Una supernova affinché la Terra non anneghi
E se fosse stato un cataclisma cosmico a rendere il nostro pianeta abitabile? È lo scenario proposto da giovani ricercatori svizzeri, tedeschi e americani, in cui i protagonisti sono l’alluminio 26, una nube primordiale, il bilancio idrico di un mondo in formazione e una supernova.
La Terra è ricca d’acqua? Quando si osserva il nostro pianeta dal cielo, la risposta sembra ovvia. Gli oceani coprono più di due terzi della sua superficie e appare quindi logico il soprannome di “pianeta blu”? Ma le apparenze sono ingannevoli. Come mostra l’immagine qui sotto, pompando tutti gli oceani, mari, laghi, laghi, fiumi, acque sotterranee, ghiacciai e calotte polari, si otterrebbe una bolla che copre appena un po’ di più della superficie della Francia o di un grande stato americano come il Texas…..
È quindi comprensibile che gli astrofisici preferiscano piuttosto definire il nostro pianeta “secco”. Ed è una fortuna per noi che sia così.
26Al vs. H2O
Allora, come si spiega questa relativa siccità? Per capirlo, dobbiamo tornare indietro di circa 4,6 miliardi di anni. A quel tempo, il nostro sistema solare è ancora solo una vasta e fredda nuvola di gas e polvere che comincia lentamente a condensarsi e a girare su se stesso. La forza di gravità attira la maggior parte della sua massa al centro, per dare vita al Sole, mentre i residui alla periferia danno origine a pianeti, asteroidi e comete.
In questa nube primordiale, c’è acqua, molta acqua – sotto forma di cristalli di ghiaccio. L’H2O, una delle molecole più semplici, è anche una delle più abbondanti dell’universo. Ma c’è anche l’alluminio 26, un isotopo di alluminio, che i chimici chiamano 26Al. È radioattivo e quindi si disintegra lentamente, rilasciando molto calore. Di fronte a questo calore, e a quello del Sole appena acceso, l’H2O non può competere.
Qualche milione di anni dopo, quando si formano i pianeti, Mercurio, Venere, Terra e Marte, l’acqua è quasi completamente evaporata nei quattro mondi rocciosi della famiglia del Sole. Ma non è scomparsa dall’intero sistema. Più lontano dal Sole, dove i suoi raggi riscaldano meno, e con il graduale degrado del 26Al, rimane ancora molto ghiaccio acquatico nei pianeti giganti (Giove, Saturno, Urano e Nettuno), come pure in comete e asteroidi.
Di cosa stiamo parlando?
“Una dicotomia nel bilancio idrico dei protopianeti rocciosi proveniente dal riscaldamento di 26Al.” La pubblicazione citata in questo articolo è apparsa nel febbraio 2019 sulla rivista Nature astronomy, a cura di Tim Lichtenberg, allora dottorando al Politecnico federale di Zurigo (ora a Oxford), altri cinque colleghi e un professore di Zurigo, Berna, Bayreuth (Germania) e Ann Arbor (Michigan).
Ed è l’incessante bombardamento di questi ultimi su una Terra ancora sterile a restituire un po’ d’acqua al nostro pianeta. Abbastanza per formare questa grande bolla che oggi permette gli permette di brillare con un colore blu.
Anni di calcoli
Tutto questo è ben noto e ben documentato. “Oggi il 26Al è completamente scomparso, ma gli elementi in cui si è decomposto si trovano nei meteoriti”, indica Tim Lichtenberg, uno degli autori della ricerca. La nostra idea iniziale era che l’arricchimento di un sistema emergente con alluminio 26 modifica l’abbondanza d’acqua dei blocchi di formazione dei pianeti, e quindi dei pianeti stessi”.
Per anni, il giovane dottorando e i suoi colleghi hanno simulato la formazione di migliaia di pianeti di materiali diversi e sono giunti alla seguente conclusione: senza un apporto di Al26, i pianeti medi (da 2 a 4 volte la dimensione della Terra) sarebbero stati essenzialmente pianeti-oceani. Questi mondi senza terra sembrano abbondare nella galassia, dato che rappresentano un terzo dei 4000 esopianeti identificati fino ad oggi.
