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Il federalismo svizzero, un modello per il Nepal

La gioia nelle strade di Kathmandu dopo la firma dell'accordo di pace Keystone

A due mesi dalla fine della guerra civile, il Nepal ha accettato l'invito del Dipartimento federale degli affari esteri e ha inviato una delegazione in Svizzera per discutere della nuova costituzione.

Il politologo svizzero Günther Bächler – che ha seguito tutto il processo di pace – accompagna e consiglia i 26 membri della delegazione.

Sono passati appena due mesi dalla firma dell’accordo di pace in Nepal e il paese asiatico è immerso nei preparativi per la nuova costituzione. Per discutere della forma da dare al testo costituzionale, una delegazione nepalese si è riunita a Thun, nei pressi di Berna. La commissione è accompagnata dall’esperto svizzero Günther Bächler che dal 2005 segue il processo di pace a Kathmandu.

«Ci piacerebbe costruire una Svizzera in Asia», ha spiegato martedì a Berna Prakash Man Singh, segretario generale supplente del congresso nepalese.

Anche se è consapevole del fatto che il modello svizzero non può essere trasportato senza modifiche alle falde dell’Himalaya, Prakash Man Singh si è detto felice di avere l’occasione d’imparare molte cose sulla Confederazione, in particolare per quanto riguarda il federalismo.

Momento storico

Unitamente a 25 connazionali, Singh partecipa ad un seminario di più giorni organizzato dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) dedicato alla raccolta d’idee per l’elaborazione della costituzione nepalese.

«Stiamo vivendo un momento che è nel contempo ricco di stimoli e di sfide», ha detto Singh. Dopo dieci anni di guerra civile e 13’000 morti, le parti in conflitto si sono sedute al tavolo delle trattative e il 21 novembre del 2006 hanno firmato un articolato accordo di pace.

Ora è giunto il momento di elaborare una nuova costituzione. Inoltre, in base all’accordo, in giugno dovranno tenersi le prime elezioni democratiche della storia del paese himalayano.

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Consigliere di pace svizzero

Il processo di pace è seguito con occhio attento da Günther Bächler che opera nella capitale nepalese dal 2005. Il suo mandato come consigliere di pace ha una durata di due anni.

Il politologo svizzero è l’unico mediatore a cui è stato concesso di allacciare dei rapporti di fiducia con tutte le parti in causa. Per mesi – racconta Bächler – ha praticato una diplomazia-navetta mediando tra i ribelli maoisti, il governo e i partiti democratici del centro.

Le parti in conflitto hanno escluso l’intervento ufficiale di terzi. Tuttavia – spiega Bächler – le discussioni preliminari hanno rappresentato una base importante per l’elaborazione dell’accordo di pace.

Impegno di lunga data

Il Nepal è uno dei paesi in cui si concentra l’aiuto allo sviluppo elvetico. La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) sostiene progetti in Nepal da più di quaranta anni.

L’impegno svizzero nel paese asiatico – ha dichiarato l’ambasciatore Thomas Greminger, direttore della Sezione politica IV del DFAE – è stato importante per gli sviluppi positivi del processo di pace.

La Svizzera, però, non ha solo dato, ma ha approfittato di un ritorno d’immagine. «La Confederazione è riuscita ha rafforzare la sua fama di paladina indipendente dei diritti umani e di rappresentante di una società civile forte», ha concluso Greminger.

swissinfo e agenzie

Lo storico accordo di pace che ha messo fino ad una guerra civile durata dieci anni è stato firmato a Kathmandu il 21 novembre 2006 dal governo e dai ribelli maoisti.

Osservatori delle Nazioni unite stanno provvedendo al disarmo dei ribelli. Il primo gruppo di osservatori dovrebbe essere rafforzato dopo la pubblicazione del rapporto sul Nepal del Segretariato generale delle Nazioni unite.

Stando ad informazioni della BBC, il rapporto sarà pubblicato l’undici gennaio.

In Nepal dovrebbero essere inviati fino a 150 osservatori, provenienti in particolare da Canada, Giordania e Yemen.

Nel corso della terza settimana di gennaio, due gruppi di sorveglianza cominceranno a immagazzinare in container le armi consegnate.

Anche alle truppe governative è stato chiesto di consegnare una parte delle loro armi.

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