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“L’aiuto allo sviluppo è impegnativo, anche per Gladys che è zambiana”

Donna la lavoro
Gladys Shonga Furrer. zvg

Uno svizzero cresciuto nell'Africa rurale e una donna zambiana lavorano nell'aiuto allo sviluppo. Un film documentario mostra le difficoltà con cui la coppia è confrontata, nonostante il "bonus nativo".

In un remoto villaggio dello Zambia settentrionale, Thomas Furrer, uno svizzero cresciuto nella campagna camerunense, gestisce una fattoria con la moglie zambiana Gladys. Il loro è un progetto di aiuto allo sviluppo. La fattoria ha lo scopo di creare posti di lavoro e dare stimolo economico alla regione. Il progetto è stato richiesto dal capovillaggio locale.

La coppia può contare su un sostegno finanziario dalla Svizzera. La filantropa Cornelia Gantner non solo ha sostenuto economicamente il progetto ma, come regista, ha anche girato un film documentario su Gladys.

Due donne
La regista Cornelia Gantner (sinistra) con Gladys Shonga Furrer allo Zurich Film Festival. 2020 Getty Images

In un’intervista con SWI swissinfo.ch, Gantner fa riferimento al suo film per spiegare il motivo per cui anche gli abitanti di una determinata regione hanno bisogno di molta pazienza quando si tratta di fornire aiuto allo sviluppo nel luogo in cui vivono.

Cornelia Gantner è giornalista e moglie dell’imprenditore svizzero Albert Gantner, diventato miliardario costruendo l’impero finanziario Partners Group. Cristiani impegnati, Cornelia e Alfred Gantner sono coinvolti in diverse attività di beneficenza, compresa una fondazione in Zambia. Con una coppia di medici svizzeri, i genitori di Thomas, hanno reso possibile la costruzione di ospedali e la formazione di personale medico nelle zone rurali dal 2006.

SWI swissinfo.ch: Nel Sud del mondo, gli attivisti lottano contro l’immagine colonialista dei “salvatori bianchi”. Si riconosce nel dibattito #NoWhiteSaviors e cosa ne pensa?

Cornelia Gantner: Non mi considero un’operatrice dell’aiuto allo sviluppo. Vivo in Svizzera e aiuto la gente nello Zambia a sviluppare concetti. Sono molto convinta che la “local wisdom” [saggezza locale, ndr] sia la chiave. Bisogna lavorare con la gente del posto, altrimenti non funziona. Mio marito ed io seguiamo tali progetti con la nostra filosofia imprenditoriale e finanziariamente.

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Gladys, la protagonista del suo film, è zambiana. Conosce la lingua, la cultura ed è cresciuta nella povertà. Eppure, anche lei incontra delle difficoltà. Come si spiega?

Questo è interessante e mostra senza mezzi termini quanto questo lavoro sia impegnativo, anche per una zambiana che capisce bene cosa servirebbe per fare progressi. Anche per Gladys è difficile far sì che la gente contribuisca.

Gladys è una zambiana fuori dal comune, con una grande capacità di pensare al futuro. In questo senso, è diversa dalle altre persone del villaggio.

Quello che trovo interessante è come Thomas sia la calma personificata. Attraverso l’attività dei suoi genitori, che hanno lavorato nell’aiuto allo sviluppo come medici per decenni, ha compreso quanto tempo richieda il cambiamento. Penso che questa sia la ragione per cui non si scoraggia. Mentre per Gladys questa è la prima esperienza come operatrice.

Come persona originaria del luogo, Gladys ha comunque gli stessi problemi degli operatori stranieri: autorità disattente che ritardano il rilascio dei permessi di costruzione, un progetto che fallisce perché la gente non vuole partecipare, … sono problemi strutturali?

È strutturale, culturale… è la mentalità. Questo è il punto di partenza. Non possiamo aspettarci che lo Stato funzioni dall’oggi al domani o che l’etica del lavoro cambi solo perché ci è venuta una buona idea. L’importante è accettare la realtà della gente del posto.

“Se si vuole ottenere un cambiamento sistemico sostenibile, non lo si può fare facendo solo la carità.”

I pregiudizi giocano contro: a Gladys viene chiesta la carità perché ha un marito bianco – e questo la infastidisce molto.

Penso che non si possa biasimare la gente. Quando si lotta per sopravvivere ogni giorno, quando non si sa se ci sarà del cibo nel piatto tra un mese e se i tuoi figli sopravviveranno, capisco che queste persone cerchino ogni opportunità. La tentazione di rivolgersi a Gladys sperando che dia quello che ha è grande.

Credo anche che lo darebbe, ma a Chewe abbiamo deciso di provare una cosa: non dare nulla senza ricevere nulla in cambio. A Chewe l’obiettivo è di coinvolgere le persone in ogni passo di questo sviluppo fin dall’inizio. Ammiro la disciplina che dimostrano Gladys e Thomas nell’insistere che i residenti e le residenti di Chewe diano qualcosa in cambio, entro certi limiti.

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L’ho vissuto io stessa quando ero lì. Mi è stato chiesto aiuto così tante volte! Tutti hanno bisogno. Ma penso che valga la pena avere un orizzonte a lungo termine e lottare per un cambiamento sistemico. Naturalmente ci sono casi difficili ed emergenze in cui si aiuta rapidamente. Ma se si vuole ottenere un cambiamento sistemico sostenibile, non lo si può fare facendo solo la carità. Si deve lavorare insieme alla popolazione per il progresso.

