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Natale: amore per combattere l’odio

L'albero di Natale più grande sovrasta la località umbra di Gubbio Keystone

Per il sacerdote Don Sandro Vitalini, anche nei momenti più drammatici non si può rispondere alla violenza con la violenza.

La festività del Natale è occasione per riflettere, per porsi delle domande sulla propria vita ma anche su quanto succede nel mondo che ci circonda, soprattutto dopo i tragici avvenimenti di quest’anno. Per parlarne ci siamo rivolti a don Sandro Vitalini, sacerdote, docente di teologia all’Università di Friburgo.

Don Vitalini, dopo l’11 settembre e dopo tutti i lutti sopraggiunti quest’anno, ha avuto l’impressione che la gente fosse più angosciata del solito?

“Certamente la data dell’11 settembre ha marcato molte persone, le ha rese più insicure, più paurose. La stessa unica, grande potenza nel mondo ha tremato.

Dal mio punto di vista non sono rimasto così scosso perché lo sono già di solito. Se l’11 settembre sono morte alcune migliaia di persone, non possiamo dimenticare che ogni giorno muoiono nel mondo circa 30’000 bambini di fame, di sete, di malattie. Dunque, il dramma che investe la terra ogni giorno è ancora più grande di quello che ha colpito le Torri Gemelle.

L’uomo, cinicamente, lascia morire il fratello in una situazione di estremo disagio, quando le risorse per l’umanità sono tali che permetterebbero di sfamare addirittura venti o trenta miliardi di persone.

Mi trovo dunque in un disagio profondo, per cui l’11 settembre non è che l’indice di un disagio più grave che andrebbe letto nel contesto di tutta la storia contemporanea. Ecco perché ritengo che non si dovrebbe mai rispondere alla violenza con la violenza ma, piuttosto, chiedersi quale sia la causa della violenza, del cosiddetto terrorismo.

Tale causa, in definitiva, è questa immensa miseria, la fame, l’inedia totale che colpisce miliardi di uomini sulla Terra. Questa è la realtà contro la quale dobbiamo fare la guerra, ma di certo non con le bombe! Necessitiamo di sviluppo, di un sostanziale incremento dei gesti di pace”.

Come spiega questa serie nera di attentati ?

“Si tratta di gente disperata. Io penso ai palestinesi, ai quali è stata tolta la terra, il lavoro. Non hanno nemmeno l’acqua. Le loro famiglie sono spesso private di diversi membri, uccisi dai carri armati e dalle bombe israeliane.

Questi disperati, dopo i gesti inconsulti di Sharon, reagiscono pure in maniera disperata. Quasi che l’unica attività nei Territori occupati sia quella di farsi saltare in aria, perché si riceve così una pensione. Solo spezzando questa spirale di violenza, dandosi la mano, è possibile costruire un mondo migliore.

Ciò che capita a livello internazionale si riflette anche a livello, direi minuto. Qualche volta incontro delle persone che addirittura pensano al suicidio. Io dico loro: sappiate che è più difficile vivere che morire. Noi dobbiamo vivere, lottando ciascuno al proprio posto per creare le premesse per un mondo migliore”.

Alle persone sconcertate, che non capiscono cosa sta succedendo attorno a loro, che cosa dice, come trasmette il suo messaggio di pace?

“Io provo a far passare un messaggio ottimista. Vorrei citare Martin Luther King, la cui parola può riassumere un po’ quelle idee che ho cercato di diffondere, sia nella celebrazione della messa, sia sugli articoli nei giornali.

Cito Luther King: La più grande debolezza della forza sta nel fatto che essa sviluppa proprio ciò che intende annientare. Invece di ridurre il male, lo moltiplica. La forza rende una notte, che è già senza stelle, ancora più buia. Il buio non può essere eliminato dal buio, questo lo può solo la luce. L’odio non può eliminare l’odio, questo lo può fare solo l’amore.

Questa citazione riassume un po’ il mio pensiero. Sono convinto che solo lo sviluppo della pace nel mondo può portare gli individui e le comunità a sperare, ad essere più ottimisti.

Un fatto impressionante: quando nel periodo di Kennedy e di papa Giovanni la gente ha creduto per un attimo ad un’epoca migliore, il consumo di droga nel mondo è diminuito. Ci vogliono degli episodi positivi, dei gesti di pace, per aiutare la gente a credere e a sperare di nuovo”.

In relazione agli attentati alle Torri gemelle si è parlato molto di Islam. La religione mussulmana viene spesso abbinata al fanatismo religioso. Come vede il rapporto fra cristiani e mussulmani?

“Abbiamo bisogno di conoscerci reciprocamente a fondo per valutare le ricchezze che ogni tradizione religiosa contiene. Anche il Corano contiene senz’altro delle intuizioni positive.

Quello che mi aspetterei dal mondo islamico è una maggiore reciprocità, cioè sarei felice se anche noi cristiani, ad esempio in Arabia Saudita, potessimo celebrare la nostra liturgia. Sarei lieto se potessi vedere anche nei Paesi mussulmani un grande rispetto delle altre religioni.

Il mondo islamico deve aprirsi, deve confrontarsi con la modernità ed assumere anche quei parametri di vita che ci permettano un dialogo teorico ma anche pratico”.

Un’ultima domanda, don Vitalini. Questo Natale è diverso dagli altri?

“Ogni Natale è unico e credo che noi lo viviamo nella misura in cui cerchiamo di vivere l’oggi con le sue contraddizioni, i suoi dolori ma anche le sue gioie. Ecco perché credo che non si possa fare un paragone tra questo e altri Natali passati o futuri perché propriamente non esistono: il passato è già scomparso, il futuro, non sappiamo neanche se arriva.

Noi siamo chiamati a vivere in pienezza il presente e, mi creda, questa è la cosa più difficile”.

Elena Altenburger

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