Una candelina sulla torta del coronavirus
Da gennaio 2020 a oggi, il mondo è tenuto in scacco da un minuscolo organismo, invisibile a occhio nudo. Alzi la mano chi, già un anno fa, immaginava quanto la nostra vita sarebbe cambiata.
30 gennaio. Un anno fa, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) aveva dichiarato che il nuovo coronavirus era “un’emergenza di salute pubblica di interesse internazionale”Collegamento esterno. All’epoca, c’erano meno di dieci mila casi nel mondo e nessun morto al di fuori della Cina. Un anno dopo, ci ritroviamo ancora nel bel mezzo di una pandemia mondiale che ha tolto la vita a più di 2 milioni di persone e ne ha contagiate oltre 100 milioni. Le cifre non sono di certo paragonabili alla terribile influenza spagnolaCollegamento esterno di inizio Novecento, riesumata nell’ultimo anno dai cassettoni impolverati della storia per ricordarci che spesso la storia si ripete.
All’inizio dell’emergenza sanitaria, ben dopo quel 30 gennaio, molti politici ed esperti avevano sottovalutato il SARS-CoV-2, bollandolo come una “semplice” influenza o addirittura come un “misero raffreddore”Collegamento esterno. Il messaggio poco velato era che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Può “un’influenza” mandare in tilt il mondo nel XXI secolo? Un anno fa non lo si credeva possibile. Ora la risposta sarebbe un “sì” chiaro e netto.
Il mio collega Marc-André ripercorre la sua esperienza di giornalista in piena crisi sanitaria, ricordando come le certezze iniziali di un anno fa si siano sgretolate di fronte alla realtà dell’epidemia galoppante:
“Il mondo fa bene ad aver paura del coronavirus di Wuhan?”. Ponendo la domanda a inizio febbraio 2020 – senza neppure dirlo – ero sicuro di avere la risposta. Arroganza! Avrei dovuto ricordare che non si può mai essere sicuri di niente”
Marc-André Miserez
swissinfo.ch: Marc André, da giornalista come hai vissuto quelle prime settimane di febbraio, quando la paura del virus cominciava a montare?
Marc-André Miserez: All’epoca, in Svizzera non era stato ancora registrato alcun caso – il primo sarà dichiarato il 25 febbraio – ma c’erano già delle preoccupazioni. Negli ambienti medici, così come nelle redazioni.
A swissinfo.ch eravamo in peno dibattito. Trasmettere le paure ai lettori? O meglio rassicurare? Dovremmo aspettare e vedere cosa succede? Siamo giornalisti. Il nostro dovere è di informare. Con una certa spavalderia, mi offrii volontario per vedere di scrivere qualcosa al riguardo.
Che cosa facesti, dunque?
Contattai un epidemiologo, che mi disse onestamente quello che sapeva. Vale a dire non molto. Il nuovo virus si trasmetteva facilmente, ma il suo tasso di mortalità era stimato intorno al 4% – oggi siamo piuttosto al 2%. Secondo l’OMS, la mortalità era del 9,5% per la SARS nel 2003/2004 e del 34% per la MERS nel 2012. Entrambe queste epidemie globali di coronavirus hanno causato la morte di meno di mille persone ciascuna. E cioè tra le 300 e le 600 volte meno dell’influenza, che ritorna ogni anno.
E questi dati ti rassicurarono…
Sì, il confronto era rassicurante. Tanto più che il tasso di mortalità è sempre inferiore a quello che le statistiche suggeriscono, perché di solito ci sono molti meno casi dichiarati che reali… Ma avrei dovuto ricordare che il confronto è ingannevole.
Quindi ti sei ricreduto?
Certo, oggi non ci sono dubbi. La Covid-19 è davvero un flagello globale. E il paragone con le 50-100 milioni di vittime della cosiddetta influenza spagnola del 1918-20 non funziona: in un secolo, i sistemi sanitari hanno fatto dei progressi significativi a livello globale. Inoltre, mai prima d’ora un virus ha causato così tanti danni all’economia e alla società, privando milioni di persone del sostentamento, o addirittura della ragione di vita, come solo le guerre possono fare.
