Agricoltura africana, i problemi iniziano anche a nord
L'Africa è stata agli onori lunedì al Forum sociale mondiale di Dakar. La situazione dell'agricoltura è uno dei punti dolenti dell'economia di molti paesi del continente. Da quasi quarant'anni, Mamadou Cissokho si batte per ridare dignità ai contadini africani. Intervista.
Ex maestro, autore del libro «Dio non è un contadino» e fondatore di diverse associazioni, tra cui la Rete delle organizzazioni di contadini e produttori dell’Africa occidentale (ROPPA), Mamadou Cissokho è uno dei leader contadini più autorevoli in Senegal e nell’Africa occidentale.
Dalla metà degli anni ’70, dopo la grande siccità del 1973, assieme a un gruppo di agricoltori sostenuti dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) svizzera, si è impegnato anima e corpo affinché i contadini potessero allearsi e far intendere così la loro voce.
Una lotta iniziata da lontano, come ricorda Ndiogou Fall, un militante della prima ora a fianco di Mamadou Cissokho, poiché «quando abbiamo iniziato, se si chiedeva a un contadino che mestiere facesse, diceva di non avere nessun lavoro».
swissinfo.ch: In che contesto è nato il vostro movimento contadino?
Mamadou Cissokho: Dopo l’indipendenza, per organizzare tutte le attività agricole e di pastorizia, i governi della regione hanno optato per un modello cooperativo. Il problema è che queste cooperative erano estremamente centralizzate. In pratica, di cooperativo c’era solo il nome, poiché i membri non avevano alcuna responsabilità.
Questo sistema è durato fino a quando, dopo la siccità del ’73 – durante la quale abbiamo iniziato a riflettere su cosa fare – vi è stata la siccità finanziaria degli Stati all’inizio degli anni ’80. Non avendo più risorse, i paesi hanno fatto capo al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale. Dopo una prima fase, dove lo Stato era onnipresente, si è quindi passati a una fase senza Stato, durata fino alla metà degli anni ’90.
Nello stesso tempo, in Europa vi erano importanti surplus di prodotti agricoli, che dovevano essere smerciati da qualche parte. I contadini europei hanno così ricevuto dei sostegni all’esportazione. Visto che da noi, nelle città, vi era una grande disoccupazione a causa delle misure di aggiustamento strutturale, si poteva giustificare l’importazione di prodotti agricoli a basso prezzo. Il problema è che in questo modo si uccide la nostra agricoltura.
swissinfo.ch: Queste politiche hanno quindi portato a una presa di coscienza del mondo contadino?
M. C.: Le misure di aggiustamento strutturale hanno rotto il contratto di fiducia tra i contadini e il governo. Come poteva essere abbandonata quella parte della popolazione che contribuiva nella misura del 60% al prodotto interno lordo? Visto che lo Stato non c’era più, abbiamo iniziato a dirci che dovevamo occuparci di noi stessi. E abbiamo cominciato a porci delle domande.
Ci dicono che non siamo competitivi, che la nostra agricoltura è arcaica perché facciamo tutto a mano. Nella valle del fiume Senegal, 300’000 famiglie riescono però a vivere grazie alla produzione di riso. Se il 60% della popolazione riesce a soddisfare i suoi bisogni con l’agricoltura senza nessun sostegno, ciò non costituisce un elemento fondamentale dell’economia? Ciò che conta sono solo il numero di fabbriche? Secondo quali indicatori questi contadini non sarebbero competitivi?
Quando vogliamo esportare del riso in Europa, dobbiamo pagare una tassa del 60% a causa di 2’000 produttori italiani e della Camargue. Grazie alle macchine, nei paesi europei si produce 20 volte tanto che da noi, eppure c’è bisogno di sovvenzioni. E questa sarebbe l’economia di mercato?
swissinfo.ch: Quali soluzioni?
M.C.: Bisogna iniziare una volta per tutte ad interrogarsi sulle questioni di fondo e non di forma. Non dobbiamo cercare di trasporre da noi le soluzioni trovate in Europa. Non siamo come gli svizzeri, i francesi o gli americani. È vero che ci sono delle cose da voi che sono positive e che possiamo sicuramente analizzare. Il nostro problema è di avere una sovranità alimentare, di far sì che tutti possano mangiare bene e soprattutto prodotti nostri. È questo che fa la fierezza di un popolo.
