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Architettura ticinese in cerca di identità

L'Albergo del Monte Verità (Ascona 1926-28), un esempio di architettura innovativa Keystone

La Svizzera italiana è terra d'architetti. Nel presente, come in passato. La ricercatrice Simona Martinoli sulle tracce dell'architettura del primo Novecento, tra tradizione e modernità.

Mancano i posti a sedere alla Biblioteca cantonale di Bellinzona dove, a inizio maggio, la storica dell’arte Simona Martinoli ha presentato la sua ultima fatica di ricercatrice: il libro “L’architettura nel Ticino del primo Novecento – Tradizione e modernità”. Intervista.

swissinfo: Come si sviluppa l’architettura in Ticino dopo l’emigrazione artistica?

Simona Martinoli: All’inizio del Novecento cessa quasi completamente l’emigrazione artistica che aveva contraddistinto l’operato di artisti e architetti ticinesi dei secoli precedenti.

Grazie all’eccezionale congiuntura edilizia degli ultimi decenni dell’Ottocento, tutta una generazione di costruttori trova modo di esprimere il proprio talento nel luogo d’origine.

Penso ad architetti come Augusto Guidini, Otto Maraini, Ferdinando Bernasconi, Paolito Somazzi, Enea Tallone, Giuseppe Bordonzotti, Americo Marazzi, Eugenio Cavadini e altri appartenenti alla generazione nata attorno alla metà dell’Ottocento, formatasi di regola all’Accademia di Brera, e a quella nata negli anni Settanta e Ottanta, che ottiene il diploma attorno al 1900 sempre a Brera, ma che annovera i primi diplomati d’oltralpe, in particolare al Politecnico federale di Zurigo ( Bordonzotti, Tallone).

swissinfo: Quali fattori hanno contribuito a questa svolta?

S.M.: Il miglioramento delle vie di comunicazione – strade cantonali e comunali, ferrovie – e in particolare l’apertura della galleria ferroviaria del San Gottardo nel 1882 segnano una svolta decisiva dal punto di vista economico, sociale e territoriale; con la ferrovia si intensifica lo scambio di persone, capitali e culture.

Altri fattori che hanno favorito lo sviluppo edilizio a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento sono per esempio il ritorno in patria di emigranti che avevano fatto fortuna all’estero, l’insediamento di alcuni stabilimenti industriali o lo smantellamento delle mura cittadine con conseguente espansione urbana.

Oltre all’architettura residenziale sorgono alberghi, edifici pubblici, stazioni ferroviarie, centrali elettriche, stabilimenti industriali, edifici per le poste e i telegrafi , grandi magazzini, caserme, ospedali, cimiteri e crematori e così via.

swissinfo: Come si muove il Ticino in bilico tra la sua identità italofona e il suo essere parte integrante della Confederazione?

S.M.: Nel Ticino, anche in architettura emerge la preoccupazione di un Cantone costantemente confrontato con l’appartenenza politica alla madrepatria e quella culturale all’Italia e dunque bisognoso di conferme rispetto alle proprie radici. All’inizio del Novecento continua a dominare un eclettismo di stampo internazionale affermatosi negli ultimi decenni dell’Ottocento.

swissinfo: Quali gli elementi più incisivi?

S.M. Il tardo avvento dell’industrializzazione, che inizialmente concerne soprattutto il settore turistico, e l’attività edilizia promossa dagli emigranti di ritorno incidono profondamente sul territorio, in particolare nei centri urbani, ma anche nelle zone più discoste. Il paesaggio rurale si trasforma e si adegua al gusto della cultura borghese diffuso in campo internazionale: un’evoluzione che da più parti è vista come una minaccia al patrimonio costruito tradizionale.

Sulla scia di un movimento di riforma diffusosi a livello europeo, volto a superare eclettismo e liberty per rinnovare l’architettura rivalutando le tradizioni edili regionali, nel 1905 era stato fondato a Berna la Lega per la salvaguardia del patrimonio nazionale (Heimatschutz) che promosse il cosiddetto “Heimatstil” o “stile patrio”. In Italia l’Associazione artistica fra i cultori d’architettura perseguiva idee analoghe.

swissinfo: Nel periodo esaminato dalla sua ricerca, in che termini si è sviluppato il dibattito sull’architettura?

