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La moda svizzera tra passerelle e commercio equo-solidale

Un gruppo di donne di una baraccopoli di Nairobi (Kenya) sta confezionando dei braccialetti con il marchio Ethical Fashion. Ethical Fashion

La casa di moda svizzera PortenierRoth è stata scelta per far parte dell’Ethical Fashion Initiative, un progetto di produzione tessile equo-solidale del Centro del commercio internazionale. Per le due stiliste di Thun, presenti alla settimana dell’Alta moda di Roma, i valori etici sono indissociabili dai vestiti.

Svizzera, Africa, Haiti: mondi che più diversi non si possono immaginare, ma che si incontrano grazie al linguaggio universale della moda e all’Ethical Fashion Initiative (EFI), un’iniziativa promossa dal Centro del commercio internazionale, un’agenzia associata alle Nazioni Unite e all’Organizzazione mondiale per il commercio, con sede a Ginevra.

Lanciato nel 2008, il progetto ha già coinvolto oltre 7’000 piccoli artigiani (il 90% sono donne), soprattutto in Kenya e Ghana. L’obiettivo è di mettere in contatto le grandi firme della moda con le realtà tessili artigianali di paesi in via di sviluppo dell’Africa subsahariana e di Haiti, per dar vita a un commercio equo-solidale. Dai villaggi alle boutique delle metropoli.

Un progetto ambizioso, ma che da subito ha trovato il sostegno di firme del calibro di Stella McCartney, Vivienne Westwood o Ilaria Venturini Fendi. Quest’anno si sono poi aggiunti altri quattro nomi, tra cui la marca svizzera PortenierRoth, protagonista di “Africa to Rome”, la sfilata-evento della settimana della moda romana.

«Ci siamo incontrati grazie a Mode Suisse, l’appuntamento fieristico degli addetti del settore della moda svizzera», afferma a swissinfo.ch Simone Cipriani, alla guida dell’EFI. «Le abbiamo scelte perché la loro filosofia è molto simile a quella che è alla base del progetto. Il loro laboratorio di Thun richiama, nei valori, quelli che noi vogliamo trasmettere».

La marca nasce nel 2007 a Thun, nel canton Berna, dall’idea di Sabine Portenier ed Evelyne Roth.

La loro carriera è breve, ma costellata di riconoscimenti. Nel 2011, la collezione Croisiére 11 si aggiudica ad esempio il Goldener Hase (Coniglio d’Oro), assegnato dalla rivista di architettura e arredamento Hochparterre.

Le due stiliste sono state premiate nella categoria Miglior Design per la particolarità delle forme dei loro abiti, coloratissime e geometriche, che rimandano a una passione e a un’attenzione anche per le arti visive.

La vera consacrazione per PortenierRoth arriva però nel 2012, quando vince il Premio svizzero per il design dell’Ufficio federale della cultura.

Il successo della marca elvetica è anche legato a una scelta controcorrente che riguarda le loro collezioni: una soltanto e non due come è da tradizione nella mondo della moda (Primavera-Estate e Autunno-Inverno). La produzione prevede ad esempio capi interscambiabili per un originale stile “a strati” adatto tutto l’anno.

Investire nelle persone

Simone Cipriani parla al plurale perché dietro a PortenierRoth ci sono due figure creative: Sabine Portenier ed Evelyne Roth. Classe 1971 e tre figli la prima, del 1978 con due figli la seconda, sono tra le personalità più promettenti del Made in Switzerland nel settore della moda.

«Ci conosciamo da molto tempo – raccontano le due stiliste – e insieme abbiamo lavorato anche all’estero, in Germania e in Italia. Dal 2009 creiamo regolarmente le nostre collezioni».

PortenierRoth non è però soltanto un’etichetta fashion. È anche sinonimo di un’anima profonda, di valori etici. Aspetti che hanno spinto il Centro del commercio internazionale a nominarle come testimonial. «Hanno investito nelle persone», spiega Simone Cipriani.

«Nel loro negozio di Thun sono impiegati ex lavoratori di una fabbrica di divise militari, chiusa perché la produzione si è spostata in Asia. Hanno recuperato quelle competenze, indirizzandole verso la realizzazione di abiti sartoriali».

Dal canton Berna al Burkina Faso

Partecipare all’EFI significa anche scoprire le realtà locali coinvolte nel progetto ed è per questo che Sabine ed Evelyne sono volate fino in Burkina Faso.

Volevano valutare di persona, forti delle loro passate esperienze come sarte, le lavorazioni al telaio dei tessuti poi utilizzati per creare i loro abiti. I tessuti realizzati dalle micro-imprese africane che aderiscono al progetto EFI giungono infatti a Thun, nell’Oberland bernese, dove le stoffe si trasformano in abiti, giacche o gonne con decorazioni in materiali di lusso, che vanno dalla pelle alla seta.

L’esperienza di Sabine ed Evelyne in Burkina Faso

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«È stata un’esperienza emozionante che ci ha arricchito perché abbiamo avuto la possibilità di studiare dal vivo diverse tecniche di tessitura. Siamo rimaste molto colpite dalla maestria dei lavori tradizionali fatti a mano», affermano le due stiliste.

Al momento l’EFI si concentra sull’Africa subsahariana e su Haiti. Visto il successo del progetto viene da chiedere se verrà ampliato. «Per il momento – risponde Simone Cipriani – preferiamo concentrarci su queste due realtà e consolidare le micro-imprese che già abbiamo avviato. Per questo a breve non prevediamo di coinvolgere altre regioni quali l’Asia».

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