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Pochi i progressi attesi dalla conferenza sul clima

Paesi come il Kenya sono confrontati direttamente alle conseguenze del riscaldamento Keystone

Le discussioni di Nairobi non hanno portato ad alcun risultato di rilievo. Lo dice a swissinfo Bruno Oberle, a capo della delegazione svizzera che partecipa alla conferenza sul clima in Kenya.

I delegati accorsi al vertice delle Nazioni Unite torneranno a casa venerdì dopo due settimane di intensi dibattiti.

La 12. conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici di Nairobi (Kenya) si era prefissata l’obiettivo di portare avanti i due processi lanciati durante l’incontro di Montreal del dicembre 2005: dare inizio alle trattative in merito al nuovo documento a sostituzione del Protocollo di Kyoto – che scadrà nel 2012 – e avviare il dialogo destinato a coinvolgere i paesi più importanti.

Bruno Oberle, responsabile dell’Ufficio federale dell’ambiente, indica che la conferenza si è inoltre focalizzata sulle misure che possono aiutare i paesi ad adattarsi ai cambiamenti climatici.

swissinfo: Quale è la sua impressione generale sui progressi effettuati durante le due settimane di dibattiti?

Bruno Oberle: Siamo riusciti ad individuare gli ambiti in cui la politica climatica internazionale deve adattarsi al riscaldamento. Abbiamo inoltre avuto una prima impressione sulla direzione che probabilmente si seguirà nel periodo successivo a Kyoto. Il processo di «dialogo» è in corso e stiamo effettuando una gran mole di lavori tecnici.

Dobbiamo complimentare gli organizzatori kenioti per essere stati capaci di puntare i riflettori sul chiaro legame tra la necessità di ridurre le emissioni e le conseguenze dei cambiamenti climatici. Una scelta che è stata fondamentale per evidenziare il bisogno di accelerare le discussioni.

swissinfo: A che punto si trovano le discussioni sul dopo Kyoto?

B. O.: Tutti sono d’accordo che siamo di fronte al problema della quantità di emissioni. Finora abbiamo rispettato soltanto una piccola parte degli impegni presi per ridurre le emissioni dannose e questa percentuale è destinata a diventare sempre più piccola.

Gli Stati industrializzati hanno chiaramente manifestato l’intenzione di proseguire sulla strada giusta, ma vogliono pure vedere le azioni di altri paesi.

swissinfo: Gli Stati Uniti hanno detto chiaramente che non applicheranno il Protocollo di Kyoto. Cosa faranno gli altri paesi che, come Cina, India o Brasile, non sono obbligati a ridurre le emissioni come stabilito da Kyoto?

B. O.: I paesi in via di sviluppo, nonostante non facciano parte del regime volontario, si stanno impegnando molto per ridurre le emissioni. La domanda è come trovare il modo per rendere la loro azione più visibile e prevedibile per le nazioni industrializzate.

La Cina sta ad esempio adottando e pianificando delle misure importanti per migliorare la sua efficacia nell’utilizzo delle risorse naturali ed energetiche. Anche gli USA si stanno muovendo nella giusta direzione: gli Stati del nord-ovest stanno mettendo in atto dei sistemi di riduzioni volontarie delle emissioni. L’amministrazione Bush si è poi resa conto che è troppo dipendente dai combustibili fossili.

La questione è ora di stabilire come possiamo coordinare tutte queste azioni.

swissinfo: Adattamento ai cambiamenti climatici e Fondo di adattamento del Protocollo di Kyoto sono pure stati al centro dei colloqui di questa settimana. I disaccordi su chi debba gestire il fondo hanno influito sulle discussioni?

B. O.: Non abbiamo raggiunto alcun accordo su questo punto, ma non dovrebbero esserci problemi. Sono state adottate tutte le necessarie misure tecniche per assicurare il corretto funzionamento del fondo. Se poi sarà amministrato dal «Global Environment Facility», da una banca africana o da un’altra istituzione, è soltanto una questione pseudo politica.

swissinfo: Come può, il Fondo di adattamento, generare le ulteriori risorse finanziarie che necessitano i paesi in via di sviluppo per adattarsi al clima che cambia?

B. O.: Al momento, ogni anno sono disponibili per l’adattamento 250 milioni di franchi. Ma non sono sufficienti. Ci sono diverse possibilità, una delle quali è la tassa mondiale sul CO2 proposta dal presidente svizzero Moritz Leuenberger. Essa vuole incoraggiare i maggiori produttori a ridurre le loro emissioni e intende mettere a disposizione sufficienti risorse finanziarie.

swissinfo, intervista di Simon Bradley, Nairobi
(traduzione e adattamento: Luigi Jorio)

Moritz Leuenberger è in visita in Kenya e in Etiopia dal 13 al 17 novembre.
La 12esima Conferenza dell’ONU sul clima si svolge a Nairobi dal 6 al 17 novembre.
Sono presenti circa 6’000 delegati di 190 paesi.
La Svizzera è stato il 110. paese a ratificare il Protocollo di Kyoto (2003).

Il protocollo di Kyoto, incluso nella Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, è stato approvato nel 1997 ed è entrato in vigore nel 2005.

È stato ratificato dagli Stati industrializzati – salvo Stati Uniti e Australia – e da numerosi paesi in via di sviluppo.

Il protocollo chiede alle regioni industrializzate di ridurre, entro il 2012, le emissioni nocive di mediamente il 5,2% rispetto ai valori del 1990.

La legge svizzera sul CO2 del 2000 prevede misure addizionali nel caso gli obiettivi fissati da Kyoto non dovessero essere raggiunti tramite interventi volontari.

L’8 novembre, il governo ha dichiarato che la Svizzera potrà emettere al massimo 242,65 milioni di tonnellate di CO2 tra il 2008 e il 2012. La quantità corrisponde all’obiettivo concordato nel 1997, ovvero una riduzione delle emissioni di gas serra dell’8% rispetto al 1990.

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