Il capovillaggio si aspettava di ricevere gratuitamente uova dalla fattoria. Sono differenze culturali che bisogna accettare oppure bisogna spiegare alla gente che si vuole fare in modo diverso?

Si cammina sul filo del rasoio. Dal nostro punto di vista, il capo dovrebbe essere felice per il suo villaggio. Naturalmente, avrebbe voluto più riconoscimento e onore per sé stesso.

Fino a che punto bisogna giocare a questo gioco? Credo che ci voglia molto tatto. Penso che Thomas sia sulla buona strada – di nuovo, per portare un cambiamento sistemico. Questo la gente lo vede: non c’è progresso senza il nostro contributo e il nostro lavoro – e questo vale anche per il capo. Ha dato un contributo: ha chiamato i Furrer, ha organizzato gli aiutanti, ha messo a disposizione questa terra, per la quale è stato anche remunerato.

Donna con cinepresa
Cornelia Gantner mentre lavora al film. zvg

Avrebbe voluto di più, ma non è così che vogliamo comportarci. Sarebbe corruzione. Non crediamo sia giusto.

Il film trasmette una certa tristezza. La scuola non è proprio un successo, molte ragazze rimangono incinte e non una sola allieva supera gli esami per la continuazione degli studi. Qual è il problema?

Il film finisce dopo il primo anno di scuola. Sarebbe un’illusione pensare che ci possa essere una rivoluzione dopo così poco tempo. Il successo è che la scuola è ancora in piedi.

Il fatto che molte ragazze rimangano incinte ha a che fare con le lacune nell’educazione sessuale, ma anche con il fatto che alle ragazze manchino prospettive. Ho incontrato dei giovani uomini a Chewe che hanno completato la scuola con grandi sacrifici e ora sono contadini nel villaggio. Convincere i padri a sostenere la scolarizzazione delle figlie è difficile in queste condizioni. Ecco perché Gladys è un modello importante.

“La mia esperienza in questi anni e decenni è che ci possono essere effetti negativi quando si influenza un sistema esistente.”

Una scena in particolare ha attirato la mia attenzione: quella in cui una famiglia compra un televisore. Mi sono sentita un po’ a disagio. I bambini giocavano così bene e ora sono seduti davanti alla TV… Quello che inviamo dall’Occidente e porta prosperità è sempre desiderabile?

La scena ci spinge a trarre conclusioni basate sulla nostra esperienza. La nostra esperienza qui è che consumiamo troppi media, ciò che può essere dannoso. La realtà della famiglia Nonga è diversa: i bambini dovranno parlare inglese a scuola. Molti giovani falliscono perché devono completare la scuola in una lingua straniera. A questo proposito, capisco il signor Nonga che si è detto: “Grazie alla televisione, i miei figli parleranno meglio l’inglese”, ed è molto comprensibile.

Naturalmente, non tutto ciò che l’Occidente porta è utile e buono. Si vorrebbe proteggere la gente dalle influenze negative. Dobbiamo credere nella resilienza di queste persone, nel fatto che faranno le loro esperienze e che dal cambiamento trarranno quel che c’è di buono.

“La maggior parte possibile delle risorse – comprese quelle umane – dovrebbe essere locale per ottenere uno sviluppo sostenibile.”

La mia esperienza in questi anni e decenni è che ci possono essere effetti negativi quando si influenza un sistema esistente. Per esempio, c’era un villaggio che si stava sviluppando molto bene. Cominciava a circolare denaro e la gente stava meglio. Poi, il tasso di malati di AIDS è aumentato. Il denaro non è stato speso nell’educazione, ma in altre cose. Bisogna passare attraverso queste situazioni. Ci sono volute una o due famiglie del villaggio che si sono rese conto che valeva la pena risparmiare per acquistare una moto da utilizzare per trasportare i prodotti dalla fattoria al mercato.

Ci sono volute persone intelligenti che hanno capito il valore del cambiamento e sono diventate dei modelli per le altre.

Bisogna accettare che la gente debba imparare come affrontare le nuove situazioni che l’aiuto allo sviluppo comporta.

Lavorare al film o per la fondazione ha cambiato la sua opinione sull’aiuto allo sviluppo?

Ho sempre creduto nella necessità di lavorare localmente con la gente. Solo il minimo dovrebbe provenire dai Paesi industrializzati. La maggior parte possibile delle risorse – comprese quelle umane – dovrebbe essere locale per ottenere uno sviluppo sostenibile. Abbiamo lavorato secondo questo principio da tempo e non è mai cambiato.

Tuttavia, è stato impressionante vivere di persona l’esperienza quotidiana degli operatori sul campo. Quanti contrattempi ci sono, quanta pazienza ci vuole, quante volte bisogna rimettersi in piedi!

Due uomini
Thomas Furrer (a destra) sul cantiere. zvg

Il film racconta come Thomas aiuta gli abitanti del villaggio a costruire un ponte. Poi, però, nessuno si sente responsabile della manutenzione, e il ponte cade in rovina. Perché manca del senso di responsabilità nella comunità?

Forse perché le persone devono vivere nel qui e ora, in questo modo, e la loro vita quotidiana e la sopravvivenza assorbono così tante energie che non hanno la capacità di pensare e investire nel futuro a lungo termine? Il perché è una grande domanda. Se lo capissimo, allora il lavoro dello sviluppo potrebbe avere più successo perché potremmo agire alla radice in modo ancor più mirato.

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