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“Non vi sono gravi motivi per protestare”

Studenti dell'Università di Losanna durante un'azione di protesta organizzata a fine novembre Keystone

Come in altri paesi europei, anche in Svizzera diverse azioni di protesta sono state indette nelle ultime settimane dagli studenti per denunciare gli svantaggi della riforma di Bologna. Per il segretario di Stato Mauro Dell'Ambrogio, le proteste studentesche sono da considerare un fenomeno ciclico.

Durante il mese di novembre numerose università svizzere sono state teatro di occupazioni delle aule e altre manifestazioni di protesta. Al centro del malcontento degli studenti vi è il sistema di Bologna, varato nel 1999 dai paesi europei per armonizzare gli studi universitari in tutto il continente.

I movimenti di protesta, tenuti all’insegna “Our education is not for sale”, denunciano in particolare il carico di lavoro, le difficoltà di lavorare per pagare gli studi, l’appiattimento dell’insegnamento e il crescente influsso dell’economia privata nelle università. Critiche che swissinfo.ch ha girato a Mauro dell’Ambrogio, segretario di Stato dell’educazione e della ricerca.

swissinfo.ch: Al sistema di Bologna si rimprovera anzitutto di aver fatto saltare l’equilibrio tra durata dei corsi e consistenza dei programmi di studio. Gli studenti devono completare in tre anni lo studio che prima era ripartito su quattro o più anni. È un rimprovero giustificato?

Mauro Dell’Ambrogio: Da sempre esistono studenti che imparano in meno di tre anni quello che altri imparano in cinque, e altri mai. Tradizionalmente lo studio di alcune discipline (ingegneria, medicina) è strutturato in modo molto più rigido che in altre (lettere, diritto), con l’effetto di escludere subito o molto più tardi chi non dà i risultati richiesti.

Il sistema di Bologna è flessibile: permette di acquisire crediti su più anni (per esempio, per chi lavora e studia a tempo parziale), ma anche di impedire di restare iscritti all’infinito. L’applicazione, per esempio per quanto concerne i crediti minimi da acquisire entro certi tempi, è diversa in ogni singola sede e disciplina. Come per ogni cosa nuova, c’è qualche caso di applicazione contestabile, ma dare la colpa al sistema è assurdo.

swissinfo.ch: A causa dell’obbligo di frequenza e del maggior carico di studio, gli studenti che non vengono da famiglie benestanti ora lamentano di non poter più lavorare per pagarsi gli studi. Il sistema di Bologna favorisce solo i ricchi?

M.D.A.: Lavorare durante gli studi non ha mai fatto male a nessuno, ricco o povero. Il sistema, basato su crediti cumulabili e non su blocchi di corsi e di esami annuali fissi, permette a chi deve lavorare molto di diluire gli studi su una durata più lunga. Va proprio quindi nel senso di favorire lo studio a tempo parziale. L’applicazione soffre qua e là di errori di gioventù e può essere migliorata.

swissinfo.ch: Altre rivendicazioni riguardano un maggiore coinvolgimento degli studenti nella gestione delle università. Non le sembra una richiesta almeno parzialmente giustificata?

M.D.A.: La riforma di Bologna, cioè l’armonizzazione dei sistemi universitari in Europa, è gestita in modo tripartito. All’ultima conferenza che ha preso decisioni su questo tema, in Belgio quest’anno, la delegazione svizzera era composta dal consigliere federale Couchepin, dal rappresentante dalla conferenza dei rettori e dai rappresentanti delle associazioni degli studenti svizzeri; e così quelle di tutti gli altri Paesi. Più partecipazione di così … Le organizzazioni degli studenti, democraticamente elette, non hanno sostenuto le proteste di questi giorni in Svizzera.

swissinfo.ch: Gli studenti lamentano inoltre tasse d’iscrizione troppo alte e scarsità di fondi pubblici per le università. Come valuta questa situazione, sia rispetto alla politica svizzera nel campo dell’istruzione universitaria, sia rispetto a quanto si fa all’estero?

M.D.A.: Le tasse d’iscrizione in Svizzera sono generalmente molto basse, comparabili al costo dei caffè consumati dagli studenti. Quanto ai fondi pubblici, in nessun altro paese le università ricevono così tanto per testa di studente come in Svizzera.

swissinfo.ch: Gli studenti temono che la formazione venga sacrificata a favore della ricerca per favorire un migliore piazzamento degli atenei svizzeri nelle classifiche internazionali. È così?

M.D.A.: Perché mai uno studente dovrebbe iscriversi in un’università dove l’insegnamento è sacrificato? E a che pro un’università vedrebbe il numero di studenti diminuire, visto che il finanziamento pubblico dipende in gran parte da esso? Sul piano internazionale ben si vede come le università con una ricerca debole sono generalmente deboli anche nell’insegnamento.

Nelle università svizzere è mantenuto un buon equilibrio tra le due attività, che si rinforzano anche nel senso inverso: per fare buona ricerca occorrono studenti ben preparati, che poi lavorano ai progetti come dottorandi.

swissinfo: “Education is not for sale”. Fino a che punto sponsor e finanziatori privati condizionano gli studi universitari (orientamenti, durata, diplomi, ecc.)?

