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La fotografia contemplativa di Tettamanti

Dalla serie "Ondarribi", Francia e Spagna, 2003

Con la mostra "Local Studies" la Fondazione Svizzera per la Fotografia di Winterthur presenta un'ampia selezione di immagini scattate tra il 2001 e il 2008 dal giovane fotografo svizzero Joël Tettamanti.

Affascinato dalla fusione tra architettura e paesaggio l’artista dimostra una capacità di osservazione sorprendente che sa cogliere e rendere visibili la bellezza, il senso e le strutture profonde anche dei luoghi più insignificanti.

Se dovessimo sintetizzare in un genere i lavori fotografici di Joël Tettamanti potremmo dire che essi s’interessano all’identità dei luoghi. Ma non si tratta di luoghi noti o comuni. Sembra che lo sguardo del fotografo sia attirato piuttosto dagli spazi più estremi, spesso isolati, il più delle volte vuoti, immobili e alcuni, a prima vista, anche insignificanti.

“Non ho mai detto di detestare un luogo, nemmeno quando sono andato in Lussemburgo a fotografare una centrale nucleare” afferma Tettamanti. “Vi scopro sempre un motivo interessante, forse qualcosa d’irreale.”

Un fotografo-esploratore del 21esimo secolo

Viaggiatore assiduo ed instancabile Joël è abituato a raggiungere i posti più lontani e sperduti del pianeta. Dalla Groenlandia all’Africa del Sud, dal Messico alla Cina, dal Giappone all’Islanda o al Vietnam, ogni viaggio sembra costituire per lui un’avventura, una sorta di spedizione dalla quale ogni volta porta con sé scorci dimenticati di mondo.

“A portarmi in questi luoghi spesso è il mio lavoro perché come fotografo professionista li raggiungo per fare dei reportage su commissione e parallelamente riesco anche a fare le mie foto. Altre volte sono semplicemente i percorsi della vita, la famiglia, gli amici da visitare nel mondo” ci spiega l’artista. “Si può dire che in effetti è un filo senza guida che mi ha portato a questo concetto di viaggiare per fare le foto.”

Quasi in antitesi ai suoi spostamenti veloci e continui Tettamanti ama lavorare con lentezza e con una precisione meticolosa. Non è un reporter abituato a immortalare l’istante ma è piuttosto un fotografo contemplativo che, servendosi di una macchina analogica di grande formato con treppiede come quelle usate da molti viaggiatori all’inizio del ‘900 – “una sorta di un omaggio a tutto un movimento dell’epoca”, confessa l’artista – lavora con dei tempi di esposizione molto lunghi.

Sebbene, per certi aspetti, l’approccio di Tettamanti somigli a quello dei fotografi del passato, la successiva conversione delle immagini in formato digitale ad alta definizione restituisce alle sue opere il carattere che contraddistingue la fotografia del 21esimo secolo.

Una sfida percettiva

Dalle agglomerazioni urbane alle periferie abbandonate, dai paesaggi alpini agli angoli più remoti del mondo, dai villaggi africani a quelli della Groenlandia, l’obiettivo spalancato della macchina fotografica di Tettamanti sembra cercare in maniera analitica le caratteristiche più nascoste dei luoghi per metterne a nudo l’anima.

Usando la luce e l’inquadratura in modo magistrale questo giovane e già affermato fotografo riesce a far esplodere la plasticità formale degli elementi che abitano le sue immagini, anche dei più banali.

Forme, linee, oggetti acquistano una forza tale che i sensi di chi osserva sono costretti a percepire l’immagine in una prospettiva completamente nuova dalla quale, con sorpresa, si colgono dettagli che sembravano essere completamente usciti dal campo visivo.

Ma quella propostaci da Tettamanti non è una sfida percettiva in sé stessa perché le sue immagini, belle e provocanti, non mirano a una pura ricerca decorativa. Puntando l’obiettivo sugli spazi liminali, sulle città dove la natura è praticamente bandita, sui luoghi che portano le tracce e gli effetti della globalizzazione, del consumismo o del turismo di massa, il fotografo ci invita a guardare ciò che non vediamo ma anche a riflettere sul mondo che abitiamo.

