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Un angolo di Svizzera nella campagna australiana

Pictures collection, State Library of Victoria

Una presenza discreta, ristretta, ma di notevole impatto. Importando tradizioni, usanze e uno spiccato dinamismo, gli emigranti svizzeri e italiani hanno lasciato una piccola ma significativa impronta nell'Australia del XIX secolo.

«La loro presenza e il loro contributo sono stati i semi che hanno portato alla germinazione della società multiculturale dello Stato del Victoria».

La descrizione dell’impatto dei migranti svizzeri e italiani in Australia – utilizzata in occasione di un’esposizione al Museo dell’immigrazione di Melbourne (2007) – è forse eccessiva: quella italofona è stata semplicemente una delle tante comunità straniere sviluppatesi attorno alle miniere d’oro di metà Ottocento.

Tuttavia, a differenza di altre nazionalità, gli “swiss italians” – termine che accomunava ticinesi, poschiavini, lombardi e piemontesi – hanno segnato la società di allora in modo indelebile e a volte curioso.

«Il loro impatto è stato relativamente forte», conferma a swissinfo Joan Hunt, presidente della Società genealogica di Ballarat. «Seppur più discreti rispetto a cinesi o tedeschi, anch’essi giunti in questa zona alla ricerca dell’oro, gli emigranti italofoni ci hanno tramandato cultura e tradizioni».

“Magna aglio”

Nei giacimenti auriferi attorno a Jim Crow (oggi Hepburn Springs, ad un centinaio di km a nord-ovest di Melbourne) lavoravano cittadini svizzeri e italiani di ogni ceto sociale e appartenenza politica.

«Pochi si sono arricchiti con l’oro. Gli italofoni sono stati i primi a rendersi conto che avrebbero fatto più soldi con attività accessorie, ad esempio fornendo equipaggiamento e alloggio ai minatori», spiega Clare Gervasoni, storica australiana.

Il dottor Rosetti fu così il primo ad aprire un negozio a Hepburn Springs, mentre i fratelli Lucini, originari di Intra sul Lago Maggiore, costruirono il primo pastificio del continente, la Old Macaroni Factory (che festeggia 150 anni nel 2009).

Oltre alla produzione di luganighe, burro, formaggio, frutta, verdura e all’arte di coltivare la vite, gli emigranti svizzeri e italiani si sono fatti conoscere anche in campo sportivo. «La maglia del club di rugby di Hepburn Springs era a strisce rosse e blu, i colori del Ticino», rammenta Clare Gervasoni.

«Le squadre avversarie li chiamavano i “magna aglio”, data l’abitudine dei migranti ticinesi di mangiare salsicce all’aglio. Si mormorava che lo facessero per tenere alla larga gli avversari con il loro alito».

Mattoni e tetti ticinesi

L’impatto più significativo, visibile ancora oggi, è da ricercare nell’architettura e nella vita politica locale.

La capacità di lavorare la pietra, che affonda le proprie radici nelle tradizioni alpine della Svizzera italiana e del Nord Italia, ha permesso ai migranti che decisero di rimanere in Australia di costruire case solide e durature.

La campagna attorno a Hepburn Springs è ricca di masserie, rustici e muretti in pietra eretti oltre un secolo fa. Col tempo alcuni edifici sono andati in rovina, mentre altri – riattati ed elencati tra i siti protetti – continuano a suscitare l’interesse di architetti e studiosi.

«Nelle case del villaggio di Yandoit si può osservare la tipica lavorazione dei ticinesi nei mattoni e nei tetti», rileva il professor Robert Pascoe della Victoria University. «In una stalla si può ancora notare un particolare sistema di aerazione».

Scelte sbagliate

Alcuni emigranti o loro discendenti – prosegue Pascoe, autore di un estratto pubblicato su “Australian People”, il libro di riferimento delle comunità straniere in Australia – «hanno assunto una certa rilevanza civica in qualità di membri di consigli e associazioni locali».

Particolarmente apprezzato – soprattutto dagli odierni operatori turistici – è stato l’impegno del dottor Severino Guscetti (ex deputato nel parlamento svizzero): assieme ad altri compaesani costituì, nel 1864, un comitato a salvaguardia delle sorgenti di acqua minerale. Centocinquant’anni più tardi, le fonti termali di Hepburn Springs sono tra le principali mete turistiche dello Stato del Victoria.

Nonostante alcuni esempi di successo, la storia dell’emigrazione svizzera e italiana verso le miniere d’oro vittoriane è però contraddistinta da difficoltà e fallimenti: la maggior parte degli espatriati ha condotto una vita sofferta e disagiata.

«In generale vi era una scarsa conoscenza delle condizioni locali», annota Robert Pascoe. «Non sono rari i casi in cui sono stati scelti terreni aridi e inadatti; molti si sono poi dovuti rassegnare al fatto che non era possibile lanciare un’attività casearia commercialmente proficua».

«Non c’è inoltre stata alcuna continuità nella loro cultura: la comunità era in effetti troppo ristretta e col passare degli anni numerose persone si sono trasferite a Melbourne».

Austral-italiano

C’è comunque un aspetto che – al di là di considerazioni o interpretazioni più o meno soggettive – ha segnato incontestabilmente la realtà australiana: la lingua italiana.

«Negli anni 1850 – annota Claire Gervasoni – un decimo della popolazione di Hepburn Springs parlava italiano». Favorita anche dall’emigrazione italiana del Dopoguerra, quella di Dante si è poi progressivamente imposta come una delle lingue più diffuse in Australia dopo l’inglese.

«Oggi sono circa 900’000 le persone in Australia che parlano italiano», dice Antonio Pagliaro, professore di italianistica alla La Trobe University di Melbourne.

L’italiano, aggiunge Pagliaro, soffre però della competizione delle lingue asiatiche, molto popolari dalle nostre parti. «Non dobbiamo poi dimenticare – conclude il professore – che quello che parliamo qui è spesso un italiano anglicizzato. Penso a mia suocera: quando chiama in Italia, sua sorella non riesce a capire metà delle espressioni!».

Luigi Jorio, di ritorno da Melbourne, swissinfo.ch

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