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Tappeti rossi a Locarno? Occhio a non inciampare

Fioretti incrociati tra il presidente del Festival Marco Solari e Mister Cinema Nicolas Bideau

Più stelle del cinema, più mondanità e bollicine di champagne al Festival di Locarno? Dibattito infuocato tra Marco Solari e Nicolas Bideau in occasione della terza giornata del cinema svizzero. Il film commedia di Denis Rabaglia in Piazza Grande.

Alla fine è spesso così: è tutta colpa degli organi di informazione, che esagerano, amplificano, deformano. Ma la tavola rotonda “Glamour! Carpets! Award! What for?” è stata teatro di un vivace ed infuocato scambio di vedute, mettiamola così, tra Marco Solari “Cuor di leone”, presidente del Festival del film, e Nicolas Bideau “Prima donna”, direttore della sezione Cinema dell’Ufficio federale della cultura (UFC).

Il “glamour” si, ma non fine a se stesso

Marco Solari spiega pazientemente che il Festival di Locarno ha puntato e sempre punterà sul contenuto, sul quale non sono concessi compromessi di alcun genere. Il contenuto non sarà mai immolato sull’altare della scintillante, o presunta tale, mondanità, che i tappeti rossi magnificano secondo rituali collaudati, ma non necessariamente universalmente condivisi.

Marco Solari ha pesato attentamente ogni parola: “Locarno non punterà mai sul “glamour” a scapito del contenuto. “Glamour” e contenuto non rappresentano tuttavia una contraddizione in termini. Sono perfettamente consapevole che un Festival come Locarno reclama la sua parte di magia, ha bisogno di nomi attrattivi, di celebrità, a patto che siano legate ad un film scelto nella selezione e che abbiano qualcosa da dire”.

Un discorso perfettamente coerente con lo spirito di Locarno, che dalla sua creazione ha privilegiato il cinema d’autore, il cinema emergente, il cinema che altrove non avrebbe mai avuto la possibilità di affacciarsi sul grande palcoscenico della settima arte, privando il cinema di personalità che hanno poi contribuito a farlo crescere.

Purché sia spettacolo? Ma quale?

La replica di Nicolas Bideau? Eccola: “La visione di Solari è superata. Il cinema appartiene alla società dello spettacolo. Tra il film e il pubblico occorre un legame e questo legame passa attraverso il tappeto rosso. Il tappeto rosso è insomma un’attitudine. E il cinema svizzero ha bisogno al più presto di un ‘star system’, perché ormai nei film la vera icona e l’attore, il regista passa quasi in secondo piano”.

“Nicolas, sei tu ad avere una visione retrograda!”, tuona la giovane attrice Natacha Koutchoumov (Premio svizzero 2007) in aperto dissenso con “Mister Cinema”. “In un film non è possibile dissociare il ruolo dell’attrice o dell’attore, dal ruolo del regista, dello sceneggiatore”. Insomma il film è come un mosaico in cui ogni tessera che lo compone è indispensabile per la sua completezza o per la sua bellezza.

“Se registi e produttori dovessero muoversi puramente secondo criteri di ‘star system’ – aggiunge l’attrice – io non avrei mai girato un solo film”. Bideau non incassa molto volentieri, sbuffa e borbotta un “Comunque a Locarno il tappeto rosso è troppo corto”.

Non ci sta ad un Festival di Locarno versione “people” o “Novella Duemila”, neppure il critico cinematografico romando del settimanale L’Hebdo, Antoine Duplan. Si sforza di portare un po’ di ordine anche nell’uso dei termini, ricordando che in origine la parola “glamour” riporta all’idea di magia. “Un film deve poter creare della magia, incantare gli spettatori, altrimenti non ha senso di esistere”.

Sogni, desideri, magia: tutto ha un costo

Assicurarsi la presenza di una stella del cinema costa un sacco di soldi, che inevitabilmente incide sul budget del Festival. Certo, non tutte le star hanno esigenze hollywoodiane, ma la questione rimane sul tappeto. “Un film senza pubblico non esiste”, sottolinea Hélène Cardis, di Pathé Film. “Occorre svegliare o creare una dimensione di desiderio, che spesso passa attraverso il ‘glamour'”.