S.M.: Nel Ticino alcuni intellettuali dell’epoca – cito Edoardo Berta e Francesco Chiesa – si resero conto che la premessa necessaria all’elaborazione di un linguaggio architettonico rispettoso della tradizione ma allo stesso tempo innovativo, era la conoscenza del patrimonio artistico e architettonico.

Occorreva perciò anzitutto catalogare e studiare i beni culturali, elaborare nuovi strumenti didattici e dotarsi delle necessarie basi legislative per la salvaguardia dei monumenti (e infatti ricordo che proprio 100 anni fa, nel 1909, fu varata la legge sulla protezione dei monumenti storici).

swissinfo: Come si è inserita la dimensione della tradizione?

S.M.: La ricerca di un linguaggio architettonico rispettoso delle tradizioni locali e allo stesso tempo innovativo sarà un Leitmotiv lungo tutta la prima metà del XX secolo. Il recupero dell’architettura tradizionale nel processo di progettazione si tradurrà in tentativi molto diversi fra loro: dal mimetismo di facciata (penso per esempio a piccoli edifici industriali come le cabine di trasformazione ispirate all’architettura romanica), alla citazione forzata dei linguaggi vernacolari, a tutto un ventaglio di interpretazioni che vanno fino alla capacità di far propria la sensibilità costruttiva del luogo

swissinfo: Che cosa intende?

S.M.Che cercano cioè di “catturare” il genius loci nella progettazione architettonica, come nella casa P.A.M che Mario Chiattone progettò per sé e i suoi famigliari nel 1932 a Condra, in Capriasca: un edificio in cui a elementi ispirati alla tradizione regionale rurale – come le murature in pietra locale e il loggiato ad archi – fanno riscontro l’impostazione funzionale della pianta (che risponde ai principi del “plan libre”) e le finestre laterali che richiamano le aperture a nastro dell’architettura d’avanguardia, pur essendo costruite con materiali tradizionali.

swissinfo: Ci sono altri esempi?

S.M.: Quale altro esempio di qualità posso citare la chiesa conventuale del Sacro Cuore a Bellinzona, realizzata dagli architetti Carlo e Rino Tami negli anni 1936-39. L’edificio dalle sobrie linee geometriche, un’interessante interpretazione dell’architettura romanica in chiave moderna, si inserisce a pieno titolo nel dibattito internazionale sull’architettura sacra in corso in quel periodo ed è influenzata dall’architetto olandese Hendrik Petrus per la scelta del mattone a vista all’interno.

Intervista swissinfo, Françoise Gehring, Bellinzona

Simona Martinoli (1964) si è laureata in Storia dell’arte all’università di Zurigo. Ricercatrice indipendente (per il libro “L’architettura nel Ticino del primo Novecento – Tradizione e modernità” ha ricevuto una borsa dal Canton Ticino), collabora con diverse istituzioni culturali, tra cui la Società di storia dell’arte svizzera, ed è membro del Consiglio di fondazione di Pro Helvetia. Ha inoltre curato numerose pubblicazioni ed è coautrice della Guida d’arte della Svizzera italiana.

Dal Seicento all’Ottocento, come nel secondo Novecento, sono molte le personalità che nel campo dell’architettura hanno dato importanti contributi alla scena internazionale.

Ma cos’è stata l’architettura ticinese nel periodo intermedio, quando, cessata l’emigrazione artistica, i progettisti iniziarono a esprimere il loro talento nel luogo d’origine? In che modo la ricerca identitaria di un territorio può svilupparsi attraverso il rinnovamento architettonico?

Domande che sono servite da traccia all ricerca di Simona Martinoli, che va così a colmare una lacuna nella storia dell’architettura ticinese, fornendo nel contempo un contributo sostanziale alla comprensione del Ticino moderno.

Il volume (Edizioni Casagrande, Bellinzona) consente di ripercorrere lo sviluppo dei diversi linguaggi architettonici in tensione tra l’esigenza di riferimenti cosmopoliti e la necessità di recuperare la tradizione.

Arricchito di 168 fotografie a colori e in bianco e nero, L’architettura nel Ticino del primo Novecento ci porta ad apprezzare e a comprendere nei suoi diversi aspetti un patrimonio architettonico finora poco considerato.

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