Lo svizzero che salvò oltre 62mila ebrei
Per la prima volta in Svizzera è stato realizzato un documentario su Carl Lutz, eroico viceconsole elvetico a Budapest.
Dopo Israele e l’Ungheria, anche la Svizzera rende onore a un uomo che, insieme alla moglie, decise di non restare con le mani in mano di fronte all’efferatezza dei nazifascisti.
Forse la realtà più incredibile è che in Svizzera quasi nessuno conosce la figura di Carl Lutz, nessuno fino a oggi ha prodotto un documentario sulle sue imprese, nessuno si è battuto perché i suoi meriti venissero riconosciuti prima della morte, avvenuta nel 1975.
Eppure si tratta di uno dei più grandi eroi che la Svizzera abbia mai avuto, un diplomatico di origini appenzellesi che con l’unico aiuto della moglie riuscì a strappare ai campi di concentramento e alle feroci “croci frecciate”, i fascisti dell’Ungheria nazista, migliaia di ebrei.
Quando l’omaggio arriva per caso
Ora la figura di Lutz viene portata alla ribalta da una serie di iniziative concomitanti, prima fra tutte un documentario (o meglio un “docu-dramma”, visto che agli spezzoni storici si alternano sequenze recitate da attori) prodotto dalla Televisione della Svizzera Italiana (TSI), a cura del giornalista Aldo Sofia e del regista Enrico Pasotti.
Aldo Sofia spiega che l’idea è nata quasi per caso, da un trafiletto di giornale che parlava di una mostra in Israele. Da lì è partito un complesso lavoro di ricerca, fino ad arrivare all’ora e venti abbondante di docu-fiction.
L’opera è stata realizzata purtroppo con mezzi contenuti, ma è ricca di materiale storico e interviste con sopravvissuti del ghetto di Budapest, oltre che con la stessa figlia adottiva di Lutz, Agnes Hirschi, figlia di una donna ebrea salvata dal diplomatico e poi divenuta la sua seconda moglie.
La storia
Tutto cominciò nel 1942, quando il 47enne Carl viene nominato viceconsole presso l’ambasciata svizzera a Budapest e si trasferisce nella capitale ungherese con la moglie Gertrud. La sua prima azione, avendo subito compreso il destino riservato dai nazisti agli ebrei, è quella di far emigrare diecimila bambini, in collaborazione con l’Agenzia ebraica per la Palestina.
Nel marzo del 1944 Budapest viene occupata dalle truppe tedesche e il famigerato ufficiale delle SS Adolf Eichmann dà il via alla deportazione di massa degli ebrei ungheresi. Vagoni blindati, marce forzate verso Vienna decimano la popolazione del ghetto.
In questo inferno Lutz ha un’idea: emettere un numero inverosimile (molto più alto del consentito) di “Schutzbriefe”, “lettere di protezione” che garantiscano al possessore la tutela diplomatica di Berna.
Scelte dolorose
Tra la popolazione ebraica si scatena così una vera caccia alla “Schutzbrief” e non poche furono quelle falsificate. La figlia adottiva ricorda un momento particolarmente drammatico, quello in cui Carl e la moglie Gertrud vengono obbligati dalle SS a riconoscere le vere Schutzbriefe da quelle false.
Il loro giudizio, quel giorno, decise della vita e della morte di molti ebrei, una scelta dolorosissima cui purtroppo non poterono sottrarsi, pena rappresaglie dei nazisti sugli altri ebrei da loro protetti.
Lutz nel frattempo aveva esteso la tutela elvetica anche a una sessantina di palazzi di Budapest e a una ex fabbrica di vetro (“la casa di vetro”), tutti edifici che avevano ottenuto lo status di extraterritorialità e che ospitavano migliaia di ebrei protetti dalle Schutzbriefe.
Varie volte il viceconsole dovette intervenire a rischio della propria vita per impedire in extremis retate delle “croci frecciate”, riuscendo quasi per miracolo a mantenere l’inviolabilità diplomatica di quei palazzi fino all’arrivo dell’Armata Rossa e al crollo del regime nazista nel 1945.
La riconoscenza d’Israele e il silenzio di Berna
In seguito, fonti ebraiche stabilirono che il sistema ideato da Lutz aveva salvato oltre 62mila ebrei e, nel 1964, Israele nominò lui e Gertrud (da cui nel frattempo aveva divorziato) “Giusti tra le nazioni”. Silenzio e imbarazzo invece da Berna: più volte, anzi, il Ministero degli Esteri accusò Lutz di aver abusato del suo ruolo, arrivando a mettere in pericolo la neutralità elvetica.
Nel 1975, il viceconsole morì amareggiato per non aver ottenuto alcun riconoscimento ufficiale; Gertrud morì d’infarto nel 1995, proprio mentre si recava da Berna a Zurigo in treno per partecipare a una trasmissione della Televisione della Svizzera Tedesca che, finalmente, avrebbe dovuto spiegare agli svizzeri i meriti suoi e del marito.
swissinfo, Alessandra Zumthor
La Televisione della Svizzera italiana ha realizzato un documentario incentrato sulla figura di Carl Lutz.
Intitolato “La casa di vetro”, il filmato narra di come il diplomatico elvetico riuscì a salvare più di 62’000 ebrei ungheresi.
Altre iniziative stanno ricordando all’opinione pubblica la figura di Lutz: di recente a Budapest, dove nel 1991 gli è stato dedicato un monumento, è stata inaugurata una fondazione a suo nome.
Inoltre, per la prima volta, una biografia di Lutz verrà tradotta in italiano.
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