“Ma naturalmente – aggiunge Cardis – occorre fare la parte delle cose, assicurare il giusto equilibrio tra contenuto, arte, ‘glamour’ e desiderio. Bisogna essere molto consapevoli di una cosa: la presenza di una stella del cinema genera, al di là dei costi preventivati, spese accessorie enormi”.

Alla fine, tra tagli e cuciture e qualche bottone, l’orlo che separa Bideau da Solari si accorcia, perlomeno “coram populo”: le stelle del cinema devono avere uno stretto legame con il Festival ed essere funzionali alla promozione del Festival in quanto rassegna cinematografica, e non passerella mondana.

Una favola romantica, a sera inoltrata

La proiezione in Piazza Grande di “Marcello Marcello”, lungometraggio del regista vallesano di origine italiana Denis Rabaglia, si porta via a sera inoltrata la giornata del cinema svizzero. È un racconto dolce, dalla malinconia tutta partenopea, ambientato nell’Italia del 1956, sull’isola di Amatrello.

Un’isola dove i fidanzamenti delle giovani da marito rispettano una strana tradizione: è il padre a scegliere il futuro sposo della figlia in base ai regali offerti. Marcello, pretendente di Elena, la figlia del sindaco, intende andare oltre la tradizione. L’impresa non sarà facile e per raggiungere i suoi scopi, dovrà scendere a patti con gli abitanti dell’isola.

Denis Rabaglia è partito con l’idea di creare un film dal sapore italiano.”Non è stato semplice riuscire a dipingere questa italianità, perché la produzione non è composta solo da italiani, in caso contrario sarebbe stato tutto più semplice. “Proprio perché non eravamo napoletani –sottolinea Rabaglia – per riuscire ad ottenere un buon risultato, abbiamo fatto capo a tutti i mezzi svizzeri a disposizione”.

“Il film – aggiunge il regista – si presta a una duplice lettura: la favola romantica che può essere vissuta in ogni paese e la lotta dei giovani nel cambiare un ordine prestabilito. Il film gioca ampiamente sui luoghi comuni e piacerà indubbiamente al pubblico svizzero tedesco o tedesco. Spero solo che il pubblico italiano non trovi il film una cavolata hollywoodiana”.

swissinfo, Françoise Gehring, Locarno

Nel 2005 la quota di mercato dei film svizzeri aveva superato il 5%. Dopo il risultato record del 2006, vicinissimo al 10%, nel 2007 la quota di mercato delle produzioni elvetiche nei cinema svizzeri si è però ridimensionata. In base alle produzioni finora note, il 2008 rischia di essere desolatamente ancora più contenuto.

La grande annata del 2006 deve la sua “gloria” alla contemporanea presenza sul mercato di cinque veri e propri blockbuster: “Mein Name ist Eugen”, “Grounding”, “Vitus”, “Die Herbstzeitlosen” e “Handyman”. Il 2006 sarà anche ricordato per il ritorno alla vittoria di un film svizzero “Das Fräulein” di Andrea Staka al Festival di Locarno.

Nel 2007 la ruota della fortuna cinematografica ha cominciato però a girare in senso inverso, attestandosi ad una quota di mercato pari al 5%, grazie però a due film dell’anno dorato precedente (“Vitus” e “Die Herbstzeitlosen”). Solo il documentario ha mantenuto buoni livelli di qualità e di entrate nelle sale.

L’ anno scorso in Svizzera una persona su dieci é andata al cinema a vedere un film elvetico. Il direttore dell’Ufficio federale della cultura (UFC) Jean-Frédéric Jauslin, ritiene perciò che il cinema svizzero sia in salute. Per continuare a garantirla, occorrono però nuove misure.

Nei prossimi quattro anni (2008-2011) l’UFC intende consolidare la produzione del film “d’art e d’essai”. Prenderà in considerazione le nuove espressioni cinematografiche (cinema digitale), e contribuirà al lancio della nuova Cineteca svizzera. Si intende inoltre rendere più forte la produzione e capire ciò che sta succedendo nei campi affini alla cinematografia.

L’album delle figurine (modello Panini) voluto per promuovere attori e attrici per trasformale in stelle del cinema e creare così nel pubblico l’incantesimo delle luci delle ribalta, e magari riempire i cinema, ha lasciato critici e cinesati assai perplessi. E, per la verità, a Locarno nessuno sta impazzendo per questa iniziativa.

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