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Un laboratorio agro-sociale minacciato

Pochi, preziosi, metri quadrati da coltivare Keystone

I cittadini basilesi e bernesi hanno recentemente approvato alcuni progetti edilizi che de facto condannano alla sparizione decine di migliaia di "giardini famigliari", diventati nel corso del tempo un vero e proprio tessuto sociale.

In parecchie città svizzere saltano all’occhio questi insediamenti piuttosto particolari: grandi superfici divise in piccole parcelle, ognuna delle quali è costituita da un orticello e da un capanno per gli attrezzi, spesso ornato dalla bandiera di un paese straniero.

I giardini famigliari (Schrebergarten in tedesco, Jardins familiaux in francese) – chiamati in passato “giardini operai” – riscuotono grande successo a Zurigo, Basilea, Berna, Losanna e Zurigo (in Ticino, invece, non ve ne sono quasi): le liste d’attesa sono infatti sempre lunghe e gli orticelli rappresentano dei veri e propri luoghi d’aggregazione.

La situazione è però destinata a mutare, nonostante le proteste di alcuni movimenti spontanei nati a Berna e Basilea. Il motivo? La mancanza di spazio. Le aree su cui sorgono i giardini appartengono infatti alle città, le quali necessitano urgentemente di terreno per soddisfare la domanda di alloggi e per costruire nuove infrastrutture.

A Zurigo, ad esempio, su una delle superfici più vaste attualmente destinata ai giardini (complessivamente la città ne conta 132 ettari) sorgerà una nuova pista di ghiaccio.

Interesse superiore

«I giardini famigliari sono effettivamente sotto pressione a causa della crescita della città», ammette Ruth Genner, municipale ecologista a Zurigo e responsabile dell’edilizia pubblica. Le zone in questione, aggiunge, «hanno certamente una valenza ecologica che vogliamo preservare, ma sono nel contempo una riserva di terreno. E, in presenza di un interesse superiore, devono lasciare il posto».

Una situazione che inquieta tutte le associazioni di giardini famigliari della Confederazione: «È la nostra maggiore preoccupazione. Ovunque, i giardini sono minacciati da progetti immobiliari», fa presente Priska Moser, segretaria della Federazione svizzera dei giardini famigliari, a cui aderiscono 25’000 persone.

Ideale di proprietà

Il profondo attaccamento dei locatari ai pochi metri quadrati di terreno coltivabile con un capanno ha spinto tre sociologi della Scuola universitaria professionale di Ginevra – Christophe Delay, Arnaud Frauenfelder e Laure Scalambrin – a pubblicare uno studio sul fenomeno (intitolato “Unire l’utile al dilettevole: il giardino famigliare e la cultura popolare”).

Secondo la loro analisi, la piccola parcella di terreno «rappresenta – pur essendo in affitto – un ideale di proprietà per queste persone», riassumono Fraunenfelder e Delay.

«Il giardino famigliare – continuano – è un vero laboratorio d’osservazione sociale. A Ginevra e altrove questi spazi sono occupati prevalentemente da persone a basso reddito, accomunate dal fatto di aver lasciato – come prima o seconda generazione – il mondo rurale».

Infatti, «dalla fine del XIX secolo fino ad ora coltivare un orto è un antidoto all’esodo rurale, anche se ciò vale soprattutto per gli stranieri che arrivano oggi nelle nostre città».

Le persone intervistate dai sociologi nell’ambito dello studio hanno sottolineato che i giardini costituiscono un vero microcosmo, il tessuto sociale in cui trascorrono i finesettimana con la famiglia. Un luogo in cui ci si aiuta a vicenda, si riscoprono i gesti imparati dai propri genitori, si scambiano con fierezza i prodotti della terra.

Strumento d’integrazione

Secondo Priska Moser, i giardini famigliari sono persino «il miglior strumento d’integrazione. Uno straniero appena arrivato in Svizzera non si iscriverà a un club di jass [gioco di carte tipicamente elvetico], ma preferirà verosimilmente affittare un giardinetto. Facendo un piccolo sforzo linguistico, nel giro di alcune settimane avrà già un argomento di discussione con i vicini».

Christophe Delay e Arnaud Frauenfelder, che hanno ora deciso di analizzare pure l’atteggiamento delle autorità in merito ai giardini famigliari, «questa funzione sociale è tendenzialmente ignorata. Ma l’aumento della disoccupazione e delle diseguaglianze ha riportato la questione di stretta attualità».

Una dacia?

Non tutte le comunità “giardinicole” sono però uguali. A Ginevra, i locatari hanno mediamente superato i 50 anni, mentre a Zurigo il piccolo terreno agricolo è anche un fenomeno modaiolo, tanto che molti giovani affittano la loro parcella.

A questo proposito non mancano gli effetti collaterali: alcuni capanni si sono assai ingranditi, diventando una sorta di rudimentale mini-dacia che durante il finesettimana ospita rumorose combriccole di amici. La città è subito corsa ai ripari, emanando regole più severe. Nessun problema, invece, per la coltivazione di lattuga.

A Ginevra, stando allo studio dei tre sociologi, l’80% dei locatari ha un reddito modesto. Si tratta prevalentemente di impiegati (53%), operai (35%) o lavoratori indipendenti (6%).

La Federazione ginevrina dei giardini famigliari conta il 55% di affiliati svizzeri e il 45% di stanieri. Tra questi spiccano gli italiani (21%), seguiti da portoghesi (15%) e spagnoli (6%).

Gli uomini sono circa il doppio delle donne: un dato che – secondo i ricercatori – identifica il giardino famigliare come uno spazio di aggregazione maschile.

La maggioranza dei “giardinieri” ginevrini ha più di 50 anni; a Zurigo, invece, spesso questi spazi sono affittati da gruppi di giovani.

traduzione e adattamento: Andrea Clementi

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