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Il nuovo spazio aperto "in progress" per i programmi di riflessione in margine al film swissinfo.ch

Visione e riflessione, dibattito e socialità: il ricco programma 2002 del Festival internazionale del Film di Locarno.

La 55esima edizione si è aperta con toni sommessi sotto una pioggia inclemente. Il trasloco al chiuso dell’aperitivo d’apertura e della prima proiezione prevista in Piazza ha smorzato i primi entusiasmi. Anche la direttrice artistica, Irene Bignardi, prima di salire sul podio cinto dalla bandiera svizzera in onore della festa nazionale, ha alzato lo sguardo al cielo grigio. Il suo messaggio alla meteo è chiaro; è per il Festival e per il suo pubblico.

Anche l’infaticabile presidente Marco Solari auspica il bel tempo, ma nella stessa frase esorta sponsor e sostenitori a continuare sulla via imboccata per dare ulteriore smalto alla kermesse. Manca il tappeto rosso però, nessuno ha un vestito da sera, niente brillanti sulla pelle delle molte dame presenti e non c’è nemmeno il salmone e il caviale per il primo aperitivo. Locarno si conferma alternativo a Cannes e Venezia già dalle sue prime battute.

La nuova qualifica concessa dalla distribuzione internazionale, il bilancio più ricco che mai e la presenza di molte star dell’universo cinematografico sembravano promettere un’edizione più patinata. Ma già l’aperitivo d’apertura ha dimostrato che l’universo di Locarno è ancora quello conosciuto fin ora. Il film rimane al centro del dibattito, non il glamour.

Il costume diverte ma non convince

Ad aprire il programma ufficiale è la lettura cinematografica di una piéce teatrale di fine Ottocento. “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, imperitura opera della maturità di Oscar Wilde riletta da Oliver Parker, inizia a file semivuote a tarda ora. I fuochi d’artificio del primo agosto hanno spinto gli organizzatori a ritardare la proiezione sulla Piazza grande a mezzanotte. La pioggia ha provocato un secondo ritardo.

Rispetto alla massa conosciuta per gli appuntamenti in piazza, le 2’000 presenze non sembrano di buon auspicio e inoltre il film ha convinto pochi. Non basta, si è affermato da più parti, una solida base teatrale per fare un buon film e non bastano nemmeno attori di grido, come Rupert Everett, per salvare le buone intenzioni.

Il sorriso per l’umore tutto inglese della commedia che l’autore definiva “futile”, basata su un gioco di superficialità e profondità, di desiderio e realtà, non convince nella sua versione per il grande schermo, pur spezzando sapientemente i limiti del salotto borghese dell’originale e integrando un paesaggio cinematografico complesso.

Spazio per le contaminazioni

Nella mattinata di venerdì è poi stato aperto ufficialmente il nuovo spazio denominato “in progress”. Concepito per questa prima edizione da Harald Szeemann, già curatore della Biennale di Venezia e superstar delle attività culturali concettuali, il nuovo spazio unisce bellezza estetica a dibattiti e contaminazioni.

Lo spazio, costato quasi tre milioni di franchi, assomiglia ad una specie di arteplage, votata ad una nuova estetica calvinista fatta di legno naturale e esili tessuti sintetici che avvolgono le strutture metalliche portanti.

Ai lati di una lunga passerella in tavole di larice si raccordano i diversi elementi che compongono il nuovo progetto. Agli estremi due cubi ospitano delle videoistallazioni. Un saluto alla forma estrema di comunicazione filmata.

Al centro un bar si oppone e completa un palco aperto che offre lo spazio per gli incontri e i dibattiti. È qui che si celebra la ‘contaminazione’ voluta da Szeemann; una sorta di tempio in cui si invocano le arti a cui il cinema, come ultima e nuova fra le arti, fa riferimento.

In questo primo anno si torna alle origini della narrazione, allo strumento primo per raccontare le vicende: la letteratura. Si è iniziato con la scrittore italiano Antonio Tabucchi, autore di successo dalle cui opere sono già stati tratti cinque film importanti. Ma si avvicenderanno altri temi carichi di attualità e impegno. Il culmine sarà raggiunto nell’ultimo giorno del festival, consacrato alla cinematografia afghana.

La giuria al lavoro

Nel pomeriggio di venerdì anche la giuria del concorso internazionale ha occupato per la prima volta le poltrone rosse a lei riservate nella sala Fevi. Quest’anno la guida è affidata a Bruno Ganz, attore schivo, ma carismatico.

Il concorso sembra comunque godere di particolare attenzione anche da parte del pubblico. Già il primo giorno 3’000 cinefili si sono accalcati davanti alle porte del palazzetto dello sport che in questi giorni ospita il Festival.

Il concorso riserva molte sorprese e anche molte speranze e si confida nell’eterogenea giuria per trovare un consenso, evitando i dissidi dell’anno scorso. Nell’ultima edizione che aveva assegnato il Pardo d’oro alla commedia italiana “La rivoluzione sulla due cavalli”, alcuni membri della giuria si erano espressamente distanziati dal verdetto.

Ma il grande Festival continua soprattutto ad offrire film, in tutte le varianti, da tutti i paesi. Si è cominciato con la commedia vittoriana dai pomposi costumi. Si finisce in dieci giorni con le testimonianze dall’Afghanistan, dilaniato da trent’anni di guerra. Locarno promette bene.

Daniele Papacella, Locarno

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