PlanetS
La ricerca di Lichtenberg e dei suoi colleghi è stato condotta nell’ambito del programma PlanetS del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica. Dal 1995 e dalla scoperta (da parte di ricercatori svizzeri) del primo esopianeta, sono stati fatti molti progressi nella comprensione della formazione dei sistemi planetari. PlanetS ha già prodotto più di 200 pubblicazioni scientifiche e sarà responsabile della gestione dei dati del telescopio spaziale svizzero CHEOPS, il cui lancio è previsto per il prossimo autunno.
Regalo di una stella gigante
Allora, da dove viene il 26Al, il metallo radioattivo che “asciuga” i pianeti? “Sappiamo che ce n’è molto in stelle massicce. Quindi potrebbe essere il risultato dell’esplosione di un supernova nelle vicinanze del nostro sistema. Si tratta di un’idea che è ancora in discussione nella comunità scientifica. Un’altra spiegazione sarebbe che questo alluminio è stato espulso dai venti di una stella massiccia prima di esplodere, quando la pressione è così alta da rompere il suo involucro”, dice Tim Lichtenberg.
Quello che sembra certo è che senza la vicinanza (dai 15 ai 30 anni luce) di una stella gigante che muore o esplode – in un cataclisma di violenza che supera la nostra immaginazione – la Terra sarebbe molto diversa da ciò che è oggi.
“La Terra potrebbe contenere fino al 30% di acqua. Il suo raggio sarebbe del 15% più grande e la superficie sarebbe un unico oceano profondo diverse migliaia di chilometri. Con la pressione, gli strati più profondi sarebbero fatti di ghiaccio”, spiega Christoph Mordasini, professore presso il Centro per lo spazio e l’habitat dell’Università di Berna e coautore della pubblicazione.
In queste condizioni, non vi sarebbe nessuna possibilità di vedere fiorire una vita come quella del nostro pianeta. Se non altro perché il ghiaccio degli abissi bloccherebbe i gas vulcanici, che hanno contribuito all’ossigenazione della nostra atmosfera e alla stabilizzazione del nostro clima.
L’esplosione di una supernova:
Prudenza scientifica
Quindi, mettendo in evidenza il ruolo dell’alluminio nella formazione di un pianeta abitabile, Tim Lichtenberg e i suoi colleghi non forniscono un ulteriore argomento a coloro che pensano che le condizioni per la nascita della vita siano così numerose da renderla estremamente rara nell’universo?
“Si tratta effettivamente di un argomento che rende meno probabile uno scenario in cui le cose potevano accadere su un’altra Terra allo stesso modo di quanto avvenuto sulla nostra”, ammette Christoph Mordasini.
Tim Lichtenberg non vuole schierarsi. “Certamente, ci rendiamo sempre più conto che pianeti come la Terra devono essere rari. Ma la vita? Dipende dalla propria visione…..” Il giovane ricercatore è ottimista o pessimista circa le possibilità di identificare un giorno altre forme di vita extraterrestre? “Sarebbe pericoloso rispondere. Tutto quello che posso dire è che vale la pena di porre questa domanda”.
Il modello Berna
Per i loro calcoli, gli autori della pubblicazione riuniti attorno a Tim Lichtenberg hanno utilizzato il “Modello di Berna” per la formazione dei sistemi planetari. Sviluppato presso l’Università di Berna e ampiamente adottato dai ricercatori di tutto il mondo, questo modello include il massimo dei parametri noti per comprendere la formazione di una stella e dei suoi pianeti in base alle proprietà della nuvola da cui sono nati.
Questo modello si basa essenzialmente su due elementi:
– la diversità delle condizioni iniziali spiega la diversità dei sistemi planetari finora noti.
– più vi è polvere nella nuvola iniziale, più grande sarà la massa dei pianeti.
Traduzione di Armando Mombelli
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