Errare è umano, perseverare è diabolico. Se potessi tornare indietro, cosa diresti ai tuoi lettori di allora e, forse, anche di oggi?
Direi loro che sì, il mondo aveva ragione a temere il coronavirus di Wuhan! E alle circa 140.000 persone che hanno letto il mio articolo di un anno fa, devo delle umili scuse: mi sono sbagliato di grosso.
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Bisogna avere paura del coronavirus di Wuhan?
Personalmente, non ricordo di avere preso una posizione netta all’inizio dell’epidemia. Da italiana trapiantata all’estero (all’epoca vivevo a Parigi), mi trovavo in una sorta di limbo, tra il paradosso della situazione italiana in rapido peggioramento e la placida indifferenza francese.
A Parigi, le persone hanno cominciato a rendersi conto molto tardi che la situazione si faceva seria. Per una strana coincidenza, le giornate erano miti e soleggiate nella Ville Lumière e nessuno voleva lasciarsi sfuggire l’occasione per un pic nic a Les Tuileries o un coup sulla terrazza di qualche caffè.
Naturalmente, c’era chi la sapeva più lunga di tutti e aveva previsto la catastrofe imminenteCollegamento esterno. Il capo di Moderna, Stéphane Bancel, aveva capito già a gennaio che il virus stava cominciando a viaggiare ovunque. Il 24 febbraio, Moderna aveva inviato i primi campioni clinici del suo vaccino al dipartimento della salute statunitense.
E voi? Come avete vissuto gli esordi della pandemia? Tornando indietro, rifareste o ridireste le stesse cose? Parliamone! Scrivetemi i vostri commenti.
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Il virus non perde tempo
Mentre il mondo si metteva d’accordo sulla gravità della situazione e le misure da adottare, il virus non perdeva tempo. E di contagio in contagio, modificava piccole parti del suo codice genetico, per continuare a riprodursi e infettare nuove (o anche vecchie) vittime. L’epidemiologa genomica Emma Hodcroft, che lavora presso l’Istituto di medicina sociale e preventiva di Berna, ha seguito l’evoluzione del SARS-CoV-2, e ci ha raccontato in un’intervista esclusivaCollegamento esterno come il virus è mutato, divenendo sempre più contagioso:
“Da un punto di vista scientifico, l’evoluzione del virus è del tutto normale. Ma ogni volta che il virus si replica, c’è una possibilità che si produca un errore, e che questo generi una mutazione. Più a lungo giochiamo a questo gioco, con un alto numero di casi e un’alta concentrazione del virus in circolazione, più si alzano le probabilità che la prossima mutazione sia una di quelle che non vogliamo vedere”.
Ecco perché, secondo Emma Hodcroft, è molto importante tenere bassi i contagi e non dare spazio al virus.
Anche l’epidemiologo britannico Adam Kucharski ha confermato in un articolo del Financial TimesCollegamento esterno che un accumulo di mutazioni ha il potere di cambiare drammaticamente il volto della pandemia e la minaccia da affrontare. In peggio.
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“Più diamo spazio al virus, più rischiamo che la prossima mutazione sia una brutta notizia”
Corsa ai vaccini
I vaccini, naturalmente, potrebbero essere un vero elemento di svolta per frenare il virus, ma la campagna di vaccinazione procede a rilento in Svizzera, a causa dei ritardi di consegna delle dosi. Ma non è per tutti così. Israele, simile alla Svizzera per numero di abitanti, è il primo PaeseCollegamento esterno per numero di vaccini somministrati pro capite. Perché? Uno dei fattori determinanti riguarda sicuramente l’efficienza del suo sistema sanitario digitalizzatoCollegamento esterno. In Svizzera, invece, la digitalizzazione della sanità è lontana dall’essere una realtà. E questo potrebbe costare caro alla popolazione. Ne parlerò in un articolo di prossima pubblicazione.
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