La presenza umana

Paradossalmente i veri assenti della fotografia di Tettamanti sono apparentemente proprio gli individui. Quando – raramente – sono ritratti, sembra che l’artista li osservi con lo stesso sguardo che riserva all’architettura e al paesaggio.

“Anche se nelle mie foto ci sono pochi individui, in realtà sono molto interessato alla gente e i luoghi che fotografo hanno un rapporto diretto con le persone che lo abitano” dichiara l’artista.

In effetti nelle sue immagini la presenza umana è percepibile di riflesso nella costellazione di oggetti che costituiscono i diversi habitat. Le strane costruzioni simili a pontili, i ripari provvisori, i palazzi, i quartieri tentacolari o le rovine senza tempo, raccontano dei modi possibili in cui gli esseri umani ammobiliano lo spazio in cui vivono.

Tra realtà e apparenza

L’ampia e varia carrellata di questi luoghi abitativi potrebbe indurci a pensare che Tettamanti fotografi queste strane e insolite costruzioni anche con intenti documentaristici. Ma, come ci confessa l’artista, saremmo fuori strada.

“Non voglio documentare. Più lavoro e più mi rendo conto che le mie immagini sono pura finzione. Sebbene abbiano dei paralleli anche drammatici con situazioni e avvenimenti reali, esse sono solamente la mia rappresentazione di un luogo”.

In effetti la grande abilità con cui Tettamanti riesce a dare corpo a parametri astratti come vuoto, ampiezza e durata dona alle sue immagini una dimensione che oltrepassa i confini del reale e trasporta chi guarda in un mondo apparente – quasi metafisico – dove la percezione di un tempo sospeso riempie i luoghi delle esperienze passate e di quelle future.

swissinfo, Paola Beltrame, Winterthur

“Local Studies”, in corso alla Fondazione Svizzera per la Fotografia fino al 17 maggio, è la prima ampia presentazione dell’opera di Tettamanti in Svizzera. La mostra è ispirata all’omonimo libro di Joël Tettamanti realizzato grazie al sostegno del Museo di Arte Moderna di Lussemburgo (MUDAM) e pubblicato nel 2006.

Accanto a una selezione delle opere fotografiche che appaiono in questa pubblicazione, l’attuale esposizione presenta anche alcune immagini delle serie più recenti come quelle dell’Islanda, della Groenlandia e della Polinesia francese.

Nato a Efok in Camerun nel 1977, Joël Tettamanti ha trascorso l’infanzia nel Lesotho, in Sudafrica e di ritorno in Svizzera si è installato con la famiglia nel Giura studiando prima a Breuleux e poi a La Chaux-de-Fonds.

Tra il 1997 e il 2001 ha studiato comunicazione visuale e fotografia alla Scuola Cantonale d’Arte di Losanna (ECAL) e dopo ha iniziato a interessarsi subito all’elaborazione di foto d’architettura e di paesaggi. I suoi primi progetti hanno avuto per tema il paesaggio montano svizzero (“Cols alpin”, 2001) e le agglomerazioni delle pianure (“Stadtland Schweiz”, 2002).

Ingaggiato come fotografo per riviste come Hochparterre, Das Magazin o Wallpaper, Tettamanti ha iniziato le sue peregrinazioni nei posti più sperduti del mondo dove, oltre ai lavori su commissione, ha sempre l’occasione di ricercare e sviluppare una propria strategia estetica fondata sullo studio della luce e delle forme.

Tra le sue esposizioni più significative si ricordano quella al Van Alen Institute di New York (2003), al Centro di Arte Contemporanea di Torino (2004), al Centro Culturale svizzero di Parigi (2005), al MUDAM di Lussemburgo (2006), alla Biennale di Architettura di São Paulo (2007), alla Biennale internazionale di fotografia di Liegi (2008).

Quando non è in viaggio, Tettamanti vive e lavora in Svizzera.

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