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Le Alpi svizzere specchiate in tre sguardi

Nell'esposizione "Vertige" c'è posto ancge per il bosco e i ricordi dell'infanzia Nicolas Faure

Tre rappresentanti della fotografia contemporanea svizzera raccontano il paesaggio alpino attraverso immagini totalmente diverse e sorprendenti nella loro originalità.

Con l’esposizione “Vertige”, la Galleria Gottardo rende omaggio non solo alla regina dell’iconografia nazionale – la montagna – ma anche alla fotografia come espressione artistica.

I tre sguardi sulle Alpi svizzere che si incrociano negli spazi della Galleria Gottardo a Lugano, sono quelli di Jules Spinatsch, Cécile Wick e Nicolas Faure. Tre sguardi che non hanno nulla in comune, se non l’amore per la montagna e la passione per la ricerca artistica e formale nella composizione dei rispettivi lavori.

Ma perché la montagna come filo conduttore della mostra? “Perché negli ultimi anni – spiega il direttore della Galleria Gottardo Franco Rogantini – ha assunto progressivamente una connotazione metaforica, esprimendo in modo molto chiaro le contraddizioni nel comportamento dell’uomo postindustriale rispetto alla natura e al paesaggio”.

Vertigini… in alta quota

Spazio di proiezione dell’anima svizzera, le Alpi costituiscono un teatro naturale dove pareti rocciose, vette imbiancate, boschi, pascoli e valli dialogano tra di loro apparentemente sospesi nel tempo. Rocce, ghiaccio, neve, foreste, hanno perso la loro verginità, senza però far morire la forza del sogno, il dolce richiamo dei ricordi, la nostalgia appesa all’ultimo e inaccessibile spuntone roccioso.

Significativo il titolo dato alla mostra. “In francese il termine ‘Vertige’ – commenta Franco Rogantini – ha almeno tre significati: il punto più elevato, la vetta del monte; sgomento e estasi dell’altezza, vertigini; incontro al vertice. Tutti i significati sono legati ad esperienze diverse”. Come quando in montagna, di fronte ad un abisso, si barcolla all’indietro: attrazione e paura sono facce di una stessa medaglia.

“Ma ‘Vertige’ – aggiunge la storica dell’arte Kathleen Bühler – potrebbe anche essere una metafora delle varie strategie adottate dai tre fotografi nel loro rapporto con la montagna. Essi infatti la rinnovano continuamente sia come soggetto, che come cliché nelle sue multiformi apparenze, esigenze ed interpretazioni simboliche”.

Come un grande parco dei divertimenti

Il grigionese Jules Spinatsch, propone una sua visione del mondo legato alle gare di sci alpino, chiamate anche dai cronisti sportivi il “circo bianco”. Nel raccontare questo grande parco dei divertimenti, Spinatsch non esita a lavorare sull’astrazione dell’immagine. D’un colpo, spaesati, siamo proiettati in paesaggi lunari, dove le luci che si specchiano nella neve ricordano il Mare della Tranquillità.

Eppure non c’è nulla di irreale. Attraverso scenari rigorosamente reali, contaminati dall’illuminazione artificiale che li rende quasi spettrali, Spinatsch ha voluto dare una rappresentazione grafica all’estraneazione dell’uomo nel suo «consumare la natura».

Nella serie intitolata “Snow Management”, il fotografo di Davos documenta con grande efficacia l’orientamento postmoderno che associa il mondo alpino ad un grande parco dei divertimenti. L’industria dell’intrattenimento creata intorno allo sport alpino, porta all’estremo i paradossi della complessa relazione fra l’uomo della città e la montagna stessa.

Un’aria di Sol Levante

Le fotografie di Cécile Wick sembrano quasi delle stampe giapponesi: pure, leggere, precise, capaci di catturare lo sguardo che viene assorbito dalla forza tridimensionale delle sue opere. “Amo moltissimo l’estetica giapponese – dice a swissinfo la fotografa – che cerco di trasmettere in alcune mie opere. Per me è importante cogliere l’essenza delle cose e trasmetterne l’intensità in modo leggero”.

L’artista argoviese segue infatti un percorso tutto suo ricorrendo a immagini per lo più monocromatiche con leggeri giochi di luci ed ombre (in bianco e nero o con tenui tonalità di colori) per descrivere ciò che è rimasto della grandezza e del mistero che circondava il mito delle montagne.

“Cécile Wick – spiega a swissinfo il direttore della Galleria – è una grande artista che lavora moltissimo anche con la stampa, nel suo grande atelier. È molto rigorosa e precisa. Ricorre a tecniche essenziali attraverso le quali riesce a materializzare il carattere evocativo del paesaggio con grande poesia”.

Il bosco come custode dei ricordi

Il ginevrino Nicolas Faure, attualmente tra i fotografi contemporanei svizzeri più quotati, ci invita ad un personale viaggio nella memoria, immersa totalmente nella natura. Nei lavori presentati alla Galleria Gottardo, ricerca nel paesaggio il luogo dei suoi ricordi di bambino. Rami e tronchi sembrano liane che si intrecciano e la volpe una presenza quasi magica.

“Ritornando, da adulto, nel bosco della sua infanzia – spiegano i curatori – Nicolas Faure analizza con grande delicatezza poetica, con occhio a volte malinconico e a volte crudo, l’attualità delle sue immagini interiori, cercando di far combaciare la sua nostalgia con la realtà nella quale si imbatte. È riuscito a documentare e tematizzare, in modo molto convincente, la commovente inutilità del ritorno alla natura”.

La montagna, come elemento trainante dell’esposizione, viene così declinata in tre modi radicalmente diversi. In un certo senso si è davvero colti da una sensazione di vertigine: a tratti spaesati, forse anche un po’ smarriti, ma sicuramente attratti dai volti insospettabili del paesaggio alpino.

swissinfo, Françoise Gehring, Lugano

La Galleria Gottardo riunisce nelle sue sale un’esposizione collettiva di tre fra i più importanti rappresentanti della fotografia contemporanea svizzera.

Il leitmotiv intorno al quale si sviluppa il concetto della mostra «Vertige» – aperta al pubblico fino al 26 aprile – è il paesaggio montano con i suoi disparati modi di apparire e di rivelarsi.

Il davosiano Jules Spinatsch, l’agroviese Cécile Wick e il ginevrino Nicolas Faure costruiscono con i loro lavori delle simbologie, delle associazioni e delle impressioni legate alla montagna.

I tre fotografi sono rappresentativi di un nuovo orientamento della fotografia svizzera di paesaggio. Tutti si sono allontanati dalla classica immagine delle Alpi, fino agli anni Ottanta consuetudine della fotografia svizzera ed espressione della conservazione di tradizioni popolari.

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