feci di un animale infetto, mangiando carne poco cotta o verdure che non sono state lavate a sufficienza.
Nel mondo, oggi, sono, diffusi tre ceppi del parassita. Tutti e tre sono patogeni per l’uomo, ma solo uno, il tipo I, può provocare serie conseguenze per la salute dei pazienti più deboli e gravi malformazioni fetali, se viene contratto da una donna durante la gravidanza.
Hehl, collaborando con un gruppo di scienziati francesi e americani, ha confrontato il DNA dei tre ceppi, nel tentativo di isolare i geni responsabili della maggiore virulenza del tipo I. L’analisi ha dimostrato che i tre ceppi attuali di Toxoplasma gondii sono il frutto relativamente recente dell’incrocio di due ceppi ancestrali.
L’incrocio avrebbe dato origine, secondo i ricercatori, a una grande varietà di organismi con caratteristiche diverse. I tre, dotati di una maggior capacità di adattamento all’ambiente, avrebbero soppiantato gli altri ceppi, provocando la loro estinzione.
Hehl e i suoi colleghi ipotizzano che la particolare virulenza del Toxoplasma gondii di tipo I non sia dovuta alla lenta mutazione dei suoi geni e alla pressione selettiva dell’ambiente, ma sia un prodotto del mescolamento casuale del patrimonio genetico dei due parassiti ancestrali.
Per verificare che l’ipotesi è verosimile, i ricercatori hanno incrociato microrganismi appartenenti ai ceppi di tipo II e III, quelli meno dannosi per l’uomo, e hanno ottenuto un nuovo ceppo, che si è dimostrato molto più virulento dei due “genitori”.
Il lavoro di Adrian Hehl e dei suoi colleghi, pubblicato sull’ultimo numero della rivista Science, dimostra che una variante particolarmente pericolosa di una malattia infettiva può comparire all’improvviso, frutto dell’incrocio di microrganismi meno aggressivi.
Maria Cristina Valsecchi

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