Le rotte dei clandestini tra rischi e disperazione
Lungo i confini dell'Europa, da vent'anni le vittime della frontiera sono state oltre 14'000. Intanto sulle coste italiane gli sbarchi dei clandestini continuano. Intervista al commissario straordinario della Croce Rossa italiana (CRI).
Arrivano su carrette del mare o su gommoni carichi di esseri umani disperati. Quelli che riescono a sbarcare sono stremati, affamati, spaventati. Molti di loro continuano il loro viaggio e bussano alle porte della Svizzera, passando dal confine verde della frontiera a sud, quella tutta attorno a Chiasso o ai piccoli valichi del Mendrisiotto.
Le guardie di confine svizzere lo sanno bene: una decina di giorni dopo gli sbarchi a Lampedusa, chi riesce a riprendere il viaggio si spinge fino in Ticino, quando e se riesce a passare la frontiera.
Secondo Fortress Europe – un’organizzazione non governativa che cura dal 1988 una rassegna stampa che conta le vittime della frontiera lungo i confini dell’Europa – i morti sono stati almeno 14’600, tra cui oltre 6’000 dispersi. Sono donne, uomini, bambini. Sono esseri umani in fuga da condizioni disperate, da guerre, da violenze, dalla fame che uccide. Ma come leggere le mappe dei disperati che cercano una vita diversa? Intervista a Francesco Rocca.
swissinfo: Che cosa spinge queste persone ad affrontare rischi e umiliazioni per oltrepassare il Mediterraneo. Da dove vengono? Che cosa sperano di trovare in Italia o in Europa?
Francesco Rocca: Le rotte dei migranti sono di diversa natura. Ci sono quelli che scappano perché nel paese in cui vivono non sono garantiti i diritti più elementari. Pensiamo per esempio al Corno D’Africa, alla Somalia, un’area in cui da trent’anni non esiste un’infrastruttura statale, in cui non sono garantiti i diritti civili, dove quando esci di casa la mattina non sai se vi farai ritorno. Queste terre di guerra civile sono state però completamente abbandonate dalla comunità internazionale.
Le rotte delle migrazioni passano anche dall’Eritrea, dove le condizioni non sono molte diverse da quelle della Somalia, e da tutti quei paesi devastati da una crisi alimentare senza precedenti, che spinge le persone nella disperazione a cercare una via di fuga. La Libia, insieme con la Tunisia, è uno dei punti di partenza più sfruttati alla volta dell’Europa e del nostro paese. Sono decine di migliaia di africani che premono sul Maghreb per poter raggiungere l’Europa.
Il miglior modo per rispondere a queste emergenze, è implementare gli aiuti nel continente africano. Creare insomma le premesse affinché uomini, donne e bambini non debbano più imbarcarsi in avventure che possono avere tragici epiloghi.
swissinfo: Lampedusa, dove sbarcano molti disperati – quando riescono a farlo – non lascia indifferenti coloro a cui sta a cuore la sorte dell’umanità. Come si pone la Croce Rossa italiana di fronte a questa emergenza?
F.R.: La Croce Rossa italiana è presente, insieme ad altre associazioni, anche a Lampedusa e collabora attivamente con l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite da diversi anni. Presta soccorso ai clandestini e garantisce assistenza.
Il problema spinoso degli sbarchi si pone quando i gommoni vengono intercettati nelle acque internazionali e, quindi, viene chiamato in causa più di un paese. [L’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite aveva fatto osservare che la pratica dei respingimenti in acque internazionali di barconi di migranti è in contrasto con la Convenzione di Ginevra, le normative UE e italiane, ndr]. E’ quindi importante fare in modo di applicare i diritti umani anche nelle acque internazionali.
Ora si tratta però di capire se la comunità internazionale vuole individuare necessariamente l’Italia come unico punto di approdo, e lasciarla da sola, oppure se ogni paese che si affaccia sul Mediterraneo – e non soltanto – sia pronto a fare la sua parte.
L’Italia sta comunque cercando di dare delle risposte: abbiamo detto, e ribadiamo, che chi scappa da condizioni di guerra, di conflitto, da situazioni dove non sono garantiti diritti umani, ha tutto il diritto all’accoglienza. Su questo punto, e sul diritto d’asilo, non c’è nessun tipo di negazione da parte dell’Italia. Altrimenti l’avremmo denunciato con forza.
swissinfo: Allora l’Italia si sente lasciata sola ad affrontare l’emergenza migratoria?
F.R: C’è sicuramente una sensazione di solitudine rispetto a quando si sta sviluppando nel bacino Mediterraneo, che meriterebbe una risposta corale. Noi come Croce Rossa garantiamo la nostra presenza a Lampedusa, come in tutti gli altri centri di accoglienza sul territorio nazionale. Per noi continua ad essere una priorità.
Le politiche le fa il Consiglio dei ministri, noi come Croce rossa abbiamo chiesto al governo, esprimendo una certa preoccupazione, che non vengano mai meno i diritti per chi è protetto dalle Convenzioni internazionali. E questo ci è stato garantito.
