La Fondazione umanitaria di Gaza distribuisce aiuti tra caos e spargimenti di sangue

La Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta da Israele e dagli Stati Uniti, è stata creata per gestire la distribuzione di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, un compito prima svolto dalle Nazioni Unite. Pochi giorni dopo l’inizio delle sue operazioni sul campo, la fondazione è già oggetto di pesanti critiche.
La settimana scorsa, l’inizio dell’attività sul campo della Gaza Humanitarian Foundation (GHF) è stato segnato da scene di caos e spari, quando migliaia di palestinesi affamati e in preda al panico si sono precipitati in uno dei suoi centri di distribuzione di cibo. Era da due mesi che Israele bloccava l’ingresso a Gaza di cibo e di altri beni essenziali. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver sparato colpi di avvertimento per disperdere la folla.
Dopo il primo disastroso giorno della fondazione, il 27 maggio, la carneficina è continuata con almeno altri tre incidenti nei pressi dei siti di distribuzione della GHF nel sud della Striscia. Il 1° giugno, più di 30 palestinesi sono stati uccisi e oltre 170 sono stati feriti da “colpi di avvertimento” sparati dalle forze israeliane, secondo le autorità palestinesi e i testimoni oculari.
La GHF ha definito queste notizie “completamente false e inventate”. Il portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha affermato di essere “sconcertato” e ha chiesto “un’indagine immediata e indipendente”.
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Altre tre persone sono state uccise il 2 giugno e almeno 27 palestinesi in cerca di aiuti sono stati uccisi dal fuoco israeliano il 3 giugno, sempre nei pressi di un sito di distribuzione nel sud della Striscia. In un post su X, l’esercito israeliano ha dichiarato che i colpi di avvertimento sono stati sparati inizialmente quando “diverse persone sospette” hanno deviato dai percorsi prestabiliti per gli aiuti. Altri spari sono arrivati dopo che “le persone sospette non si sono ritirate”. L’esercito ha dichiarato che “i dettagli dell’incidente sono in corso di verifica”.
Questi eventi fatali rappresentano una seria sfida per la GHF. Hanno anche portato alla luce le questioni più volte sollevate ai più alti livelli delle Nazioni Unite per stabilire se la fondazione appena istituita sia adatta allo scopo, rispetti il diritto internazionale e si attenga ai principi umanitari.
Pesanti critiche
Sin dall’inizio, le Nazioni Unite e le ONG partner che operano nella Striscia di Gaza hanno respinto e criticato pesantemente la fondazione – che ha entità registrate nel Delaware, negli Stati Uniti, e a Ginevra, in Svizzera – per essersi sostanzialmente distanziata dal sistema di distribuzione degli aiuti umanitari guidato dall’ONU, che opera a Gaza da decenni. Sebbene non sia ancora chiaro come la fondazione intenda agire, sembra che la maggior parte delle sue operazioni sia ora svolta attraverso la filiale del Delaware.
La controversa GHF – nata da un’idea di Israele e degli Stati Uniti – consiste in centri di distribuzione alimentare, chiamati anche Secure Distribution Sites, nel sud di Gaza, gestiti da società private statunitensi e protetti dall’esercito israeliano. Israele ha a lungo accusato Hamas di rubare gli aiuti umanitari, senza però mai fornire prove concrete.
Quando in una recente intervista ad un notiziario statunitense le è stato chiesto se il Programma alimentare mondiale (PAM) avesse assistito alla sottrazione di aiuti da parte di Hamas, Cindy McCain, direttrice esecutiva dell’organizzazione, ha risposto: “No, assolutamente no. Non negli ultimi tempi”.

Dopo l’incidente del 27 maggio, il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha descritto l’accaduto come una momentanea “perdita di controllo” che è stata rapidamente riportata “sotto controllo”. Netanyahu si è espresso durante una conferenza dell’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto a Gerusalemme.
In successive e-mail inviate ai media, la GHF ha negato che ci siano stati morti, feriti o disordini nei centri di distribuzione il 27 maggio. “Le notizie che affermano il contrario provengono da Hamas e sono inaccurate”, ha dichiarato.
Le Nazioni Unite e le ONG hanno ripetutamente accusato la GHF di militarizzare gli aiuti e sono state molto critiche nei confronti di qualsiasi coinvolgimento delle forze di difesa israeliane.
Processo di distribuzione degli aiuti?
SWI swissinfo.ch ha inviato un’e-mail alla GHF chiedendo dettagli sul processo di raccolta e distribuzione degli aiuti, ma non ha ricevuto risposta. Tuttavia, in un’e-mail inviata ai media il 1° giugno, la GHF ha dichiarato che nei sei giorni successivi all’inizio delle operazioni nell’enclave palestinese sono stati distribuiti oltre 4,7 milioni di pasti attraverso tre centri di assistenza pienamente operativi a Rafah e un sito aperto di recente nel centro della Striscia.
In modo assolutamente inatteso, il 25 maggio, un giorno prima che la GHF diventasse operativa, Jake Wood, direttore esecutivo della fondazione, ha annunciato le sue dimissioni.
“Due mesi fa sono stato contattato per guidare gli sforzi della GHF grazie alla mia esperienza nelle operazioni umanitarie”, ha dichiarato Wood in un comunicato. “Tuttavia, è chiaro che non è possibile attuare questo piano rispettando rigorosamente i principi umanitari di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza, che non abbandonerò”.

