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La rivoluzione dimenticata

Lo studio della luce - naturale o elettrica, come in questo quadro di Giacomo Balla - è uno degli elementi centrali del divisionismo Keystone

A fine Ottocento i pittori divisionisti traghettarono l'arte italiana verso la modernità. Poco conosciute internazionalmente, le loro opere sono al centro di una mostra realizzata dal Kunsthaus di Zurigo e dalla National Gallery di Londra.

Quando si seppe che Londra stava collaborando con Zurigo per allestire una mostra sul Divisionismo, qualcuno si domandò se la National Gallery sarebbe mai riuscita a vendere tazze e tappetini per il mouse con la riproduzione del Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, un quadro famoso in Italia e negli ambienti socialisti, pressoché sconosciuto altrove.

In termini finanziari, la scelta di presentare artisti poco noti non paga certo quanto una mostra sui soliti Van Gogh o Monet, ha però il pregio di permettere al pubblico di fare delle scoperte, di accostarsi in modo nuovo, senza pregiudizi, all’arte. A Londra, sono stati in 37’000 ad approfittare di questa occasione; Zurigo, dove la mostra sarà fino a gennaio del 2009 spera in un risultato altrettanto incoraggiante. A differenza della National Gallery, il Kunsthaus può contare sull’effetto trainante di Giovanni Segantini, un pittore a cui il pubblico svizzero è molto affezionato. Segantini, infatti, pur essendo nato in Trentino e cresciuto a Milano, dipinse molti dei suoi quadri in Engadina.

Sulle rive del Tamigi, anche Segantini è un nome poco noto. Tuttavia, racconta la curatrice Simonetta Fraquelli, «l’esposizione è stata molto ben accolta. C’è gente che mi ha scritto cose del tipo: “Che meraviglia! Perché non conoscevamo questi divisionisti? Perché non ce ne fate vedere di più?” Ci vuole coraggio per organizzare mostre come questa. Io spero che iniziative del genere aiutino a creare un pubblico per i movimenti poco noti. In fondo, l’arte di fine Ottocento non è solo arte francese o tedesca».

Da un punto di vista storico, il Divisionismo ha pagato lo scotto di essere stato preceduto da secoli in cui l’arte italiana aveva dominato la scena mondiale e di essere stato seguito da un movimento roboante come il Futurismo (di cui si festeggerà il centenario nel 2009). Le cose stanno però lentamente cambiando. «Ci sono diverse iniziative per dare luce a questo periodo», spiega Simonetta Fraquelli. «L’Ottocento italiano viene rivalutato».

Radical light e Rivoluzione

Oltre a non essere del tutto uguali – a Zurigo ci sono più quadri di Segantini e alcune opere di divisionisti svizzeri, ma manca il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo – le mostre presentate alla National Gallery e al Kunsthaus hanno anche due titoli diversi: Radical light e Rivoluzione! Per Tobia Bezzola, curatore del Kunsthaus, «Radical light è uno slogan. Noi abbiamo preferito la rivoluzione. Ed è una doppia rivoluzione: da una parte di tecnica stilistica, dall’altra sociale. A fine Ottocento, in Italia c’era aria di rivoluzione politica e questo ha influenzato i pittori divisionisti».

In realtà, il riferimento alla luce del titolo londinese non è affatto casuale. Lo studio delle sue proprietà è centrale per i divisionisti; la loro tecnica, che accosta i colori puri, crea degli effetti straordinari. Oggi, a più di cento anni di distanza, è ancora difficilissimo riprodurre su carta i quadri di questi pittori. Più di altre opere, quelle dei divisionisti soffrono il ridimensionamento e la resa a stampa dei colori. Il catalogo dell’esposizione è ben curato, ma la luminosità dei quadri si rivela solo a chi li ammira dal vivo.

Alla Triennale di Brera del 1891, quando i divisionisti uscirono allo scoperto, il pubblico rimase scioccato dalla loro tecnica d’avanguardia, spesso coniugata con l’impegno sociale, come ne L’oratore dello sciopero di Longoni. «La gente era abituata alla tecnica d’olio a impasto, ai colori miscelati sulla tavolozza», racconta Giovanna Ginex, autrice di un saggio sui risvolti sociali del Divisionismo. «E anche se fin dall’antichità gli artisti conoscevano bene le proprietà dei colori puri accostati, trovarsi davanti ad una pittura dove non si vedeva il disegno, non si vedeva il contorno, ma solo l’effetto della luce che creava i volumi ha impressionato il pubblico e diviso la critica».

Simbolismo e pittura del vero

Le peculiarità della tecnica divisionista non si prestavano solo a temi di rottura, come la rappresentazione delle agitazioni sociali nell’Italia settentrionale. «Il divisionismo era adattissimo alla piuttura en plein air. Chi dipingeva un ghiacciaio o paesaggi di montagna se ne serviva», commenta Giovanna Ginex, ricordando i quadri engadinesi di Segantini.

Un altro dei filoni importanti è quello simbolista: «L’idea corre parallela alla pittura del vero e a volte l’incrocia. In tutta Europa, in questo periodo, c’è una tensione tra il vero e il simbolo e il divisionismo cade proprio al centro, come possibilità tecnica di esprimere queste diverse dimensioni».

Anche pittori come Balla e Boccioni, che aderiranno al Manifesto futurista di Marinetti e si daranno da fare per «uccidere il chiaro di luna», non dimenticano la lezione divisionista, una tecnica che sembra rispondere bene alle nuove sfide: elettricità, industrializzazione, velocità.

swissinfo, Doris Lucini, Zurigo

Nasce alla fine del XIX secolo nell’Italia settentrionale come risposta alla crisi artistica, economica, sociale e politica che attanagliava il paese.

Da un punto di vista stilistico, i divisionisti sono spesso associati ai postimpressionisti e puntinisti francesi. A differenza di questi ultimi, puntano sia su temi naturalistici, sia su temi simbolici e con valenze politico-sociali.

A dare il nome al movimento è la tecnica pittorica adottata, che consiste nel non mischiare i colori sulla tavolozza, ma nel lasciarli puri, ovvero divisi, per accostarli poi pennellata dopo pennellata sulla tela con l’obiettivo di catturare la luce.

I rappresentanti più noti della prima generazione sono Giuseppe Pellizza da Volpedo, Gaetano Previati e Giovanni Segantini. Nella seconda si trovano artisti come Balla, Carrà e Boccioni.

In Svizzera, la tecnica fu adottata dal grigionese Giovanni Giacometti – influenzato da Segantini – e dai ticinesi Edoardo Berta, Filippo Franzoni e Luigi Rossi.

«Rivoluzione! Pittura moderna italiana da Segantini a Balla» è una coproduzione del Kunsthaus di Zurigo e della National Gallery di Londra, che ha ospitato la mostra dal 18 giugno al 7 settembre con il titolo «Radical Light».

A Zurigo la mostra rimarrà aperta fino all’11 gennaio 2009. Sono esposti una settantina di dipinti di 17 artisti provenienti da musei prestigiosi, come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma o il Musée d’Orsay di Parigi.

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