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Un viaggio fotografico tra le popolazioni rom

Frumoasa, Palinca, Vasilica, Telpina e Barselona a Stefanesti (Romania).

Il Museo della fotografia di Winterthur presenta le immagini di Joakim Eskildsen scattate tra le comunità rom in diversi paesi. Nel periodo 2000-2006 il fotografo danese ha trascorso lunghi periodi con i Rom documentandone la vita quotidiana.

Non è la prima volta che Joakim Eskildsen (1971) e la sua compagna, la scrittica Cia Rinne (1973), s’interessano alle minoranze etniche e alla discriminazione razziale. Tra il 1997 e il 1999 il fotografo e la scrittrice hanno viaggiato in diversi villaggi del Sudafrica dove si sono confrontati con il tema dell’apartheid e hanno poi documentato la loro esperienza nell’opera iChickenMoon. “Quando siamo tornati in Europa – ci racconta Eskildsen – abbiamo riflettuto sul fatto che anche qui avevamo la nostra apartheid con i Rom”.

Le popolazioni, che semplificando chiamiamo Rom, sono suddivise in centinaia di gruppi eterogenei con un proprio nome e un’identità linguistica, religiosa e culturale che varia a seconda dei luoghi in cui si sono insediate. Esse costituisco la minoranza etnico-culturale più numerosa d’Europa e quella più colpita da fenomeni di discriminazione ed emarginazione socio-economica.

Il primo passo

Eskildsen ci spiega che l’idea di avviare un progetto di grandi dimensioni sulle popolazioni nomadi è nato quasi per caso e grazie a una serie di coincidenze. “Un amico che viveva tra la Finlandia e l’Ungheria mi ha introdotto in una strada in Ungheria. Mi sono innamorato di quella strada e per me, in un certo senso, il fatto che si trattasse di Rom era secondario.”

Si tratta di Ibolya út, situata alle porte di Hevesaranyos, un piccolo paese della provincia di Heves nell’Ungheria settentrionale dove Eskildsen e Rinne hanno vissuto 4 mesi nella casa di Magda Karolyné, un’anziana rom.

“Durante quel viaggio, io e Cia, lei è scrittrice, abbiamo deciso di fare un lavoro insieme. Ma inizialmente pensavamo di occuparci solo di quella strada”, prosegue Eskildsen.

“Poi c’è stata la coincidenza di andare in Romania durante il Natale – che abbiamo trascorso con dei Rom – e allora ci siamo detti che non aveva senso preparare un libro solo su una strada. Dovevamo impegnarci in un progetto a lungo termine che comprendesse molti luoghi diversi in Europa. Così è nata l’idea.”

Sette paesi in sette anni

Attraverso contatti personali e in molti casi grazie all’aiuto di alcune organizzazioni umanitarie, la coppia si è messa sulle tracce di differenti comunità rom ripercorrendone in un certo senso le tappe del lento spostamento migratorio dall’India verso l’Europa.

Fra il 2000 e il 2006 Joakim e Cia si sono spostati in sette differenti paesi senza mai organizzare in maniera minuziosa i loro viaggi ma lasciandosi piuttosto guidare dalle coincidenze che venivano a crearsi di volta in volta. Si sono però presi il tempo di restare lunghi periodi con le comunità rom che hanno incontrato per comprendere in modo profondo e onesto la loro realtà e il loro stile di vita.

“Il contatto con la gente è stato ogni volta molto diverso” ci spiega Eskildsen. “In alcuni luoghi siamo riusciti a istaurare un rapporto di vicinanza, siamo diventati davvero amici, in altri è rimasto un rapporto di reciproco rispetto.”

“Di regola comunque la gente ha capito molto in fretta che il mio interesse non era rivolto alle cose che solitamente attirano l’attenzione dei media, ma si concentrava su aspetti che sono importanti per loro, come la fierezza, l’atmosfera, il modo in cui essi stessi si percepiscono.”

L’esposizione e i suoi capitoli

Divisa in 7 capitoli che rispecchiano approssimativamente anche la cronologia dei viaggi compiuti dalla coppia, la mostra si apre con le foto dell’insediamento dei rom ungheresi di Ibolya út, la strada delle viole con le sue case arrampicate su dolci colline, a cui fanno eco nella parete di fronte le immagini scattate in India tra le popolazioni rom del Rajasthan.

