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Sindacalista per passione

Guglielmo Grossi, una vocazione da sindacalista swissinfo.ch

Cosa spinge15'000 persone a scioperare? Il desiderio di rivendicare i propri diritti, certo, ma anche il lavoro paziente di chi ha dato loro la fiducia necessaria per compiere questo passo.

Guglielmo Grossi, sindacalista, parla della sua esperienza.

Guglielmo Grossi arriva in Svizzera una quarantina d’anni fa. È ancora un ragazzino quando lascia Rimini per ricongiungersi ai suoi genitori che già lavoravano in terra elvetica.

Da allora di strada il ragazzino ne ha percorsa molta. Grossi ha lavorato in una fabbrica, scritto per dei giornali, organizzato dei corsi di alfabetizzazione per adulti e ricoperto la carica di presidente delle Colonie libere italiane. Oggi è attivo all’interno del sindacato edilizia e industria (SEI) ed è presidente del Forum per l’integrazione dei migranti.

Il giorno della soddisfazione

Per Grossi, che cerca il contatto con gli operai recandosi sui cantieri almeno tre volte la settimana, lo sciopero del quattro novembre è stato il coronamento di anni di lavoro.

In Svizzera lo sciopero, pur essendo un diritto sancito dalla costituzione, non è ben visto. Molti giornali, tra cui la NZZ, si dicevano stupiti dell’ondata di simpatia suscitata dagli scioperanti. Un cambio di tendenza?

“Forse”, dice Grossi, “ma c’è ancora molto da fare affinché l’opinione pubblica accetti l’idea dello sciopero. Sui cantieri gli operai hanno ancora paura. Parlano, ma si guardano intorno intimoriti all’idea che arrivi il padrone. Bisogna poi considerare che accanto a lavoratori spagnoli e italiani, per i quali sindacato e sciopero sono concetti familiari, ci sono lavoratori, come quelli provenienti dall’ex blocco sovietico, per i quali il sindacato è il braccio cattivo dello Stato e lo sciopero non serve a niente”.

Gli stessi diritti per tutti

Il settore dell’edilizia colpisce per il suo aspetto composito. Ai livelli bassi sono attivi molti stranieri. A Zurigo, per esempio, questi rappresentano la quasi totalità dei lavoratori.

Gente abituata a sgobbare e a starsene zitta, in quanto priva di diritti politici. Il sindacato contribuisce a ridare dignità a queste persone, trattandole alla stregua dei cittadini svizzeri.

“Il giorno dello sciopero in sala c’erano 1300 persone”, ricorda Grossi, “e tutti hanno votato. I lavoratori mi hanno detto: ‘È incredibile, ho votato anch’io come gli svizzeri, anch’io avevo lo stesso diritto’. Loro si sentono spesso come una persona ‘che io tanto non ho niente da dire’ e invece grazie allo sciopero hanno capito cosa vuol dire avere voce in capitolo”.

Alla ricerca di concretezza

Del suo lavoro di sindacalista Grossi apprezza particolarmente il risvolto concreto. “Come presidente delle Colonie libere italiane passavo il mio tempo tra Roma, Berna e Bruxelles. Un’esperienza importantissima, ma a volte un po’astratta: uno rivendica, grida, chiede, ma poi i passi in avanti sono piccoli. Il lavoro sindacale è più concreto, vedo il risultato delle mie azioni”.

I 15’000 lavoratori scesi in piazza il quattro novembre e l’accordo per il prepensionamento firmato dal padronato, rappresentano due tra le maggiori soddisfazioni raccolte da Grossi.

“È stata dura convincere i lavoratori a scioperare. Anche quelli che non avevano pregiudizi nei confronti dello sciopero hanno dovuto fare i conti con le loro paure. Molti hanno famiglia e non possono permettersi di mettere a repentaglio il loro posto di lavoro”.

Cosa resterà nella memoria del sindacalista di questa giornata storica? “La serenità dei lavoratori, i loro volti, la loro baldanza. Ho visto gente con le lacrime agli occhi per la soddisfazione. Si può alzare la testa, e lo abbiamo provato”.

Doris Lucini, swissinfo

Guglielmo Grossi, figlio d’immigrati italiani e sindacalista del SEI, parla della sua esperienza e del modo in cui ha vissuto lo sciopero del quattro novembre.
Soddisfatto dell’esito della manifestazione, sottolinea quanto sia importante per un sindacalista mantenere il contatto con gli operai. Solo così si può dar loro voce, sconfiggere la paura di ritorsioni e creare uno spirito di “squadra”, e questo aldilà dei diversi paesi d’origine dei lavoratori.

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