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Nuovo look «al naturale» per fiumi e torrenti

Così dovrebbero presentarsi fiumi e torrenti... www.umwelt-schweiz.ch

Come molti altri paesi, la Svizzera è stata spesso teatro di alluvioni catastrofiche, in parte dovute a un'errata gestione del territorio. Ora si tenta di correre ai ripari, rinaturalizzando i corsi d'acqua troppo canalizzati.

Ma le possibilità d’intervento sono limitate.

La Svizzera viene spesso definita “serbatoio d’acqua d’Europa”. A giusta ragione, se si pensa che su un territorio relativamente piccolo ci sono ben 262 miliardi di m3 d’acqua, immagazzinata in laghi, ghiacciai, coltri nevose e falda freatica.

Un’ immensa riserva d’acqua, alimentata da una grande quantità di precipitazioni: mediamente 1460 mm all’anno, il doppio di quanto si registra nei paesi vicini. Paesi verso i quali defluiscono annualmente dalla Svizzera ben 53,5 miliardi di m3 di acqua.

Prima però di lasciare la Svizzera attraverso fiumi quali il Reno, il Rodano, il Ticino, l’Inno o il Doubs , l’acqua deve attraversare una fittissima rete di ruscelli, torrenti, fiumi e laghi: un sistema idrico molto complesso e delicato, che per secoli si è cercato di piegare ai bisogni dell’uomo. Con gravi conseguenze.

Alluvioni catastrofiche

In un paese montagnoso come la Svizzera, dove solo una piccola parte del territorio si presta per l’agricoltura o per gli insediamenti industriali o civili, è necessario sfruttare al massimo lo spazio disponibile.

Ragione per cui si è sempre cercato di incanalare i corsi d’acqua entro stretti tracciati geometrici, togliendo loro ogni possibilità di dilagare liberamente.

Una costrizione per la natura e, nel contempo, un rischio per l’uomo. Perché quando gli argini artificiali non riescono più a contenere le piene, sono guai seri, a volte addirittura catastrofici, come dimostrano le frequenti alluvioni.

E ora, a furia di subirne le conseguenze, anche in Svizzera ci si è resi conto che le risorse idriche vanno gestite diversamente.

Argini commisurati ai danni

«Bisogna restituire al fiume quel che gli è stato indebitamente tolto», constata Paolo Burlando, professore di idrologia al Politecnico di Zurigo.

La tendenza attuale è quella di limitare al massimo le opere di contenimento delle piene, cioè gli argini. E nel contempo si cerca di riservare le zone più vicine ai fiumi a quelle attività che, in caso di piena, subirebbero danni economici di minore entità.

Nella Valle del Rodano, per esempio, le alluvioni del 2000 hanno fatto gravi danni in alcuni insediamenti, recentemente edificati proprio sulle conoidi terminali degli affluenti laterali del fiume. «Costruzioni a rischio», secondo il professor Burlando, «perché troppo vicine al punto in cui il corso d’acqua era abituato ad espandersi».

«La corretta pianificazione del territorio», ci spiega l’idrologo, «prevede che i diversi insediamenti siano posizionati in zone adeguate, a seconda del loro valore». Mentre le opere di difesa, come gli argini, devono essere commisurate al danno che si vuole accettare.

«E devono pure essere proporzionate alla possibilità di rinaturalizzare, cioè di restituire al fiume il suo territorio, lasciandolo libero di muoversi», aggiunge il professor Burlando, spiegando che «queste zone di temporale allagamento permettono al fiume di rallentare l’avanzamento dell’onda di piena», e quindi di limitare i danni.

Difficile rinaturalizzazione

Attualmente, in Svizzera, si stanno realizzando diversi progetti di rinaturalizzazione, che vanno dalla piccola scala, vale a dire corsi d’acqua di piccole dimensioni, fino a interventi lungo il corso di grandi fiumi come il Rodano.

Negli interventi di minore entità, si provvede a riportare il letto dei corsi d’acqua al loro stato naturale, eliminando in particolare i rivestimenti di pietra o di calcestruzzo. E le sponde vengono ricostituite con essenze di salice, resistenti e capaci di sopportare lunghi tempi di sommersione durante le piene.

Per fiumi più importanti, si tenta invece di ripristinare alcune zone di espansione che, oltre a uno sfogo per le acque di piena, offrono pure ambienti naturali a quelle specie animali e vegetali che vivono in simbiosi con il fiume.

«Le possibilità di intervento sono però limitate», sostiene l’idrologo, «perché, in un paese montagnoso come la Svizzera, il fondovalle è stato ampiamente occupato. E ovviamente non si possono più spostare insediamenti abitati o centri industriali».

Ciononostante, la Svizzera dovrebbe fare ancora «qualche passo avanti, verso una politica di gestione integrata dei bacini idrografici. E non preoccuparsi del problema delle piene in modo distinto e separato da quello delle risorse idriche».

Insomma, anche nella gestione delle risorse idriche «ci vorrebbe una visione sempre più globale, più interdisciplinare», conclude il professor Burlando.

swissinfo, Fabio Mariani

Per secoli, l’uomo ha corretto e canalizzato il corso di fiumi, torrenti e ruscelli, per sfruttare al massimo il fondovalle e le zone alluvionali.

Ma se gli argini non reggono alle piene, le conseguenze possono essere molto gravi: inondazioni, allagamenti, alluvioni – la storia, anche quella recente, è ricca di catastrofi naturali di questo genere.

Ora, per ovviare a questi inconvenienti – e ricreare spazi vitali per la flora e la fauna degli ecosistemi acquatici – si tenta di rinaturalizzare il corso dei fiumi. Ma le possibilità sono oramai molto limitate.

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