Estremamente toccanti le foto dell’accampamento di Nea Zoi, in Grecia, dove la gente vive in baracche precarie ai margini della periferia industriale; o quelle delle comunità di rom francesi di St. Denis, vicino a Parigi, costretti continuamente a cercare nuovi spazi per le loro carovane; o ancora le immagini dei rom russi che hanno trovato rifugio nelle foreste che circondano San Pietroburgo.

Calde, intense, poetiche, bellissime, le foto di Eskildsen sembrano entrare tutte le volte in empatia con l’ambiente che hanno di fronte. Tanto che in ogni capitolo l’artista pare quasi cambiare il suo stile.

Dall’Ungheria all’India, dalla Grecia alla Romania, dalla Russia alla Francia e alla Finlandia, queste immagini mettono in luce non soltanto le problematiche legate all’emarginazione delle popolazioni nomadi, ma anche la varietà e ricchezza di un mondo che l’Occidente ha invece sintetizzato in stereotipi e pregiudizi.

Uno sguardo che insegna

Lo sguardo di Eskildsen è intimo, ma mai invadente. La straordinaria forza e umanità – mai imbarazzata – delle sue foto rivela molto anche del rapporto instaurato con la gente. Un rapporto basato sulla fiducia, il rispetto, l’onestà e il desiderio sincero di conoscere e comprendere il diverso, condividendone spazi e abitudini, con una curiosità umile, aperta e libera da pregiudizi.

Il lavoro di Eskildsen e Rinne non è solamente bello. Esso dimostra che attraverso la comprensione e la comunicazione si possono abbattere stereotipi, pregiudizi e paure. Ricorda pure che il diritto alla vita non ha un unico modello, ma è nella varietà delle sue possibili espressioni che si fonda la sua ricchezza.

swissinfo, Paola Beltrame, Winterthur

La mostra “Viaggio Rom” in corso al Museo della fotografia di Winterthur rimarrà aperta fino al 17 maggio. Presenta un centinaio di foto stampate a inchiostro (la maggior parte ha un formato di 76×92) scattate da Eskildsen con macchina analogica (una Pentax 6×7 con obiettivi da 55, 90 e 135 mm per le foto a colori e una Hasselblad X-Pan con un obiettivo da 43 mm per quelle in bianco e nero).

L’esposizione è accompagnata da un bellissimo volume che raccoglie 274 immagini, i testi di Cia Rinne e un CD con musiche e suoni raccolti nel corso dei viaggi. Il libro, disponibile in tedesco (Die Romareise) e inglese (The Roma Journeys), è accompagnato da un’introduzione di Günter Grass.

Rom, Sinti, Calé, Lovára, Machwàya, sono solo alcune delle centinaia di gruppi nomadi di lingua romaní originari dell’India nordoccidentale che tra il X e il XIV secolo si sono spostati in ondate migratorie differenti, prima verso l’Asia Minore e poi verso il Nordafrica e la Grecia, disseminandosi infine in tutta l’Europa.

Definiti in modo semplificativo tutti Rom (e nel peggiore dei casi, zingari o gitani), presentano in realtà molte differenze, determinate dal gruppo etnico di appartenenza, ma anche dalla lingua, dalla cultura e dalla religione dei paesi in cui si sono insediati.

Discriminati, criminalizzati e perseguitati sistematicamente nel corso della storia, vivono ancora oggi ai margini della società – non per libera scelta ma per costrizione – vittime di pregiudizi e stereotipi.

Essi costituiscono la più grande minoranza etnica in Europa, ma è difficile stabilire cifre esatte. Alcuni dati parlano di 15-20 milioni di persone. La maggior parte risiede nei paesi dell’Europa centro orientale, con punte di quasi 2 milioni in Romania. Ma sono presenti in ogni paese, dal Portogallo fino alla Russia.

Nel 2008 è stato istituito un Network – a cui oltre alla Commissione europea partecipano 12 paesi (Spagna, Grecia, Italia, Portogallo, Bulgaria, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Ungheria Finlandia e Svezia)- finalizzato alla ricerca di soluzioni comuni per l’inclusione sociale e lavorativa della comunità rom e per contrastare le discriminazioni che colpiscono tale minoranza.

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