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Il volto perduto dell’Afghanistan in visione inedita

Café Wali, il primo albergo di Kabul, fotografato nel 1927 Collezione Schinasi

Taliban, guerre, burka: la nostra visione dell'Afghanistan si riduce spesso a queste immagini. Ma il paese asiatico non era sempre così. Anzi: in un'epoca neanche tanto lontana Kabul veniva chiamata la Parigi d’Oriente. Lo ricorda una mostra ad Ascona che propone immagini storiche e inedite.

Un secolo fa l’Afghanistan era un paese che l’Occidente di oggi non può più immaginare. Verso il 1900 possedeva grandiosi edifici, una zona industriale, piani di urbanizzazione sorprendenti che non hanno niente in comune con le immagini quotidianamente diffuse oggigiorno dai media, cioè di un paese primitivo e devastato dai conflitti.

Un ingegnere inglese, incaricato di sovraintendere alcune opere edili, annotava all’inizio del secolo scorso che la macchina governativa-statale aveva raggiunto l’autosufficienza nei settori fondamentali per la vita del paese. L’Afghanistan era un paese avanzato e Kabul, soprannominata la Parigi d’Oriente, era paragonabile a molte capitali europee.

Lo testimonia la mostra fotografica“Il volto perduto dell’Afghanistan”, allestita al Monte Verità di Ascona, che presenta un’ottantina di immagini provenienti dall’archivio di May e Rolando Schinasi. La coppia, che visse fino al 1978 a Kabul, ha raccolto una vasta fototeca, con circa quattromila fotografie che sono un vero e proprio specchio del paese dal 1900 in poi.

Donne, soldati e edifici

La mostra, curata dal giornalista italiano Valerio Pellizari e dal grafico ticinese Roberto Grizzi, si concentra su ritratti di persone, soprattutto militi e donne, ma anche sulle immagini di edifici di quell’epoca. Palazzi, monumenti, strade o ponti, scelti appositamente perché mostrano il volto di un paese e della sua urbanistica, che contrasta con le macerie degli ultimi decenni.

Molto interessante in questo senso è l’immagine del primo complesso industriale di Kabul, detto Mashinkhana, fotografato verso il 1926. In questo stabilimento, costruito già nel 1890, venivano prodotti, in diversi reparti, armi, munizioni, utensili di varo tipo, selle, saponette, candele, oggetti di falegnameria. Vi lavoravano circa seimila operai.

Anche i militari rivestono una grande importanza, perché la modernizzazione dell’esercito afghano resta un capitolo fondamentale dell’orgoglio nazionale. Ancora oggi lo spirito guerriero e il mestiere delle armi occupano il primo posto nella scala sociale delle professioni, alimentando fierezza e patriottismo.

Donne senza velo 

In una foto d’inizio secolo si vede l’emiro Habibullah che si sposta verso la grande moschea di Kabul. La carrozza reale è seguita da un’unità di cavalleria in alta uniforme. Si nota che la tradizione vittoriana è di moda alla corte afghana.

Di particolare interesse per lo spettatore di oggi sono i ritratti femminili, tra cui quelli che mostrano le prime studentesse orgogliose: le donne non portano il velo. Esisteva insomma un’altra dimensione femminile, ben lontana dall’obbligo del burqa imposto dai talebani.

Una foto risalente al 1928 è stata scattata durante il viaggio ufficiale dei sovrani afghani in Europa. La regina e le sue accompagnatrici sono vestite esattamente come le donne europee.

Il libraio analfabeta 

Un riconoscimento particolare va a un libraio di Kabul, Abd al-Samad Maymanagi, come ha ricordato May Schinasi durante la presentazione della mostra. Questo libraio, che non sapeva né leggere né scrivere, si trova all’origine del patrimonio fotografico e bibliografico della coppia Schinasi.

“Andava in giro comprando libri e lasciandosi raccontare il contenuto. Così sapeva tutto”, ricorda May Schinasi, che da quest’afghano ha comprato tanti documenti storici, libri, negative, disegni e molto altro ancora.

La mostra, unica nel suo genere, è stata ideata per il Monte Verità, grazie all’iniziativa del direttore dimissionario Claudio Rossetti, in collaborazione con la rivista italiana “L’Europeo” (mensile del Corriere della Sera) quasi dieci anni dopo la caduta dei talebani e l’arrivo delle forze occidentali in Afghanistan.

L’unico punto negativo: non si possono vedere le foto originali, ma solo riproduzioni.  “L’Europeo” ha dedicato all’Archivio Schinasi il numero di settembre 2010. La mostra, che può essere visitata ad Ascona fino al 24 dicembre, farà tappa in primavera a Bologna e probabilmente anche a Venezia.

May Schinasi (75 anni), di origine francese, viene a Kabul per la prima volta nel 1954, al età di 19 anni, su invito dello suo zio, direttore della Dafa (Délegation Archéologique Francaise Afghanistan). Si avvicina al persiano, che studia assieme all’arabo classico.

Al suo terzo viaggio in Afghanistan, alla fine del 1964, conosce Rolando Schinasi, un italiano nato al Cairo che vive a Kabul dal 1957. I due si sposano nel 1965. Lui, fotografo autodidatta, si occupa di commercio, mentre lei è traduttrice, storica e archeologa.

A Kabul, May Schinasi comincia a costruire una biblioteca di opere in persiano, che oggi ha un grande valore, e una raccolta di fotografie scattate da Rolando. La coppia rimane a Kabul fino al 1978, quando i comunisti assumono il potere in Afghanistan.

Da allora non sono mai ritornati in Afghanistan. Oggi abitano a Nizza, ma soggiornano spesso a Milano. Per l’apertura della mostra al Monte Verità sono venuti per la prima volta ad Ascona nel Canton Ticino.

La quasi totalità delle fotografie della Collezione Schinasi è stata raccolta in Afghanistan prima del 1978. Alcune sono state regalate, altre acquistate presso il libraio Abd al-Samad Maymanagi, altre ancora sono state scattate da Rolando Schinasi.

Tutte insieme sono circa quattromila foto in bianco e nero e a colori. La collezione copre un periodo di quasi un secolo, dal regno dell’emiro Abd al-Rahman (1880-1901) fino al 1978, anno della partenza della coppia Schinasi dall’Afghanistan. 

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