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Un soldato svizzero tra le alte sfere dell’ONU

Olivier Kuster, per un anno soldato delle Nazioni Unite swissinfo.ch

Appostato nel centro informativo della missione di pace dell'ONU in Congo, il neocastellano Olivier Kuster segue tutto ciò che succede nel disastrato paese africano.

In accordo con famiglia e datore di lavoro, il 35enne di St. Aubin è partito per un anno alla volta di Kinshasa, spinto da un’interessante opportunità professionale e da molta curiosità.

20’000 persone stazionate su tutto il territorio, una cinquantina di nazioni rappresentate e un budget annuale di 1 miliardo di dollari. La missione dell’ONU nella Repubblica democratica del Congo (Monuc) è attualmente la più importante operazione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite nel mondo.

Boliviani, cinesi, guatemaltechi, indiani, pakistani, senegalesi, tunisini…scorrendo l’elenco dei contingenti militari presenti nello Stato africano ci si accorge che l’eterogeneità è la caratteristica principale della missione creata nel 1999.

In fondo alla lista, alla voce «Osservatori militari», anche due svizzeri. Nella capitale Kinshasa, all’interno del perimetro ONU, incontriamo Olivier Kuster: «Sono arrivato a metà maggio e il mio mandato durerà un anno. L’altro compatriota è invece a Kisangani, a 1000 chilometri da qui», dice.

A fianco del generale

Nel piccolo ristorante accanto al quartier generale della Monuc, Olivier beve la sua tazza di caffè quotidiana. Nonostante i prezzi siano il doppio rispetto ai locali all’esterno delle mura di cinta e del filo spinato, il locale è per Olivier il luogo adatto per una pausa: è poco distante dall’ufficio e quando il superiore chiama, è subito a disposizione.

A presentarsi in ritardo dal suo capo, il 35enne di St. Aubin (canton Neuchâtel) non ci tiene affatto: «Sono l’assistente militare del generale Houdet, il responsabile di Stato Maggiore delle forze armate della Monuc», afferma a swissinfo Olivier.

Un incarico di tutto rispetto quello svolto dal soldato elvetico, il quale deve al suo predecessore la fiducia ripostagli: «Mi hanno voluto per questo compito in seguito al buon lavoro svolto dal volontario svizzero che mi ha preceduto».

In Congo per parlare con la gente

In base a quanto stabilito da Swissint – il centro di competenza dell’esercito svizzero per gli impieghi di promozione della pace all’estero – i militari d’osservazione rossocrociati non possono essere impiegati sul terreno. Stare lontano dalle zone calde, dove i caschi blu devono fronteggiare gruppi di milizie armate, non è per nulla frustrante, neanche per un soldato che in patria detiene il grado di maggiore.

«Lavorando al centro informativo posso seguire un po’ tutto quello che succede», rileva Olivier.

Per lui, quello che conta maggiormente, al di là del lavoro svolto, è il ritrovarsi in un mondo nuovo. «Volevo fare qualcosa di completamente diverso. Ho scelto il Congo, e ad esempio non la Georgia, a causa della lingua: mi interessava poter parlare direttamente con le persone».

«Non sarei però partito se non avessi avuto l’accordo della famiglia e del datore di lavoro», aggiunge.

Barbecue con i canadesi

Per il collaboratore dell’Ufficio della circolazione e della navigazione dell’esercito svizzero, il primo impatto con il Congo non è stato facile. Anche perché si trattava del primo viaggio in Africa.

«Appena giunto a Kinshasa ero sconcertato: l’aeroporto era incasinato, all’esterno faceva un buio pesto e la strada verso il centro era in pessime condizioni», racconta.

Superato lo choc iniziale, Olivier deve risolvere il problema dell’alloggio. «Mi sono dovuto arrangiare da solo siccome l’ONU non fornisce nulla. Alcuni quartieri ci sono proibiti per ragioni di sicurezza».

Dopo aver vissuto per qualche tempo con un coinquilino che non era mai in casa – «rientrare e trovare l’appartamento vuoto mi deprimeva», ricorda – il neocastellano è ora in buona compagnia: assieme ad un gruppo di canadesi condivide una spaziosa villa. Le frequenti grigliate fanno dimenticare per un attimo la nostalgia della famiglia e degli amici.

Collaborazione internazionale

Mentre stiamo terminando il «piatto forte» del ristorante Monuc – hamburger e patatine – un casco blu del Bangladesh e due danesi si siedono al tavolo accanto.

«È ciò che mi piace di questo posto: il clima internazionale. Mi interessa osservare come tante nazioni lavorino assieme per ottenere un obiettivo comune in un paese così complicato come il Congo», ci dice Olivier.

«Solo all’ONU si possono vedere militari indiani e pakistani collaborare fianco a fianco. Se solo potesse essere sempre così…», conclude, prima di gettare uno sguardo all’orologio e accorgersi di essere quasi in ritardo.

Una rapida stretta di mano e poi via, di corsa, alla riunione con il generale. Olivier non vuole certo essere il primo ad infrangere il mito della puntualità elvetica.

swissinfo, Luigi Jorio, Kinshasa

Gli svizzeri censiti in Congo erano 19 nel 1902, 1215 alla fine del 1959, 432 nel 1986 e 160 nel 2000.
Oggi sono circa 150, per una gran parte attivi nelle organizzazioni internazionali.
2 soldati elvetici partecipano alla Missione di pace dell’ONU in Congo, la più grande tra le 18 operazioni delle Nazioni Unite nel mondo.

La Svizzera partecipa a missioni di pace dal 1953. In quell’anno inviò 93 militari in Corea per appoggiare la sorveglianza dell’armistizio tra il Nord e il Sud.

Responsabile per la pianificazione, la preparazione e la condotta di tutti i contingenti militari svizzeri e delle singole persone impiegate all’estero a favore della pace, è il centro di competenza Swissint a Stans (canton Nidvaldo).

Attualmente una ventina di ufficiali svizzeri che vestono un grado di capitano o un grado superiore sono impiegati nelle missioni delle Nazioni Unite in Medio oriente, Georgia, Repubblica democratica del Congo, Sudan e Etiopia/Eritrea.

La Svizzera partecipa inoltre con un effettivo massimo di 220 volontari armati alla missione di pace della NATO in Kosovo.

Sempre con la NATO, i soldati elvetici sono presenti in Afghanistan e in Bosnia.

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