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Ritorno alle origini con la Svizzera nel cuore

Ramiz Salihu ha trascorso 15 anni in Svizzera prima di far ritorno in Kosovo swissinfo.ch

In Svizzera hanno trovato un rifugio sicuro ed un clima amichevole. Poi il rientro, sofferto, nei loro villaggi in Kosovo e l'inizio di una nuova esistenza. È la storia di Ramiz e Homez, ritornati in patria da "eroi" grazie anche al contributo elvetico.

Le strade di Pristina sono prese d’assalto. Automobili di grossa cilindrata hanno occupato i rarissimi parcheggi e si sono quindi prepotentemente impossessate dei già mal ridotti marciapiedi. Lungo le vie principali della città, un andirivieni di targhe straniere rende la vita dei pedoni ancor più complicata.

È l’annuale “invasione” del Kosovo, che ogni estate vede affluire per le vacanze decine di migliaia di espatriati da tutta Europa, soprattutto dalla Svizzera. Argovia, Zurigo, San Gallo, Vallese, Ticino… il numero di veicoli con targhe elvetiche è a dir poco impressionante.

Ramiz Salihu, sulla quarantina, e il giovane Homez Morina conoscono bene i colori rossocrociati. Anche loro osservano il viavai dei connazionali: con un pizzico d’invidia e parecchia nostalgia.

Evitare le persone “sbagliate”

«È difficile vivere qui dopo 15 anni trascorsi in Svizzera», confessa Ramiz Salihu mentre ci accompagna tra i viottoli del villaggio di Skivjan, nella campagna attorno a Gjakova nell’ovest del paese.

«La situazione economica è disastrosa e i rapporti con le persone sono più complicati: in Svizzera mi incontravo liberamente con serbi, bosniaci o albanesi; qui, invece, se vai con le persone “sbagliate” sei visto con diffidenza», spiega Ramiz, della minoranza egizi.

«Se mi faccio prestare 100 euro – aggiunge – il mese seguente devo restituirne 2 o 300. E credimi, è meglio pagare…». Ramiz distoglie lo sguardo e per qualche secondo si assenta in chissà quale pensiero. Ritrova però rapidamente il sorriso: «Guarda, ho lavorato qui», dice fiero mostrando un biglietto da visita di una pizzeria di Berna.

«Ero in Svizzera come rifugiato e ufficialmente non avevo il diritto di lavorare; guadagnavo 2’200 franchi al mese e quando riuscivo spedivo 200-300 franchi ai miei genitori rimasti in Kosovo».

«Ancora oggi – prosegue indicando le case dei suoi vicini – se non fosse per le rimesse dall’estero il nostro villaggio non potrebbe sopravvivere».

Aiuto al ritorno

Esiliato nella Confederazione per sfuggire alla persecuzione serba, Ramiz ricorda con tristezza il momento del ritorno a casa. «Un giorno la polizia è venuta nel ristorante intimandomi di lasciare il paese: non me ne andavo certo volentieri, mi ero fatto tanti amici, ma non avevo scelta».

A rendere il rimpatrio meno amaro ci ha pensato l’Ufficio federale della migrazione, che in collaborazione con l’Organizzazione internazionale della migrazione (OIM) ha proposto a Ramiz di partecipare al suo programma di aiuto al ritorno. Un programma che prevede un sistema di prestazioni volte a facilitare la reintegrazione nel paese di origine (vedi dettagli a fianco).

Grazie al versamento di una piccola somma in denaro, Ramiz ha potuto acquistare un motocoltivatore per il trasporto di materiale all’interno della sua comunità. Per meglio gestire la sua attività, ha pure potuto beneficiare di un corso di formazione professionale.

Eroe in patria

«Nel 2006, due anni dopo il mio ritorno in Kosovo – racconta – mi è stata poi offerta la possibilità di sviluppare un progetto a beneficio della collettività. Siccome nel villaggio non c’era abbastanza elettricità, ci siamo accordati sulla costruzione di un trasformatore».

