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All’ascolto della solitudine

Spesso, durante la vecchiaia gli anziani si ritrovano soli. Keystone

Mai così tante persone come l'anno scorso si sono rivolte al «Telefono amico». La maggior parte chiama perché soffre di solitudine.

Nel 2004, l’associazione è stata contattata oltre 200’000 volte. Dieci anni fa, le richieste di aiuto erano solo la metà.

Una telefonata su dieci tra quelle pervenute lo scorso anno al numero 143 concerneva il problema della solitudine. «Va da sé che chi si rivolge a noi non ha nessun altro a cui parlare», afferma Cécile Federer, co-responsabile per la Svizzera orientale e il Principato del Liechtenstein.

Anche i giovani sono sempre più toccati dal problema, ad esempio quando sono disoccupati, dubitano della propria identità sessuale, si sentono incompresi o hanno commesso infrazioni penali.

«Non va tuttavia dimenticato che vi sono molte persone anziane completamente sole, a causa della morte del coniuge o della progressiva scomparsa della cerchia di persone vicine, ma anche perché negli anni della vecchiaia è meno facile stringere nuove amicizie», aggiunge Jean-Claude Keusen, responsabile della sede bernese.

Rete sociale carente

Tra le cause della solitudine che colpisce tante persone nel nostro Paese, Keusen indica la disgregazione delle famiglie. «L’esempio contrario è costituito da Italia, Spagna o Grecia: chi perde il lavoro in queste nazioni, è comunque più inserito in una rete sociale rispetto a quanto avviene in Svizzera».

Gli operatori del «Telefono amico» riconducono però la solitudine – con cui sono quotidianamente in contatto – anche ad altri fattori, come la globalizzazione e l’individualizzazione della società.

«Chi non soddisfa le esigenze della società moderna – salute, vitalità, una relazione soddisfacente, successo professionale ed una nutrita cerchia di amici – comincia subito a dubitare di sé e tende ad autoisolarsi», aggiunge Anne Guddal, responsabile per le sezioni di Wintherthur, Sciaffusa e Frauenfeld.

Rimozione collettiva

Secondo Keusen, l’obbligo di essere felici è sempre più presente: «La semplicità e la modestia sono merce sempre più rara. Ho l’impressione di vivere in una società assai superficiale, in cui lo sviluppo spirituale non trova posto».

Confrontate da un lato con il ripiegamento sui propri bisogni e dall’altro con un’accresciuta ansia da prestazione, le persone non hanno ascoltano più.

«La società di comunicazione ascolta ma non sente», sintetizza Rudolf Bolliger, segretario centrale dell’associazione.

Sempre più persone cercano consiglio

Nel corso dell’ultimo anno, il «Telefono amico» ha ricevuto 212’832 richieste di aiuto, tramite telefono, lettere, posta elettronica e chat-line. In totale, 9’173 casi in più rispetto al 2003 e anche la quota massima dalla creazione del servizio, nel 1957.

I 12 centri regionali dell’organizzazione di volontari ricevono quotidianamente 583 sollecitazioni. Due terzi delle richieste provengono da donne e un quinto da uomini di età superiore ai 60 anni. 1% dei contatti avviene tramite internet.

Le domande di sostegno online riguardano soprattutto problemi di coppia, mentre la solitudine è il problema principale di chi compone il numero 143.

Solitudine come condizione esistenziale

Quasi la metà delle persone con cui discutono gli operatori telefonano quotidianamente o più volte al giorno, spiega Jean-Claude Keusen. Si tratta di soggetti con scarsa capacità di giudizio: «Dispongono di poche risorse e faticano ad esprimersi oralmente».

In questi casi, più che consigliare è necessario accompagnare la persona, dal momento che una discussione orientata alla soluzione del problema risulta difficile. Si tratta di offrire a queste persone un sostegno quotidiano, chiedendo loro ad esempio se si sono già alzati e vestiti, aggiunge Cécile Federer.

Un contributo per contenere i costi

Presso il «Telefono amico» lavorano in prevalenza non-professionisti. Selezionati in base a severi criteri, seguono una formazione di un anno. Proprio i non professionisti, con un linguaggio vicino a chi chiama, offrono un contributo importante. Grazie a loro, le persone che chiamano il 143 riescono a superare le reticenze che si possono avere a comporre questo numero”.

Se si calcola l’impegno volontario del «Telefono amico» in base al compenso di un operatore sociale, i collaboratori dell’associazione sgravano annualmente lo Stato di circa 6 milioni di franchi.

«Questa cifra comprende solo gli stipendi, senza contemplare i costi risparmiati per quanto concerne l’assistenza vera e propria», conclude il Presidente di «Telefono amico» Peter Everts.

swissinfo, Nicole Aeby
(traduzione e adattamento, Andrea Clementi)

Nel 1953, il pastore londinese Chad Varah fonda un centro d’assistenza telefonico per aiutare le persone che minacciano di suicidarsi.

Non potendo più far fronte – dopo breve tempo – a tutte le richieste d’aiuto, Varah decide di chiedere aiuto a collaboratori volontari.

Il modello londinese si è poi diffuso in tutta l’Europa.

Nel 1957, su iniziativa del pastore Kurt Scheitlin, è fondato il «Telefono amico» a Zurigo. In lingua francese nasce a Ginevra nel 1959. In Ticino, esiste dal 1971, con la sede principale di Lugano e un punto d’ascolto nel Sopraceneri.

L’Associazione «Telefono amico» è formata da 13 sedi indipendenti locali.
Vi lavorano 40 impiegati e 612 collaboratori volontari.
L’organizzazione è sostenuta principalmente dalle Chiese.
Nel 2004, disponeva di un budget di 20 milioni, proveniente per buona parte da donatori privati.

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