L’OMS passa anche da Dio per rivolgersi ai poveri

Gli enti religiosi assicurano il 40% delle cure nel mondo. Centinaia di Avventisti del settimo giorno provenienti da 90 paesi si sono riuniti a Ginevra per valutare le possibilità di un partenariato con l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Una collaborazione che solleva però qualche perplessità.
Un’alleanza contro natura oppure una sensata unione della ragione? L’OMS, diretta dai 193 Stati membri, collabora strettamente con gli enti religiosi per introdurre i principi di sanità pubblica nelle regioni più povere del mondo. Le finalità di tali partenariati appaiono evidenti; sorgono però degli interrogativi di fondo.
Stile di vita esemplare
Mentre l’OMS intende trasmettere un messaggio assolutamente pragmatico, alcune Chiese non concepiscono la salute senza Dio. Centinaia di membri della Chiesa avventista del settimo giorno (una delle più vaste comunità protestanti nata a metà Ottocento negli Stati Uniti) hanno incontrato, nel mese di luglio a Ginevra, gli esperti dell’agenzia dell’ONU per valutare i termini della loro collaborazione.
«Gli enti religiosi di tutte le confessioni assicurano il 40% delle cure nel mondo. Da molti anni li includiamo nelle nostre strategie sulla sanità», riconosce Ted Karpf, responsabile dei partenariati presso l’OMS.
«Il nostro approccio con gli Avventisti del settimo giorno s’iscrive in questa prospettiva», afferma. «Dispongono di 25 milioni di membri e possiedono più di 5’000 ospedali, soprattutto nei paesi poveri. Con uno stile di vita esemplare – niente alcol, caffè, sigarette o carne – il loro messaggio sulla salute è molto coerente. Inoltre hanno sviluppato un sistema di comunicazione molto sofisticato, via satellite, che permette di raggiungere le zone più remote e svantaggiate. Una tale infrastruttura è per noi molto preziosa».
Staccarsi dal discorso messianico
Detto questo, l’OMS come riesce a portare avanti dei programmi sanitari, senza per questo aderire al discorso messianico? Per gli Avventisti del settimo giorno infatti, come d’altronde per la maggior parte dei movimenti religiosi, il bene fisico e quello spirituale sono indissociabili.
L’OMS, invece, rammenta il dottor Allan Handysides, direttore dei ministeri della salute della Chiesa avventista, si attiene a criteri scientifici.
«Le nostre indagini sul terreno – assicura il responsabile dell’OMS – hanno evidenziato che non usano il tema della salute per fare proseliti. Vogliamo che queste Chiese si sviluppino secondo le priorità delle Nazioni Unite, in particolare secondo gli obiettivi del Millennio per lo sviluppo, che si prefiggono di ridurre la mortalità infantile, migliorare l’assistenza sanitaria alle mamme, combattere l’AIDS, il paludismo e altre malattie. Sta a loro valutare se sono pronti a collaborare».
Collaborazioni flessibili
Proprio per questa ragione è stato organizzato un incontro a Ginevra. «Non siamo pronti a lanciarci in un partenariato che implica un contratto legale», concordano Allan Handysides e il suo collega Peter Landless, esperto della Chiesa per le questioni di prevenzione della tossicomania e dell’alcolismo».
«Questa tappa – sottolineano – è prematura e implicherebbe concessioni incompatibili per le due parti. Preferiamo elaborare collaborazioni più flessibili».
Se l’OMS può approfittare delle eccellenti infrastrutture degli Avventisti, quest’ultime necessitano, nell’epoca della mondializzazione, delle reti e delle banche dati dell’agenzia dell’ONU.
«L’OMS ci può aiutare nel dialogo con i governi», conferma Peter Landless. «L’agenzia ha inoltre stabilito delle linee direttive sulla buona prassi di lavoro e ha identificato precisamente i bisogni nel mondo. Tutti questi dati ci sono indispensabili per lavorare in modo efficace».
Porsi le domande giuste
Per Anne-Marie Holenstein, esperta di questioni legate allo sviluppo e consulente indipendente presso la Direzione svizzera per lo sviluppo e la cooperazione (DSC), tali avvicinamenti sono giustificati.
«Gli Avventisti del settimo giorno rientrano nella categoria delle chiese libere e non sono una setta. Presentano poi un evidente interesse geografico: si tratta della chiesa protestante più diffusa nel mondo (oltre 200 paesi)».
L’esperta della cooperazione svizzera mette però in guardia. «I loro membri aumentano rapidamente, ciò che significa che sono molto attivi sul fronte dell’evangelizzazione. Degli organi come la DSC o l’OMS devono porsi le domande giuste: utilizzano i loro servizi nel campo della salute per fare proseliti? I loro ospedali sono aperti a tutti? Su quali criteri valutano la salute spirituale dei loro pazienti?».
«Si tratta di un concetto filosofico che non implica la selettività delle cure dirette ai pazienti», precisa Ansel Oliver, portavoce della Chiesa, aggiungendo che lo staff è multiconfessionale.
L’avvio della collaborazione, ritiene comunque Anne-Marie Holenstein, deve essere preceduto da un accordo sui criteri e i metodi di gestione. «Le parti potrebbero mettersi d’accordo sui rischi potenziali e stabilire una valutazione comune. Questo nell’interesse di tutti i partner».
Carol Vann, InfoSud/swissinfo.ch
(traduzione dal francese: Luigi Jorio)
La cooperazione svizzera ha elaborato uno strumento destinato a facilitare le relazioni tra le ong (organizzazioni non governative) e il loro partner locali. Alcuni punti chiave sono:
1.Qual è il ruolo della religione e della spiritualità, intesi come fattori socioculturali, nelle linee direttive e negli obiettivi strategici di un’organizzazione?
2.In che modo l’organizzazione concepisce i rapporti tra i valori fondamentali della democrazia, dei diritti umani e delle religioni?
3.Quale atteggiamento concreto adotta l’organizzazione di fronte alle pretese assolutiste religiose e non religiose che si pongono sia dall’interno che dall’esterno?
4.È disposta a collaborare sia con le organizzazioni secolari, sia con gli attori di diverse comunità religiose per raggiungere gli obiettivi del programma e favorire l’integrazione sociale?
5.Il profilo delle competenze dei collaboratori dell’organizzazione prevede una valutazione personale sul potenziale e i rischi della religione e della spiritualità?
6.L’organizzazione è capace di captare, nel quadro dei suoi programmi, eventuali segnali di strumentalizzazione dell’identità religiosa a fini di conservazione oppure di ampliamento del potere pubblico?
7.Siamo sicuri che la cooperazione allo sviluppo non sarà sfruttata a scopi di proselitismo?
8.Il sistema di valori fondato sulla religione è sufficientemente aperto per valutare, adattarsi e reagire in modo creativo alle trasformazioni del contesto socioculturale?

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