Poi bisogna giocare a carte scoperte. Dicono che ci vogliono più investimenti nell’agricoltura e che gli investitori devono poter fare affidamento su garanzie. Benissimo. Ma chi sono i primi investitori? Siamo noi, poiché l’85% dei finanziamenti proviene dalle famiglie contadine. Siamo noi che acquistiamo le sementi e che forniamo la forza lavoro per produrre beni il cui prezzo poi è sempre insufficiente. Se uno viene con un milione di euro, dobbiamo dargli delle garanzie, anche in caso di terremoto quasi, mentre di noi, che di milioni ne mettiamo cinque, nessuno si preoccupa (in Senegal soprattutto i piccoli agricoltori, che magari coltivano lo stesso terreno da più generazioni, godono di pochissime protezioni, ndr.). È una vera e propria truffa!
swissinfo.ch: Qual è stato e qual è il ruolo svolto dalla cooperazione internazionale?
M.C.: Ha riempito i nostri villaggi di dispensari, di scuole. La popolazione, però, non aveva un franco per pagare i medicinali, perché non ci si è occupati dei nostri lavori, dei nostri redditi. Il governo, dal canto suo, paga i maestri, ma non i quaderni o le penne. E soprattutto con l’arrivo in massa degli aiuti in seguito ai programmi di aggiustamento strutturale, ci hanno portato la frase ‘lotta contro la povertà’. Sappiamo di essere poveri, ma non si può dire ogni mattina a tutto un popolo che è povero.
Ci sono state delle eccezioni. La cooperazione svizzera ha portato dei sostegni multipli, preoccupandosi ad esempio molto dei quadri intermedi, poiché in Senegal abbiamo ereditato il sistema di formazione elitario francese, con degli ingegneri e poi praticamente più nulla. Sfortunatamente, quando sono stati avviati i programmi di aggiustamento strutturale, sono arrivati in massa gli aiuti e questi quadri intermedi sono diventati responsabili di progetto. Nel nostro paese ci sono quasi più responsabili di progetto che abitanti. E naturalmente questi progetti si protraggono all’infinito.
Noi abbiamo avuto una buona esperienza. C’è stato un buon ascolto da parte degli svizzeri. Soprattutto si sono preoccupati di capire perché ci siamo organizzati, quali erano le nostre origini e i nostri obiettivi. L’accompagnamento della cooperazione svizzera è durato 35 anni. Mai una volta il rappresentante della Svizzera ci ha detto quello che dovevamo fare. Abbiamo così potuto sviluppare le nostre capacità di riflessione, di analisi e di proposta.
Una delle cose più importanti che la cooperazione può fare è di appoggiare le popolazioni affinché capiscano cosa devono aspettarsi da un governo. Tutto questo ci ha permesso di crescere, tanto che oggi il presidente della Rete delle organizzazioni e dei produttori dell’Africa occidentale, Ndiogou Fall, rappresenta i contadini africani nel comitato di pilotaggio del GAFS (Global Agricultural and Food Security Programm della Banca Mondiale). In seno a questo comitato siamo riusciti a fare ammettere a diversi governi, tra cui quello americano, che uno degli indicatori per finanziare dei progetti è il livello d’implicazione dei contadini. È la prima volta nella storia. Piano piano credo che stiamo smuovendo le cose.
In Senegal vivono 13,7 milioni di persone. La densità è di 69,7 abitanti per chilometro quadrato. Nel 2009, la popolazione è cresciuta del 2,7%, a causa in particolare di un tasso di natalità elevato (36,8 per mille).
Il 30% della popolazione non dispone della razione alimentare minima raccomandata (2’400 calorie al giorno). Il paese dipende nella misura del 53% dalle importazioni per coprire i suoi fabbisogni alimentari.
La desertificazione concerne i tre quinti del territorio nazionale, contro due quinti nel 1960.
Il Senegal è diventato indipendente nel 1960. Il primo presidente è stato Léopold Sédar Senghor, al potere fino al 1981. Il suo successore, Abdou Diouf, nel 2001 è stato sconfitto dal leader dell’opposizione Abdoulaye Wade nelle prime elezioni democratiche del paese. Nel 2007 Wade è stato riconfermato alla presidenza.
Le prossime elezioni si svolgeranno nel 2012. Wade non potrà ripresentarsi, ma da più parti si pensa che stia preparando la candidatura del figlio.
Il primo Forum sociale mondiale si è svolto nel 2001 a Porto Alegre. Nei due anni successivi è stato organizzato nella stessa località brasiliana.
Nel 2004 ha varcato per la prima volta i confini dell’America latina: a Mumbai, in India, sono affluiti oltre 70’000 partecipanti.
L’edizione 2005 si è di nuovo svolta a Porto Alegre, mentre nel 2006 è stata organizzato un Forum decentralizzato (Bamako, Caracas e Karachi).
Nel 2007, il FSM si è tenuto per la prima volta su suolo africano, a Nairobi, in Kenya.
Nel 2009, il Forum si è invece svolto a Belém, in Brasile.
Dakar
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