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I massi e la memoria

Nascosta da una vegetazione rigogliosa: la grotta che il giovane Alberto Giacometti scoprì come luogo in cui incontrare l'universo swissinfo.ch

C'è un luogo nella valle di cui Giacometti scrisse in più occasioni. Una cavità fra due rocce, fra due massi erratici, sulle pendici della montagna sopra il villaggio di Stampa. Quella che è un'esperienza giovanile di un artista, diventa parte di un discorso poetico interiore. La natura della valle natale e le montagne granitiche, si trasformano in immaginario.

“Ricordo – scriveva Alberto Giacometti nel 1933 – che, per due estati, di quanto mi attorniava non scorgevo che un grande masso di pietra che distava pressappoco ottocento metri dal paese… era un monolite di una tinta dorata che alla base si apriva su una caverna… Scoperta enorme; immediatamente considerai quella grande pietra un’amica, una creatura animata…”.

Si tratta di una rievocazione scritta negli anni in cui Giacometti era vicino al movimento surrealista. La caverna, pur rimanendo ostile con la sua rigidità granitica, gli dava sicurezza: “Io ero al colmo della gioia quando potevo accoccolarmi nella piccola caverna che si trovava sul fondo; potevo entrarvi a fatica: in quel momento ogni mio desiderio era esaudito”.

Lo storico dell’arte Pietro Bellasi riconduce questi ricordi del giovane artista ad una “memoria d’origine”, elaborata nell’età matura attraverso la riflessione scritta. Uno spaziare nella memoria guidato dal sogno, sostiene ancora Bellasi, per elaborare una poetica a cui dare forma poi in linguaggio letterario, pittorico e scultoreo.

Il segreto

Con Anna Giacometti, una discendente della famiglia dell’artista, raggiungiamo il luogo più volte descritto da Alberto. “Questo posto era un nascondiglio, un rifugio in cui Alberto bambino trovava la calma, distante da casa”. Distante, ma dall’entrata della grotta si scorgono le finestre della casa di Stampa. La madre, ricordano i più anziani nel villaggio, chiamava il figlio dalla finestra sventolando un panno.

Il luogo è discosto dalle case e ormai è ricoperto dalla vegetazione. Anna Giacometti l’ha trovato e non è la sola a conoscerlo, “ma – ricorda – forse è giusto che rimanga segreto che non si conosca”. E’ la scoperta di un bambino, vissuta con l’immaginario infantile che poi ha trovato un nuovo significato nell’età matura.

Certo un’interpretazione psicoanalitica permetterebbe di evidenziare un’ambivalenza esplicita dell’esperienza. Da una parte il rifugio che dà sicurezza, dall’altra la fredda completa del materiale. Un luogo che molti cercano, seguendo le tracce lasciate nei testi da Alberto stesso. Spesso senza successo.

Per molti, fra quelli che hanno conosciuto l’artista Alberto Giacometti, la grotta è importante, ma non deve diventare un luogo di pellegrinaggio. Le emozioni non sono riproducibili e i massi, dimenticati dai ghiacciai sulle pendici della montagna, devono rimanere parte della quiete della valle.

Daniele Papacella, Stampa

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