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Multimilionari contro l’UE: una scommessa dall’esito incerto

politici che ridono
L'imprenditore e amministratore patrimoniale Richard Tice (a sinistra) ha sostenuto l'uscita del Regno Unito dall'UE. Sull'immagine è assieme a Nigel Farage e Ann Widdecombe del Brexit Party durante una riunione del Parlamento europeo nel 2019. Keystone / Patrick Seeger

Che cosa accomuna i pro-Brexit nel Regno Unito con i contrari all'UE in Svizzera? Nelle loro fila ci sono facoltosi imprenditori e amministratori patrimoniali. È un fatto sorprendente? Nemmeno tanto.

In Svizzera, governo, politici e media hanno sostenuto che l’avvicinamento all’Unione europea comportava una perdita di “sovranità a favore della prosperità”. Si deve essere disposti a rinunciare a un po’ della propria indipendenza per rimanere economicamente concorrenziali e avere accesso allo spazio economico europeo. È questo il mantra che ci hanno ripetuto per anni.

È un’argomentazione che si è inculcata nelle teste degli svizzeri e che ora viene messa in discussione proprio da chi fino all’altro ieri era tra i maggiori sostenitori all’accordo quadro. Di recente, il vento è cambiato, almeno tra alcuni imprenditori, banchieri e amministratori patrimoniali che propendono per la via solitaria della Svizzera. Ma in passato non hanno forse sempre sostenuto che l’economia elvetica avrebbe approfittato dell’integrazione nell’UE?

“Questo piccolo gruppo di imprenditori sogna un’economia deregolamentata, simile a quella di Singapore.”

Janos Ammann, analista politico

Uno sguardo al di là del Canale della Manica ci mostra che in Gran Bretagna, imprenditori e investitori milionari, come Richard Tice, Paul Marshall o James Dyson, si sono schierati in prima fila a favore della Brexit. Sia nel Regno Unito sia in Svizzera la campagna contro l’UE è capeggiata da persone attive nel settore finanziario. Come mai?

“Questo piccolo gruppo di imprenditori sogna un’economia deregolamentata, simile a quella di Singapore”, spiega Janos Ammann, analista politico e blogger (il suo blog “Hauptstadt-Bericht”). Una maggiore integrazione della Svizzera nelle istituzioni, nei regolamenti e nei processi europei metterebbe i pali nelle ruote agli affari dell’alta finanza.

“Nell’UE, gli Stati europei possono prendere decisioni molto più efficaci e incisive contro gli interessi del capitale privato poiché agiscono in maniera concordata e non concorrenziale”, indica l’analista basato a Bruxelles. Non sorprende quindi che alcuni imprenditori guardino con nostalgia al periodo in cui il loro capitale finanziario era maggiormente conteso dagli Stati.

Il settore finanziario è spaccato

Per evitare fraintendimenti, bisogna ricordare che si tratta comunque soltanto di un piccolo gruppo di attori finanziari. “Le grandi banche, come UBS e Credit Suisse, hanno imparato a convivere con la regolamentazione europea”, dice Julie Cantalou, politologa e presidente del GLP Lab, un laboratorio di idee del partito dei Verdi liberali.

Il settore finanziario e bancario è spaccato sulla questione. Per esempio, l’Associazione svizzera dei banchieri sostiene l’accordo quadro. “Una maggiore integrazione all’UE migliora l’accesso al mercato delle banche”, scrive una portavoce a swissinfo.ch.

due uomini
Divergenze in seno a una dinastia di banchieri: l’ex presidente dell’Associazione svizzera dei banchieri, Pierre Mirabaud (a destra sull’immagine), è attivo in seno all’alleanza Kompass/Europa, mentre suo nipote, Yves Mirabaud, è impegnato nel campo avverso di Progresuisse. Su questa immagine del 2009, Pierre Mirabaud è con l’ex ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz. Keystone / Martial Trezzini

Inoltre, una mancata intesa con l’UE, sempre più probabile, farebbe scivolare alle calende greche l’accordo sui servizi finanziari con l’Unione europea. Un tale accordo sarebbe però importante per le banche affinché possano continuare ad acquisire clienti esteri od offrire prestiti. In più, c’è il rischio che l’UE giochi la carta delle ritorsioni, come nel 2019 quando ha revocato il riconoscimento dell’equivalenza borsistica, limitando così il commercio di azioni straniere in Svizzera.

Nonostante siano rivali in ambito finanziario, Svizzera e Regno Unito si sono avvicinati dopo la Brexit. Il 3 febbraio 2021, il Regno Unito ha riconosciuto l’equivalenza borsistica della Svizzera, mentre nel 2019 l’UE non l’ha prorogata per mettere sotto pressione la Confederazione affinché velocizzi il processo volto a trovare un’intesa sull’accordo quadro. Regno Unito e Svizzera intendono inoltre stipulare un accordo in materia di servizi finanziari.

“Le grandi banche non hanno alcuna difficoltà ad aprire un ufficio ad Amsterdam o in un altro centro finanziario europeo e non dipendono da simili accordi”, ricorda Cantalou. Per le piccole banche private o gli amministratori patrimoniali è invece più complicato ed è per questo motivo che il settore finanziario è diviso sull’accordo quadro.

I vari settori soppesano pro e contra

Stando a Cantalou, sia in Gran Bretagna nell’ambito del voto sulla Brexit, sia in Svizzera nel quadro della discussione sull’accordo quadro, le aziende soppesano i pro e i contra. “Si chiedono se tra dieci anni sarà meglio essere integrati o isolati?”. Ogni impresa e settore giunge a risposte diverse.

“Le lacune normative sono interessanti per il settore finanziario.”

Julie Cantalou, politologa

Il risultato di questa valutazione dipende molto da quanto il settore ha implementato gli standard europei, spiega Cantalou. “In ambito finanziario ci si deve attendere una maggiore regolamentazione, anche a causa della crisi finanziaria”.

Sia Ammann che Cantalou sostengono che le aziende devono rispondere a una questione fondamentale: “È più vantaggioso operare in un mercato poco regolamentato oppure avere accesso a un mercato più disciplinato ma più grande?”.

L’economia svizzera è molto diversificata e quindi ognuno dà una risposta differente. “Di sicuro però, le lacune normative sono interessanti per il settore finanziario”, dice Cantalou.

Che ne dite di una “Singapore nelle Alpi?”

E allora perché non fare come Singapore? La città-Stato è conosciuta per le sue agevolazioni fiscali, la deregolamentazione e l’attrattiva della sua piazza finanziaria.

È ciò che sognava anche il movimento dei pro-Brexit nel Regno Unito, ossia un mercato finanziario londinese poco regolamentato e meglio posizionato globalmente, ciò che gli avrebbe permesso di avvantaggiarsi rispetto all’UE.

“L’esempio del Regno Unito dimostra che i fautori della Brexit hanno fatto i conti senza l’oste. I britannici hanno sottovalutato l’unità e il potere negoziale dell’UE e ciò li ha obbligati a riprendere molti standard europei”, sostiene Ammann. L’idea di creare una “Singapore nelle Alpi” non sarebbe certo accettata dall’UE che mostrerebbe i muscoli e avrebbe gioco facile nel mettere sotto pressione la Svizzera.

Traduzione dal tedesco: Luca Beti

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