Se in questo momento dovessi chiedere qualcosa alla comunità internazionale, mi sentirei di invitarli ad accendere i riflettori sul Mediterraneo. Se vogliamo prevenire sentimenti xenofobi, se vogliamo avviare dei percorsi tesi all’integrazione dei migranti, occorre che tutta la comunità internazionale faccia la sua parte.
Questo peso, enorme, di portata epocale costituito dalla crisi che sta investendo anche il continente africano, non può essere lasciato unicamente sulle spalle dell’Italia e della Spagna, perché di fatto è questo che sta accadendo adesso. Ma il peso non va neppure lasciato sulla Svizzera che, insieme ad altri paesi, è più esposta al rischio di immigrazione massiccia.
swissinfo: In Italia, come in altri paesi, il fenomeno migratorio alimenta spesso molte paure. Come rispondere?
F.R.: Dobbiamo renderci conto che in molti paesi le condizioni economiche e il mercato del lavoro sta arrivando a saturazione, anche per quanto riguarda certe tipologie di lavori. Il rischio di xenofobia e di razzismo strisciante rispetto a una contesa sul mercato del lavoro, è pertanto reale. Non possiamo far finta che non ci sia questo conflitto.
D’altra parte se accettiamo l’evidenza che anche la fame uccide e quindi che anche per ragioni economiche, uomini e donne cercano una vita meno disperata fuori dai confini dei loro paesi di origine, i migranti economici saranno sempre di più.
Ecco perché in quei paesi la comunità internazionale ha tutto l’interesse a sostenere una crescita economica autonoma, a sostenere i processi democratici, a favorire le misure di buon governo e di lotta alla corruzione. Qualche passo è stato compiuto in questa direzione, ma non è abbastanza.
swissinfo: Clandestini, migranti, disperati: in ogni angolo di mondo c’è una Solferino che si sta consumando, lontano dai riflettori. L’umanità che soffre è una realtà. A 150 anni della nascita della Croce Rossa, che cosa è rimasto dello spirito di Dunant?
F.R.: Nei quasi 100 milioni di volontari della Croce rossa che operano nel mondo, è rimasto molto dello spirito di Dunant. E’ rimasta un traccia nel cuore che li spinge ad operare quotidianamente per le loro comunità con spirito di fratellanza. Oggi i volontari non sono solo presenti nei grandi eventi, nelle grandi catastrofe, ma sono a fianco anche delle maglie più vulnerabili della comunità in cui vivono.
Il principio sicuramente più forte che ci ha lasciato Dunant è quello dell’umanità. Dovremmo cercare di tenerlo sempre ben presente. E se avessi potuto conoscere Dunant gli avrei sicuramente detto grazie! Grazie per aver contribuito a dare dignità alla sofferenza.
Françoise Gehring, swissinfo.ch
Francesco Rocca, avvocato, è nato il primo settembre 1965. Specializzato in diritto penale, è stato fino al 2007, per poco più di un anno, capo del dipartimento socioassistenziale della Croce Rossa Italiana.
Nel 2008, per circa un mese, ha ricoperto il ruolo di direttore del dipartimento delle Politiche Sociali del comune di Roma. Il 30 ottobre 2008 viene nominato commissario straordinario della Croce Rossa Italiana.
Francesco Rocca ha un passato di dirigente attivista in molte associazioni di volontariato, fra cui la Caritas, soprattutto nel decennio 1980-1990, dove si è occupato, in particolare, di problematiche relative ai minori e ai rifugiati.
Nel 2008 gli sbarchi dei clandestini, che arrivavano via mare, sono stati 537 nei vari punti della costa siciliana, per un numero complessivo di 34.540 persone. Fino al 20 maggio del 2009 si sono registrati 69 sbarchi, per un totale di 6.588 persone. (Fonte Viminale)
Lampedusa continua ad essere la meta d’elezione, data la sua posizione strategica.
Ma ci sono nuove rotte destinate ad assumere sempre più importanza: quella verso la Sardegna (dove, negli ultimi dodici mesi, su un totale di 665 sbarchi in tutta la penisola, se ne sono registrati ben 110) e verso la Calabria, nel tentativo di evitare i guardacoste italiani.
In Italia le coste siciliane restano il punto di approdo privilegiato, in particolare Lampedusa per la sua posizione strategica.
Per la maggior parte dei migranti c’è poi la Grecia, paese di transito, e non di destinazione. Così si passa dalla penisola ellenica per arrivare in Italia o proseguire per la Francia.
Una delle rotte più battute dai migranti, soprattutto afgani e iracheni, è quella che parte dalla costa turca per poi arrivare alle isole di Samos o Mitilini che distano pochi chilometri.
Così ogni anno sono migliaia ad approdare sulle isole greche per poi riversarsi prima ad Atene e successivamente a Patrasso o Igoumenitsa, i due porti di partenza per l’Italia: Bari, Ancona, Venezia, che raggiungono nascosti nei camion o legati ai semiassi dei tir.
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