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Dibattito sulla morte: Svizzera, un ideale per il suicidio assistito

E voi cosa ne pensate? Il suicidio assistito è un diritto umano fondamentale ed eticamente giustificabile oppure il diritto all’autodeterminazione deve essere limitato? 

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La possibilità di togliersi la vita occupa l’essere umano da tempo immemorabile. Probabilmente il suicidio più famoso è “la morte di Socrate”, ritratta dall’artista francese Jacques Louis David nel 1787. akg-images

Che si tratti di malati terminali o di persone stanche della vita, l’autodeterminazione rappresenta la cosa più importante e spesso l’ultimo argomento nel dibattito sulla morte. Molte persone vogliono decidere in modo autonomo quando mettere fine alla loro esistenza.

Per quanto riguarda il suicidio assistito, una pratica ampiamente accettata in Svizzera, l’ultima azione – ossia l’assunzione della sostanza letale – spetta agli stessi pazienti. In altre parole si tratta di un suicidio, la cui preparazione necessita tuttavia di un’assistenza medica.

Larissa M. Bieler è caporedattrice di swissinfo.ch Nikkol Rot

La Svizzera è uno dei paesi più avanzati al mondo nel campo del suicidio assistito. Il turismo della morte è in piena espansione, anche perché il diritto al suicidio in età avanzata non è praticamente regolamentato. Nonostante questa posizione liberale, le questioni fondamentali sollevate dall’aiuto ai suicidio sono lungi dall’essere risolte e sono oggetto di accesi dibattiti sui valori fondamentali – politici, religiosi, sociali, etici.

Le organizzazioni di aiuto al suicidio attive in Svizzera come Dignitas o Exit considerano il suicidio assistito come “l’ultimo diritto umano”. Una persona sollecita questo tipo di aiuto quando non ce la fa più.

Il desiderio del paziente è il giudice supremo. E ogni desiderio di morte deve essere rispettato senza condanna morale. Nel 2014, l’ex senatore svizzero This Jenny aveva ad esempio scelto di far capo al suicidio assistito all’ospedale del canton Glarona. Il caso aveva avuto un forte eco mediatico. Ma la questione era stata spesso semplificata: bisogna essere un osso duro per mantenere questa indipendenza fino alla fine.

Eutanasia attiva diretta: porre attivamente e direttamente termine alla vita di un moribondo, su sua esplicita richiesta, al fine di liberarlo da sofferenze insopportabili e inevitabili. Questa pratica è vietata in Svizzera.

Eutanasia attiva indiretta: impiego di mezzi per alleviare le sofferenze, i quali tuttavia come effetto secondario possono abbreviare la vita.

Eutanasia passiva: rinuncia ad avviare o sospensione di terapie di sostentamento vitale.

Aiuto al suicidio: una persona terza oppure un’organizzazione di aiuto al suicidio procura una sostanza letale al paziente, il quale la ingerisce senza l’aiuto di terzi.

Quando a decidere di morire sono personalità, il suicidio viene sempre descritto in questo modo. Quel po’ di libertà che permette di metter fine ai propri giorni è visto come una conquista. E la Svizzera come una Mecca.

Nella pratica però le cose non vanno sempre così. Ne sono una dimostrazione le cure palliative, che cercano di rendere trasparente il confronto con la morte o con il desiderio di morire, e di sfatare i tabù. Le cure palliative dimostrano che c’è un’altra via oltre al suicidio assistito, un atto che può essere difficilmente sostenibile per la famiglia e ambivalente fino all’ultimo per i pazienti. Preferisco andarmene oppure no?

La volontà del paziente deve venire prima di tutto, è vero, ma questa volontà deve anche essere chiara – ed oggi è lungi dall’essere sempre così. È qui che intervengono le cure palliative. L’esperienza lo dimostra: il desiderio di porre fine ai propri giorni diminuisce con l’avanzare della malattia, ma anche in parallelo alle informazioni e all’accompagnamento ricevuti. In questi momenti di debolezza, i pazienti non devono essere lasciati da soli a decidere.

Se si implicano le persone in questo processo, è sorprendente vedere quali risvolti si possono avere, racconta ad esempio la teologa Susanna Meyer Kunz in un’intervista al quotidiano grigionese ‘Bündner Tagblatt. Molte cose potrebbero ancora accadere: dalla riconciliazione alla fine delle paure.

Ci sono persone stanche della vita. Ma per molti malati terminali gli interrogativi sulla morte sorgono spesso con forza e nel pieno della vita.

La volontà del paziente si trova allora esposta a diverse influenze: i valori, le religioni, le paure, lo sguardo altrui.  È necessario riconoscere questa volontà in modo ancor più accurato, per prendere in considerazione la complessità e la singolarità di ogni destino.

Le cure palliative non sono la panacea di tutti i mali, ma in una società illuminata permettono di avere un confronto trasparente sulla morte – un dibattito che è altrettanto dovuto alla società, così come il diritto stesso all’autodeterminazione.

Il suicidio assistito ha un’immagine positiva in Svizzera. Ma ci sono modi più umani di morire, in un momento di totale dipendenza, che una coppa di veleno e un appagamento dell’autonomia.

Se in definitiva la nostra indipendenza assoluta non significa altro che la morte volontaria o l’idealizzazione del suicidio, un dibattito sul tema è più che mai urgente. Il suicidio assistito non può in nessun caso diventare una semplice routine.




(Traduzione dal tedesco, Stefania Summermatter)

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