M.D.A.: Si potrebbe anche argomentare che il finanziamento pubblico rende condizionati dal potere politico. Le università hanno lunga esperienza – con cedimenti sempre possibili – nel difendere la libertà d’insegnamento e ricerca, sia dal potere politico sia da interessi privati. Dai privati si accettano per buona regola finanziamenti soltanto se la nomina dei professori e la scelta dei concreti obiettivi di ricerca competono esclusivamente all’università.

L’istituto per le malattie tropicali dell’Università di Basilea riceve milioni dalla Fondazione Bill e Melinda Gates per le sue ricerche contro la malaria, e ne va fiero. Il sostegno volontario da finanziatori è d’altra parte indice della rinomanza dell’istituzione. Sospetti di dipendenza sono talvolta insinuati per invidia da chi non riesce a beneficiarne.

swissinfo.ch: L’ex consigliere federale Christoph Blocher solidarizza con gli studenti che protestano ed afferma che il sistema di Bologna ha introdotto un livellamento verso il basso. Cosa ne pensa?

M.D.A.: Non so cosa dice Blocher, ma lo scadimento qualitativo non c’è per il motivo che ho appena spiegato. Non c’è riconoscimento automatico dei crediti, contrariamente a quel che (forse) Blocher teme e taluni studenti vorrebbero (solidarietà quindi contraddittoria). Indipendentemente da Bologna, assistiamo alle conseguenze di un crescente accesso agli studi universitari: circa un terzo della popolazione oggi in Svizzera. Quando studiava Blocher erano meno del cinque percento.

Una volta studiavano solo pochi, generalmente perché benestanti, oggi quasi tutti quelli che ne hanno i mezzi o ritengono di averne la capacità. Come ogni fenomeno di massa, si tende a vederlo livellante, ma nulla prova che oggi la media del prodotto o le punte superiori siano peggiori del passato.

swissinfo.ch: Perché, secondo lei, questa ondata di protesta, nata in Austria, si è estesa alle università di quasi tutta l’Europa, con motivazioni diverse da un Paese all’altro?

M.D.A.: La solidarietà è un istinto forte tra i giovani, per fortuna. Un po’ di protesta nelle università è un fenomeno ciclico e non deve spaventare. Quando studiavo io, le aule erano occupate da chi voleva si studiasse il Libretto di Mao o le gesta di Pol Pot, in alternativa all’educazione borghese. Molti di loro sono finiti a lavorare nella finanza».

swissinfo.ch: E perché in Svizzera la protesta non ha attecchito nei Politecnici federali ed all’Università della Svizzera italiana?

M.D.A.: Forse perché, nonostante l’istinto solidale, gravi motivi per protestare non ce ne sono.

Silvano De Pietro, swissinfo.ch

Nel 1999, i ministri dell’istruzione superiore di 29 paesi europei si sono incontrati a Bologna per sottoscrivere un accordo per la creazione di uno spazio europeo dell’istruzione superiore. Oggi alla Dichiarazione di Bologna aderiscono quasi tutti gli Stati europei.

I punti più importanti di questa riforma sono l’introduzione di due cicli principali di studi (bachelor e master, ai quali si aggiunge poi il dottorato) il consolidamento del sistema europeo di crediti didattici (ECTS) e l’adozione di un sistema di titoli di semplice leggibilità e comparabilità.

Il sistema a cicli è di origine anglosassone. Il primo ciclo, di una durata di tre anni, sfocia nell’ottenimento di un bachelor. Seguendo il secondo, che dura in genere due anni, si consegue un master. Bachelor e master uniti corrispondono alla vecchia licenza (laurea) conferita dalle Università svizzere.

Il master dà poi accesso al dottorato. Grazie a questo sistema, dal 2010 le prestazioni scolastiche saranno paragonabili internazionalmente.

Le università svizzere hanno cominciato ad introdurre il sistema di Bologna nel 2001, mentre le Scuole universitarie professionali nel 2005. Dal semestre invernale 2006/2007, il modello “bachelor più master” interessa tutti coloro che iniziano degli studi accademici in Svizzera.

In Svizzera i titolari di un diploma accademico sono il 25% della popolazione. Una proporzione comparabile a quella della Francia e più alta di quella tedesca o austriaca (20% circa). Per contro, la Svizzera non raggiunge le quote dei paesi scandinavi, degli Stati uniti o della Corea del Sud (tra il 30 e il 50%).

Le tasse universitarie sono piuttosto basse: dai 1’000 ai 2’000 franchi l’anno (4’000 per l’Università della Svizzera italiana). Pagano nettamente di più gli studenti giapponesi, coreani o americani (dai 5’000 ai 10’000 franchi).

Stando alle cifre 2005 dell’OCSE, la Svizzera è per contro poco generosa con le borse di studio: vi dedica soltanto il 3% delle spese per l’educazione, ovvero dieci volte meno della Danimarca, cinque dell’Austria, dell’Italia e della Germania e tre meno della Francia.

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