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Caccia alla varroa per fermare l’apicidio

Un'immagine che potrebbe diventare rara? Le api mellifiche sono state decimate negli ultimi anni www.db-alp.admin.ch

I ricercatori partono all'attacco con una nuova offensiva internazionale, coordinata dalla Svizzera, per sconfiggere la principale responsabile dell'ecatombe di api registrata negli ultimi anni, la varroa destructor. Una lotta sostenibile per evitare disastrose conseguenze economiche ed ecologiche.

Improvvise, imponenti, inspiegabili: sono le caratteristiche comuni delle morie d’api segnalate in Europa, Cina e Nordamerica dagli anni ’90. In Svizzera sono stati registrati picchi di mortalità nel 2003 e nel 2008, hanno indicato martedì in una conferenza stampa gli studiosi del Centro di ricerche apicole (CRA) della Stazione federale Agroscope Liebefeld-Posieux (ALP).

Il fenomeno ha messo in stato d’allarme non solo gli apicoltori, ma anche il mondo scientifico e agricolo. L’impollinazione, infatti, dipende in larghissima misura dalle api mellifiche, hanno ricordato hanno ricordato i ricercatori dell’ALP.

“L’ape mellifica è l’animale più efficace nell’impollinazione, poiché è una ‘generalista’, vale a dire che ha uno spettro d’impollinazione molto vasto. Inoltre ha una strategia di bottinaggio in seno alla propria colonia: trasmette le informazioni alle altre”, ha spiegato l’ingegnere agronomo Jean-Daniel Charrière.

Oltre alla catastrofe ambientale, la sua scomparsa provocherebbe danni economici colossali. Uno studio franco-tedesco nel 2008 ha calcolato che il valore economico dell’impollinazione mondiale degli insetti si aggira sui 153 miliardi di euro all’anno. In altri termini, è pari a circa il 10% della produzione alimentare destinata all’uomo.

I ricercatori dell’ALP hanno stimato a 270 milioni di franchi il valore del raccolto svizzero di frutta e di bacche ricondotte all’impollinazione delle api. Quanto al valore annuale dei prodotti diretti dell’apicoltura (miele, cera, pappa reale…) ammonta a circa 65 milioni.

Nella classifica del valore dei prodotti di allevamenti animali in Svizzera, l’apicoltura si colloca al terzo posto, dietro agli allevamenti di bovini e di suini e davanti a quelli di volatili.

Misurare, analizzare, reagire

Considerata l’importanza della posta in gioco, è facile capire perché siano stati rapidamente chiamati alla riscossa gli scienziati per individuare le cause del fenomeno e cercare possibili rimedi. In primo luogo è indispensabile disporre di cifre attendibili per quantificare le perdite.

Gli esperti del CRA hanno perciò iniziato a censire le api a livello nazionale, ha spiegato Charrière. Si è così appurato che nell’inverno 2007/2008 in Svizzera il tasso di mortalità ha raggiunto il 18%, contro una media normale del 10%.

Parallelamente i ricercatori hanno avviato un’indagine conoscitiva con una cerchia più ristretta di apicoltori, per scoprire le cause delle morie inabituali e per estendere i test fuori dai laboratori e dalle stazioni di ricerca.

Più efficienza con la coordinazione

Per focalizzare il problema nel miglior modo possibile ed elaborare misure di lotta efficaci è inoltre importante una collaborazione a livello internazionale, ha osservato Peter Neumann. È così stata creata la rete COLOSS per lo scambio di informazioni, la comparazione dei dati e l’elaborazione di un’azione coordinata. Diretta dal CRA, attualmente conta 148 membri di 35 paesi d’Europa, Asia e America, ha precisato il ricercatore.

La ricerca coordinata ha consentito di stabilire che diversi fattori concorrono e interagiscono nella perdita di colonie di api, ma che il principale accusato sul banco degli imputati per apicidio è un acaro: la varroa destructor. Gli altri fattori – come per esempio malattie, pesticidi, trasformazione della struttura dell’apicoltura – svolgono un ruolo di complici.

I ricercatori del CRA non hanno ormai più dubbi sul nemico numero uno da combattere. Quel minuscolo parassita originario dell’Estremo oriente, la cui presenza in Europa è stata identificata per la prima volta alla fine degli Anni ’70 e in Svizzera appena 25 anni fa, minaccia l’esistenza di un insetto laborioso, presente sulla Terra da oltre 30 milioni di anni.

Nuove forme di lotta biologica

Pur senza perdere di vista gli altri fattori che provocano la moria di api e la perdita di colonie, gli esperti del CRA concentrano ora i loro sforzi nella lotta duratura contro la varroa. Sterminarla? Sarebbe impossibile, dichiarano i ricercatori. Occorre perciò attuare una strategia di lotta che conduca a un equilibrio fra l’ape e il suo parassita, come avviene per la specie asiatica.

I lavori di ricerca del CRA adesso combinano diverse piste, ha detto Jochen Pflugfelder. A medio termine si mira ad ottimizzare i metodi alternativi sperimentati negli ultimi anni. In particolare si vogliono sviluppare nuovi componenti di olii essenziali. A lungo termine, l’obiettivo è di sviluppare nuove forme di lotta biologica, cercando da un lato di aumentare la resistenza delle api al parassita e dall’altro lato di ostacolare la riproduzione della verroa.

swissinfo, Sonia Fenazzi

L’ape regina è l’unica femmina in grado di riprodursi. Depone più di 1.000 uova al giorno ed è alimentata dalle api operaie.
Le api operaie sono femmine sterili che provvedono a tutte le necessità dell’alveare.
Le api bottinatrici raccolgono il polline e il nettare. Depongono il polline, che è il nutrimento per le giovani larve, nelle cellette all’interno del nido. Il nettare è invece consegnato alle altre api che lo trasformeranno in miele. Quando il miele è maturo la celletta viene sigillata dalle api con un tappo di cera detto opercolo.
I fuchi hanno il compito di accoppiarsi con l’ape regina. Dopo essersi unito alla regina il fuco cade a terra e muore.

Acaro parassita che si riproduce all’interno delle cellule di covata degli alveari.
Colpisce l’esoscheletro dell’ape e si nutre di emolinfa.
Inocula sostanze tossiche e fluidificanti.
Favorisce l’ingresso di altri germi patogeni.
Nelle covate infestate dalla varroa, si è osservato un aumento della mortalità e delle malformazioni delle api, come pure della recettività alle patologie secondarie. Si è anche constatato un calo di attività delle operaie.

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