La collaborazione tra l’OIM e la municipalità locale si è rivelata fruttuosa: a molte delle 45 famiglie di Skivjan manca ancora l’acqua corrente, ma perlomeno hanno possono far funzionare frigoriferi e televisione.

«Al mio rientro a casa tutti mi chiedevano come mai non sono rimasto in Svizzera e perché non mi sono sposato là. Ora tutti mi ringraziano per il trasformatore, considerandomi una sorta di eroe», dice Ramiz. «Ma io dico grazie all’OIM e alla Svizzera per aver realizzato la mia idea».

Prima il cibo, poi il pallone

Anche Homez Morina, 25enne egizi, ha un buon motivo per essere riconoscente. Rifugiato in Svizzera per 18 mesi, ha ritrovato la moglie e i figli rimasti a Gjakova alla fine del 2006.

«Al momento del mio rientro mi è stato detto che avrei potuto usufruire di un aiuto. Ho così potuto acquistare un veicolo per il trasporto della legna». Homiz lavora col cugino e durante l’estate le ordinazioni non mancano. «Guadagno 10-20 euro al giorno. Non è male, ma devo risparmiare: quando arriverà l’inverno sarà più difficile avere lavoro».

«In Svizzera mi piaceva giocare a calcio», ricorda. «Qui purtroppo non c’è tempo per lo sport, devo lavorare: ai miei figli non interessa il calcio, importa mangiare».

Niente lavoro ai kosovari

Durante il suo soggiorno in un centro per richiedenti l’asilo nei Grigioni, Homiz ha imparato ad esprimersi in un buon tedesco. Ha anche tentato di trovare un’attività, ma la risposta dei datori di lavoro è sempre stata la stessa: «Vieni dal Kosovo? No grazie, abbiamo già avuto abbastanza problemi in passato…».

Quando dagli amici svizzeri sente parlare della crescente stigmatizzazione nei confronti degli immigrati balcanici e dei problemi di criminalità causati da alcuni kosovari, Homiz prova un senso di stizza. «Concordo con chi afferma che gli elementi “cattivi” vanno espulsi. Non bisogna però fare di tutta l’erba un fascio».

Ramiz Salihu è della stessa opinione: «Condannare chi crea problemi è giusto; sbagliato è punire anche coloro che si comportano correttamente».

swissinfo, Luigi Jorio, di ritorno da Gjakova

Popolazione del Kosovo: 2,1 milioni (stima del 2007).
Superficie: 10’887 km2 (Svizzera: 41’285 km2).
Lingue ufficiali: albanese e serbo.
Gruppi etnici: 92% albanesi, 5% serbi , 3% altri (gorani, rom, ashkali, egizi).
In Svizzera vivono tra i 170 e i 190mila kosovari.

Il programma di aiuto al ritorno è proposto ai richiedenti l’asilo e ad alcune categorie di stranieri dall’Ufficio federale della migrazione; è messo in atto dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione, dall’Organizzazione internazionale della migrazione e dai cantoni.

Esso comprende diversi tipi di prestazioni: servizio di consulenza; aiuto individuale al ritorno (organizzazione del viaggio, contributo finanziario iniziale, assistenza medica, finanziamento di una formazione professionale); programmi all’estero (per la reintegrazione di gruppi di persone); aiuto strutturale (finanziamento di un progetto a beneficio di tutta una comunità, ad esempio la costruzione di scuole e ospedali).

Con il “Partenariato migratorio tra la Confederazione e i Balcani occidentali 2007-2009” (budget: 1,5 milioni di franchi) Berna intende concentrare il suo intervento sulle persone vulnerabili (anziani, persone sole, malati,…) e sugli individui appartenenti ad una minoranza etnica.

Dal 1999, 34’000 persone sono state assistite nel loro rientro dalla Svizzera al Kosovo.

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