Mancanza di trasparenza
Mentre le Nazioni Unite e le ONG quali Mercy Corps, Care International, Project Hope, Save the Children e Catholic Relief Services hanno affermato di non partecipare alle attività della GHF, non è chiaro chi lavori con la fondazione a Gaza o da dove provengano i finanziamenti iniziali. La GHF sostiene di avere ricevuto promesse di fondi per 100 milioni di dollari (82 milioni di franchi) da parte di donatori che non sono stati resi pubblici.
Nelle immagini pubblicate di recente dalla fondazione, le scatole di cartone contenenti gli aiuti – tra cui pasta, farina, fagioli, tè e biscotti e altri alimenti – erano contrassegnate con il marchio di Rahma Worldwide, un’organizzazione no-profit con sede nello Stato americano del Michigan. In un’e-mail a swissinfo.ch, l’organizzazione ha però negato qualsiasi coinvolgimento diretto con la fondazione. Sostiene che la GHF ha “preso in custodia” le sue scatole al valico di Kerem Shalom a Gaza.
“Abbiamo visto immagini delle nostre scatole di cibo con il logo che sono state distribuite senza il coinvolgimento diretto di Rahma. Rahma non ha autorizzato tale distribuzione e nessuno del nostro team è stato autorizzato a partecipare a questo processo”, ha dichiarato un portavoce.
“In questo mondo in cui la posta in gioco è così alta, dovrebbe esserci trasparenza.”
Philip Grant, Trial International
“Sono tutti confusi”, ha affermato Philip Grant, direttore esecutivo di Trial International, una ONG che cerca di ottenere giustizia per i crimini internazionali. “In questo mondo in cui la posta in gioco è così alta, dovrebbe esserci trasparenza; non è possibile continuare” senza di essa, ha detto.
Trial International, che ha sede a Ginevra, ha recentemente presentato due istanze legali all’Autorità federale di vigilanza sulle fondazioni e al Dipartimento federale degli affari esteri, chiedendo di indagare sulla filiale della GHF a Ginevra. Grant ha spiegato a swissinfo.ch che l’entità svizzera e quella statunitense sono state sostanzialmente create dalle stesse persone, ma sulla carta appaiono indipendenti.
Le denunce di Trial International riguardano possibili violazioni delle Convenzioni di Ginevra e della legge svizzera che regola l’uso di società militari private – incluse, ma non solo, le operazioni umanitarie – da parte della filiale elvetica della GHF.
Negli ultimi giorni, si è diffusa la voce secondo cui la filiale in Svizzera della fondazione potrebbe essere chiusaCollegamento esterno. Questo complicherebbe ulteriormente le richieste legali di Trial International, anche se secondo Grant “la storia non finisce qui”. Le richieste di sorveglianza alle autorità svizzere avviate da Trial International potrebbero continuare.
Palestinesi “affamati” e “alimentati col contagocce”
Un altro aspetto delle operazioni di aiuto, al di fuori delle attività della GHF, riguarda le forniture umanitarie che si trovano al valico di Kerem Shalom, il punto in cui i camion israeliani che trasportano materiale umanitario entrano a Gaza.
Secondo le Nazioni Unite, sebbene un numero esiguo di camion – circa cento al giorno per circa due milioni di persone – sia stato autorizzato ad entrare dal Coordinamento delle attività governative nei Territori (COGAT) dell’esercito israeliano, il processo di raccolta degli aiuti, di consegna delle merci ai magazzini di Gaza e quindi di distribuzione alla popolazione civile è stato pieno di ostacoli e ritardi imposti dal COGAT alle Nazioni Unite.
Nell’incontro con la stampa del 28 maggio, Jonathan Whittall, a capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), ha parlato di “lunghi ritardi nel ricevere le necessarie approvazioni” per consegnare gli aiuti a Gaza e di “percorsi inadeguati per il trasporto delle merci”. Ha fatto riferimento a ulteriori restrizioni da parte delle autorità israeliane che permettono la consegna di farina solo ai panifici. I palestinesi sono “affamati” e “alimentati con il contagocce”, ha affermato.
“Gaza è il luogo più affamato del mondo.”
Jens Laerke, OCHA
“Gaza è il luogo più affamato del mondo”, ha dichiarato il 30 maggio il portavoce dell’OCHA Jens Laerke. Ha aggiunto che le operazioni di aiuto sono “pronte a partire”, ma sono state “messe in una camicia di forza operativa”, rendendo Gaza “una delle operazioni di aiuto più ostacolate” della storia recente.
Tom Fletcher, coordinatore degli aiuti d’emergenza delle Nazioni Unite e una delle voci più critiche della GHF, ha scritto su X: “Abbiamo le scorte, i piani, la volontà e le reti per fornire massicce quantità di aiuti salvavita alla popolazione civile di Gaza, in linea con i principi umanitari, come il mondo sta chiedendo. Basta. Lasciateci lavorare. Non c’è più tempo da perdere”.
Sempre su X, il responsabile del COGAT, Ghassan Alian, ha invece puntando il dito contro Le Nazioni Unite, accusandole di “non adempiere al proprio ruolo” e di diffondere “informazioni false e scorrette sul disagio della popolazione civile”. Israele ha ampliato le rotte degli aiuti e “esteso i tempi di distribuzione”, ha detto. “Chiediamo alle Nazioni Unite di adempiere alla missione che è stata loro affidata come partner umanitario chiave, come richiesto e senza ulteriori ritardi”.
Negli ultimi giorni sono circolate voci di un potenziale accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Tuttavia, non c’è stato alcun annuncio ufficiale al riguardo.
Nuovo attacco alla distribuzione di aiuti a Gaza (Telegiornale RSI, 3 giugno 2025):
A cura di Virginie Mangin/livm/sb
Traduzione con l’aiuto dell’IA/lj

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