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Bregaglia, terra d’artisti

Il paesaggio della Bregaglia con il villaggio di Soglio in primo piano. www.picswiss.ch/Roland Zumbühl

Alberto Giacometti è nato nel 1901 in una vallata alpina, circondata da montagne altissime. Malgrado allora l'agricoltura dominasse ancora la vita della Bregaglia, esisteva una tradizione di cultura e di cosmopolitismo. Uomini e donne viaggiavano, leggevano, e soprattutto amavano la pittura. L'accesso di Alberto Giacometti all'arte non è dunque casuale.

Alberto Giacometti era profondamente legato alla Bregaglia, la sua piccola vallata nelle Alpi retiche. È in questo spazio, una sorta di giardino segreto, che il suo estro ha potuto svilupparsi e dare forma ad un’opera artistica centrale per il Novecento.

La Bregaglia è una vallata stretta, una profonda fessura scavata dal fiume fra le montagne che superano i 3000 metri. I villaggi sono disseminati sul percorso della strada principale, ai piedi delle montagne. Alcuni insediamenti sono appollaiati sulle pendici, ostentando al sole i loro tetti di pietra, i fienili e le case. Un luogo selvaggio si potrebbe pensare, lontano da qualsiasi forma di civiltà. Un luogo da abbandonare o da frequentare al massimo per le vacanze.

Hortus conclusus?

L’immagine della valle sperduta non basta però a spiegare la nascita di una figura di tale rilievo. Per la storica dell’arte Dora Lardelli è necessario sfatare i miti: “In primo luogo – spiega – la Bregaglia non era un mondo chiuso. Già da secoli gli abitanti viaggiavano, valicando i passi che delimitano il territorio. In particolare nell’Ottocento – come tanta parte degli emigranti grigionesi – gli abitanti della Bregaglia facevano i pasticceri nelle maggiori città europee, raccogliendo esperienze e conoscenze da riportare in valle”.

“D’altro canto – continua Dora Lardelli – in quel periodo c’era l’industria nascente del turismo che portava verso l’Engadina, ma anche in Bregaglia, molti turisti da tutta Europa”. Fra questi c’era anche l’artista italiano Giovanni Segantini che sarebbe diventato amico del padre di Alberto, Giovanni Giacometti. Giovanni stesso avrebbe intessuto contatti con i maggiori artisti del tempo, soprattutto elvetici. Fra questi Cuno Amiet e Ferdinand Hodler.

“C’erano anche altri personaggi, minori e in parte dimenticati, che hanno sfruttato questa posizione aperta della valle”, continua la storica dell’arte che ha dedicato molta attenzione alla produzione artistica della regione. Per esempio Elvezia Michel, influenzata dai Giacometti o Samuele Giovanoli, un artista naïf, o ancora Andrea Robbi. Si tratta di artisti riscoperti negli ultimi anni.

Una famiglia di artisti

Alberto è figlio d’arte. Il padre, Giovanni, era il primo ad aver abbandonato commerci e agricoltura a favore dell’accademia delle belle arti. Per Dora Lardelli il passo è lungo, ma non illogico: “Già gli avi Giacometti si occupavano del bello nella loro attività di pasticcieri. Presentare paste e pasticcini con successo, nelle grandi città d’Europa, necessita di una spiccata capacità manuale ed estetica”.

Oltre al padre, rimasto fedele al villaggio natale di Stampa, anche il cugino Augusto era artista. Tutti e due ebbero un lusinghiero successo in Svizzera, malgrado non siano riusciti a raggiungere una fama internazionale. Giovanni Giacometti riuscì ad acquistare un certo agio finanziario, permettendo alla famiglia di vivere senza problemi nel villaggio di Stampa.

Già in giovane età furono riconosciute le capacità del giovane Alberto. I genitori sostennero questa sua dote a lungo, perdonando la sua intemperanza nel frequentare scuole e accademie. A Parigi poi, Giacometti trovò il clima adatto per continuare la sua ricerca estetica. Eppure ritornava regolarmente, soprattutto nei mesi invernali, al suo villaggio.

Per tutta la vita, anno dopo anno, Alberto Giacometti sarebbe ritornato nella sua valle. “Diceva – annota il suo biografo James Lord – che se avesse potuto dividersi in tanti pezzi per sperimentare più a pieno la vita, il pezzo più grande sarebbe sempre rimasto a Stampa”.

Daniele Papacella

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