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La cittadella delle donne

Il tempio Banteay Srei, uno dei gioielli del famoso complesso di Angkor, in Cambogia. Marzio Pescia

Le attività di cooperazione allo sviluppo promosse dalla Confederazione non riguardano soltanto temi classici come l’aiuto umanitario o l’agricoltura ma sfociano anche in ambiti più sorprendenti come la preservazione di patrimoni architettonici.

Realizzati da diversi re della gloriosa civiltà Khmer tra il X e il XII secolo, i templi di Angkor erano stati abbandonati ed inghiottiti dalla giungla fino alla fine dell’Ottocento, quando vennero “riscoperti” da archeologi francesi. Oggi, a giusta ragione, figurano tra le principali attrazioni turistiche del Sud Est Asiatico.

Templi quali il monumentale Angkor Wat, il mistico Bayon o il sapientemente trascurato Ta Prohm attirano turisti da ogni parte del mondo: ogni anno le polverose strade che dalla vicina città di Siem Reap si addentrano nel sito sono prese d’assalto da più di due milioni di visitatori. Grazie a questo boom turistico la regione ha potuto beneficiare della creazione di numerosi posti di lavoro destinati alla popolazione locale.

Ma in un paese come la Cambogia, che ancor oggi paga le terribili conseguenze economiche e sociali di decenni di guerra, il ruolo del complesso di Angkor va ben al di là del semplice polo turistico.

“Dopo la guerra, al popolo di questo paese lacerato non rimanevano che due punti di riferimento: il re e i templi”, rileva Ueli Salzmann, architetto bernese al quale nel 2002 la Direzione dello sviluppo e della cooperazione svizzera (DSC) aveva affidato i lavori di conservazione e ripristino del Banteay Srei. “Salvando i templi contribuiamo ad offrire un’identità nazionale ai cambogiani”.

Il più raffinato

Ad una ventina di chilometri dai siti principali di Angkor, il tempio di Banteay Srei, risalente al X secolo e comprendente una torre per ogni divinità della trinità induista (Brahma, Shiva e Vishnù), spicca per il colore rosso della pietra arenaria con la quale è costruito e per il numero incredibile di raffinati bassorilievi tridimensionali sulle sue pareti. Le 16 sculture raffiguranti divinità femminili sulle torri laterali sono talmente affascinanti da aver indotto le popolazioni locali a soprannominare il tempio “la cittadella delle donne”.

Ma tanta raffinatezza, soprattutto se sottoposta al lento ma inesorabile scorrere dei secoli, è pure sinonimo di fragilità.

“Prima del nostro intervento, la manutenzione del tempio era insufficiente sin dagli anni ‘30”, spiega Salzmann. “Alcune parti erano molto rovinate e rischiavano di crollare. Inoltre la vegetazione tropicale tutt’attorno si faceva sempre più invadente”.

Ulteriori problemi erano rappresentati dal carente funzionamento del sistema di drenaggio dell’acqua piovana, che rischiava di minare le basi del tempio, e dal flusso incontrollato di turisti che, curiosi ed incoscienti, si arrampicavano ovunque danneggiando la struttura.

La rinascita

Nella primavera del 2009, dopo due fasi di lavori costate complessivamente 2.6 milioni di franchi, il tempio di Banteay Srei è stato riconsegnato, finalmente in ottima forma, ai responsabili cambogiani incaricati della conservazione dei monumenti storici.

Il tempio è stato stabilizzato e restaurato, ripulito dalla vegetazione e meglio protetto grazie alla creazione di zone non accessibili ai turisti ed a maggiori controlli. Per facilitare la permanenza sostenibile nella zona del tempio, gli esperti svizzeri hanno pure realizzato nuove vie d’accesso, un centro d’accoglienza, dei servizi sanitari ed un museo.

Non trascurabile è pure il fatto che il progetto ha permesso di trasferire nozioni ed esperienza al centinaio di specialisti ed operai cambogiani che hanno collaborato con il team elvetico, permettendo loro di farsi autonomamente carico dei futuri lavori di conservazione sul loro patrimonio storico.

Il sostegno ed il know-how svizzeri hanno dunque offerto una nuova vita al Banteay Srei. Che, tra l’altro, secondo Ueli Salzmann ha molto in comune con il nostro paese: “Ad esempio è piccolo, molto bello e un po’ isolato rispetto ai suoi imponenti vicini…”.

Marzio Pescia, Siem Reap, swissinfo.ch

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) è l’agenzia del Dipartimento federale degli affari esteri incaricata della cooperazione internazionale.

L’obiettivo della cooperazione promossa dalla DSC è la lotta contro la povertà. La DSC sostiene in particolare l’autonomia economica e politica, il miglioramento delle condizioni di produzione, la ricerca di soluzioni per i problemi ambientali e si adopera per agevolare l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria di base.

La DSC si avvale di oltre 600 collaboratori in patria e all’estero, nonché di 1000 impiegati locali. Dispone di un budget annuo di 1,57 miliardi di franchi (2010).

Nel 2008, i paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) hanno versato complessivamente 121,5 miliardi di franchi per l’aiuto allo sviluppo nel mondo.

In media, questo importo corrisponde allo 0,48 % della somma del loro Prodotto interno lordo (Pil).

Con una quota pari allo 0,42% del proprio Pil, la Svizzera figura in 12esima posizione nella classifica relativa ai fondi pubblici consacrati dai membri dell’OCSE per l’aiuto allo sviluppo.

La graduatoria è guidata dalla Svezia (0,98%), davanti a Lussemburgo (0,97%), Norvegia (0,88%), Danimarca (0,82%), Olanda (0,80%), Irlanda (0,59%) e Belgio (0,48%).

Stati uniti e Giappone figurano nelle ultime posizioni della classifica con una quota pari allo 0,19% del loro Pil.

Secondo gli obiettivi del millennio stabiliti dall’ONU, i paesi ricchi dovrebbero destinare almeno lo 0.7% del loro Pil ad attività di cooperazione allo sviluppo.

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