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“I dati emancipano la popolazione”

Thomas Gass
Thomas Gass al World Data Forum dell'ONU, 6 ottobre 2021. UNWDF

I partecipanti al Forum mondiale dei dati delle Nazioni Unite tenutosi a Berna hanno discusso di come queste informazioni potrebbero aiutare a raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030. L'ambasciatore svizzero Thomas Gass spiega in un'intervista perché i dati sono essenziali per la Svizzera anche nell'ambito della cooperazione allo sviluppo.

Con la pandemia di coronavirus, i dati pubblici sono più richiesti che mai: persone che altrimenti evitavano le statistiche, sono improvvisamente interessate a informazioni quali il parametro R0, il tasso di vaccinazione o di mortalità.

I governi agiscono sulla base di questi dati – o vengono criticati per non averli presi in considerazione. Questo dimostra l’importanza dei dati disponibili al pubblico. “Solo se qualcosa è misurabile, si può rendere qualcuno responsabile”, ha detto Georges-Simon Ulrich, direttore dell’Ufficio federale di statistica (UST) durante una conferenza stampa al Forum mondiale dei dati delle Nazioni Unite a Berna.

Le 700 persone che hanno partecipato al World Data Forum, provenienti da 110 Paesi, si impegnano per misurare i progressi fatti per la realizzazione dei 17 obiettivi globali per lo sviluppo sostenibileCollegamento esterno contenuti nell’Agenda 2030 dell’ONU, assicurandosi che l’ecosistema dei dati sia il migliore possibile nel maggior numero possibile di Paesi.

La Svizzera sta ancora compiendo sforzi per raggiungere questi obiettivi e sta lavorando anche all’estero. SWI swissinfo.ch ha incontrato Thomas Gass, vicedirettore dell’agenzia elvetica per l’aiuto allo sviluppo (DSC) per parlare di come i dati e l’Agenda 2030 stanno cambiando questo ambito d’azione della Svizzera.

SWI swissinfo.ch: Nell’ambito della cooperazione allo sviluppo cosa rappresenta per la Svizzera l’Agenda 2030?

Thomas Gass: Con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, si è capito che lo sviluppo non è qualcosa che si può semplicemente dare a qualcuno. Lo sviluppo è qualcosa a cui la popolazione stessa deve partecipare.

Riconosco tre cambiamenti di paradigma contenuti nell’Agenda 2030: in primo luogo, le problematiche non sono considerate in modo isolato, ma sono collegate. Per esempio, non si può sviluppare l’economia senza promuovere l’uguaglianza di genere. E non si può sviluppare l’istruzione senza pensare alla sicurezza. Perché nei Paesi poco sicuri, meno bambini vanno a scuola. Molte cose sono interconnesse e dobbiamo tenerne conto nella cooperazione allo sviluppo.

In secondo luogo, lo sviluppo è stato a lungo concepito in questo modo: coloro che ricevono devono rendere conto a coloro che danno. L’Agenda 2030 inverte la rotta. Gli Stati devono rendere conto alla popolazione. Questo è rivoluzionario nella cooperazione allo sviluppo.

Il terzo punto è la promessa di non lasciare nessuno indietro. In passato, tutto veniva fatto all’insegna dell’efficienza: come utilizzare il budget per lo sviluppo per ottenere il massimo dal denaro investito?  

Quando si ragiona in questo modo, si rischia di trascurare dei gruppi di persone. L’Agenda 2030 si basa sui diritti umani universali e sottolinea che, se un gruppo economico o sociale viene dimenticato, lo sviluppo collettivo non è sostenibile.

Quali sono a gli aspetti più interessanti emersi dal Forum?

Il punto centrale è stata l’assunzione di responsabilità nei confronti della popolazione. È importante emancipare e dare potere alla popolazione tramite i dati. In Svizzera siamo viziati. Se qualcosa viene costruito di fronte a casa nostra, sappiamo immediatamente a chi rivolgerci per scoprire chi ha partecipato alla gara d’appalto per il progetto di costruzione, chi l’ha vinto e quali sono i piani. Ma non è questo il caso in tutto il mondo.

Avere accesso ai dati emancipa la popolazione. Non solo permette alle persone di far sì che le autorità locali o governative rendano conto del proprio operato, ma conferisce anche il potere di partecipare e di fare qualcosa loro stesse.

Nella cooperazione allo sviluppo, bisogna sempre rafforzare sia chi fornisce i servizi sia chi ne beneficia. Non si può considerare solo una delle parti. Rafforzando i fornitori, la popolazione non ha nulla da guadagnare. Se si rafforza solo la popolazione, sorgeranno frustrazioni e lamentele, ma non necessariamente un miglior servizio. La chiave per un giusto equilibrio sta nei dati e nella trasparenza.

Lei dice che i dati hanno un effetto democratizzante.

Esattamente! A mio avviso, questo è stato il tema più importante della conferenza. Ma non è così semplice: i dati sono potere. Ma possono essere anche usati per manipolare. Utilizzarli per consolidare i rapporti tra fornitori di servizi e la popolazione non è ovvio.

Bisogna rendere i dati comprensibili, bisogna spiegarli e portarli alle persone giuste. La popolazione necessita di competenze per leggerli e utilizzarli. I dati devono inoltre avere una buona qualità e non violare la privacy. Questo è particolarmente complesso nel caso dei rifugiati e delle rifugiate, per esempio.

Sotto il tema “doppiamente invisibile”, una conferenza del World Data Forum ha affrontato la problematica dei figli degli sfollati interni. Queste persone non sono visibili fino a che non varcano il confine. Non si sa niente dei loro figli e non si sa dunque quanti bambini siano colpiti. Come si possono costruire scuole se non sappiamo se questi bambini esistono?

Nella crisi del coronavirus, abbiamo visto che ogni mese e ogni anno perso non andando a scuola riduce il potenziale di sviluppo dei bambini. Per questo è importante il motto: “Leave no one behind” [non lasciare indietro nessuno, ndr.].

In quanto organizzazione per la cooperazione allo sviluppo dobbiamo chiederci: sappiamo davvero chi sono le persone più vulnerabili in una popolazione? Sappiamo perché sono vulnerabili e quali sono i rischi sociali, economici e politici con cui sono confrontate?

Durante la pandemia in Svizzera, abbiamo visto lunghe file di persone formarsi di fronte ai punti di distribuzione di cibo. Non immaginavamo che questo esistesse in Svizzera. “Leave no one behind” diventa realtà solo quando sono disponibili i dati che rendono visibili questi gruppi.

In che modo la DSC affronta il fatto che molti Paesi meno privilegiati hanno accesso solo a dati incompleti o inadeguati?

È un grande problema. Siamo a metà strada verso l’orizzonte temporale del 2030 e ancora molti Paesi mancano di dati sugli obiettivi secondari e sugli indicatori degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Ci sono molte lacune nei dati. Possono essere parzialmente colmate con approssimazioni, con l’aiuto della società civile o con geo-dati come le immagini satellitari, per esempio quando si tratta di quantificare la deforestazione. Ma, nel complesso, abbiamo urgente bisogno di creare dati migliori per capire se stiamo facendo progressi con l’Agenda 2030.

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