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Gli anni romani di Max Frisch

Il grande scrittore svizzero visse a Roma dal 1960 al 65 Keystone Archive

Cinque anni gioiosi e insieme tribolati, con la separazione dalla scrittrice Ingeborg Bachmann e l'incontro con Marianne Oellers, sua futura moglie. Una mostra all'Istituto svizzero di Roma.

L’istituto svizzero di Roma presenta in una mostra, oltre a una serie di fotografie, alcune lettere inedite dello scrittore svizzero, redatte durante il suo periodo romano dal 1960 al 65. La mostra rimarrà aperta fino al 14 giungo prossimo.

La città più bella del mondo…

“Vivo nella città più bella del mondo” così sintetizzava a una giornalista italiana il suo amore per Roma. Max Frisch nel 1960 decise di lasciare temporaneamente Zurigo, per cercare nuove ispirazioni sulle rive del Tevere. Un periodo intenso e proficuo. Qui vedrà la luce uno dei suoi libri più importanti: “Il mio nome sia Gantenbein”.

Frisch, a quell’epoca cinquantenne, aveva già alle spalle sei libri pubblicati, fra cui il notissimo “Homo Faber”, e otto pezzi teatrali.

Roma gli si rivela nelle sue molteplici sfaccettature, nel suo ritmo un po’ stanco, un po’ sornione. Con l’amica-scrittrice Ingeborg Bachmann, abita in un prestigioso appartamento ai Parioli. Lavora la mattina per dedicarsi, nel pomeriggio, alle passeggiate, alle pause nei caffè.

Ma la mostra, presso l’Istituto Svizzero di Roma, rivela soprattutto molti episodi sconosciuti e intimi del grande scrittore elvetico. La vita spensierata con la compagna Bachmann che poi diventa insofferenza e doloroso distacco.

…prima godereccia e bighellona…

In una delle lettere inedite presentate per la prima volta al pubblico, Frisch descrive dapprima all’amico e pittore zurighese Aerni la sua Roma godereccia e bighellona. Quella dei primi tempi “Conosco Roma quasi come un tassista e conosco anche un certo numero di trattorie sufficiente per una settimana”.

Ma poi, le lettere si fanno cupe, tribolate. Frisch confessa la separazione dalla Bachmann, ma chiede a Aerni se per caso l’ha incontrata a Zurigo, se le ha parlato. Poi aggiunge “ora comunque lei si trova a Berlino”. Quasi a dire all’amico: è impossibile che tu l’abbia vista! La metafora di una incomunicabilità diventata evidente con la ex-compagna, eppure un distacco difficile da assumere. Una sconfitta, ammette.

In un’altra lettera, Frisch rivela, in tono sommesso, quasi di scusa, di avere incontrato, dopo un’estate passata in solitudine, una giovane studentessa, Marianne Oellers. “Potrebbe essere mia figlia”, scrive.

Eppure Frisch la porta con sé in un soggiorno in Messico. Con lei passerà le vacanze a Sperlonga. La storia, da incontro fortuito, diventa un amore vero che sfocerà, addirittura nel matrimonio nel 1968.

…e poi troppo logorata

Roma della gioia della disperazione. Un alternarsi di sensazioni, di contraddizioni, di nuove speranze. Ma poi verso il 1964, Frisch scrive alla stessa Marianne il suo senso di noia per questa città. “Mi sento stupido, e sento Roma troppo logorata per questi eremitaggi”. Nel 1965, Frisch lascerà definitivamente la città eterna.

La mostra romana, organizzata dal direttore dell’Istituto svizzero Dieter Bachmann, con la collaborazione del Max Frisch Archiv di Zurigo, prevede tutta una serie di manifestazioni collaterali come la proiezioni di alcuni film tratti dai romanzi di Frisch e un percorso letterario attraverso le tappe romane dell’autore elvetico.

Francesco Dirovio

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