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Architetti ticinesi nella Venezia del Seicento

Santa Maria del Giglio, uno dei capolavori di Giuseppe Sardi. swissinfo.ch

Antonio e Giuseppe Sardi da Morcote protagonisti di una mostra allo Spazio culturale svizzero in laguna.

La mano dei due architetti si ritrova in molti prestigiosi edifici veneziani, tra cui la chiesa di Santa Maria del Giglio.

Chi si trova a camminare per le calli di Venezia tra piazza San Marco e il rinato Teatro La Fenice, si imbatterà facilmente in un “campo” (le piazzette veneziane) elegante e vivace, via di transito ma anche spazio tranquillo per un caffè all’aperto.

È campo Santa Maria del Giglio, illuminato dal candore immacolato della facciata di una delle più belle chiese della Venezia seicentesca, cui appunto deve il nome. Ma non tutti sanno che dietro quei marmi lucenti si cela la mano di un architetto svizzero, ticinese di Morcote: Giuseppe Sardi, figlio di Antonio, che in questa facciata realizzata a fine ‘600 lasciò il suo capolavoro assoluto.

Un’opera disseminata in tutta la città

Uno dei tanti gioielli nascosti nel cuore della Serenissima, che ora lo Spazio culturale svizzero di Venezia si propone di valorizzare, nella suggestiva sede di palazzo Trevisan degli Ulivi affacciato sul canale della Giudecca. Il Centro svizzero dedica infatti ai due architetti di Morcote una mostra che ne ripercorre le opere, disseminate per tutta la città.

Si comincia da Santa Maria del Giglio, per passare agli altari della chiesa dell’Ospedaletto e alla facciata della Scuola Grande di San Teodoro a Rialto, opere di Antonio Sardi, alla facciata della sontuosa chiesa dei Carmelitani Scalzi, adiacente alla stazione ferroviaria di Santa Lucia, e al monumento Mocenigo nella chiesa di San Lazzaro, disegnati dal figlio Giuseppe.

I legami con Baldassarre Longhena

Non mancano i riferimenti ad aneddoti curiosi, come la collaborazione professionale – divenuta pian piano una stretta amicizia – tra i Sardi e Baldassarre Longhena, l’architetto più importante del barocco veneziano, autore della famosa basilica della Salute sul Canal Grande. Stando ai documenti riprodotti in mostra, Longhena fu addirittura testimone di nozze di Antonio Sardi nel giorno del suo secondo matrimonio, che coincise con le nozze del figlio Giuseppe.

Come spiega la curatrice Paola Piffaretti, in un caso – divenuto celebre – Giuseppe Sardi riuscì poi là dove il grande Longhena aveva fallito, e cioè nell’opera di raddrizzamento del campanile della chiesa dei Carmini.

“Era successo – racconta – che la torre campanaria, progettata da Giuseppe Sardi, era stata costruita pendente per colpa di un impresario costruttore maldestro, non a caso soprannominato ‘lo Stortina’. Di fronte al monumento mal riuscito, Longhena scosse il capo dicendo che non c’era più niente da fare, a parte rassegnarsi ad una demolizione. Ma Giuseppe, che evidentemente teneva al suo progetto, con un sistema di cunei di legno fatti sciogliere in uno speciale acido riuscì a raddrizzare il campanile, che ancora oggi è lì al suo posto”.

Non solo architettura

Come esiste ancora, nella chiesa dei Carmini, la tomba di famiglia dei due architetti ticinesi, sepolti dunque a Venezia e mai più tornati in patria. In mostra al Centro svizzero ci sono anche copie tarde degli attrezzi usati da scultori e scalpellini nel ‘600, prestati dal collezionista Gianfranco Rossi, presidente della Fondazione svizzera Pro Venezia. E non mancano accenni agli importanti restauri di opere dei Sardi, finanziati proprio da Pro Venezia: di gran valore quello della facciata di Santa Maria del Giglio, dal 1994 al ’97, che ha permesso all’antico capolavoro di ritrovare tutto il suo splendore, mentre nel 2001 è iniziata la rimessa a nuovo del monumento Mocenigo.

Alla fine, dopo aver ammirato cartelloni e documenti storici, non si può ignorare il vero invito della mostra: quello di tornare a perdersi tra rii e calli, per ritrovare qua e là il passaggio di mani venute da lontano. Mani che, secoli fa, hanno portato il loro piccolo ma prezioso contributo alla nascita di una città dalla magia senza eguali.

swissinfo, Alessandra Zumthor

La mostra allo spazio culturale svizzero di Venezia dedicata a Antonio e Giuseppe Sardi è stata inaugurata il 23 marzo e rimarrà aperta fino all’8 maggio 2005.

Antonio Sardi (1580 ca. – 1661) giunge appena ventenne nella città lagunare, dove apre una bottega di ‘tajapiera’ (scalpellino). Da semplice artigiano diventa uno stimato architetto, realizzando, tra le altre cose, gli altari nella chiesa dell’Ospedaletto o le facciate di S. Salvador e della Scuola Grande di S. Teodoro a Rialto.

Giuseppe, l’ultimogenito di Antonio Sardi, nasce nel 1624 e muore nel 1699. Con il suo capolavoro – la facciata di Santa Maria del Giglio – Giuseppe Sardi è annoverato tra i protagonisti del Seicento veneziano.

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