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I doni diplomatici in Svizzera, tra eleganza e unicità

adolg ogi in piedi accanto a un tappeto su cui è raffigurato il suo ritratto
L'ex presidente della Confederazione Adolf Ogi accanto al dono ricevuto nel 1993 dall'Uzbekistan ed esposto in un museo di Kandersteg, la sua città natale. © Keystone / Anthony Anex

La scelta dei regali di Natale o di compleanno non è un'impresa da poco, anche per chi ha le migliori intenzioni o non ha problemi di budget. Immaginate quindi come devono sentirsi i leader e le leader mondiali, costantemente sotto pressione per trovare i doni perfetti da scambiarsi.

Non sapremo mai a chi, nello staff del presidente uzbeko Islom Karimov, vada attribuito il geniale dono del 1993. In occasione del Forum economico mondiale di Davos di quell’anno, l’allora presidente svizzero Adolf Ogi ricevette da Karimov un regalo che, a prima vista, sembrava abbastanza tradizionale: un grande tappeto tessuto a mano, decorato con fiori e foglie di un bel rosso acceso, abbinate a intense tonalità terra. Al centro, però, c’era un ritratto del presidente svizzero, vestito con una giacca scura e una cravatta rossa in tinta con il resto del tappeto.

“È uno degli oggetti più cari [a Ogi]”, afferma lo storico dell’arte Andreas Münch. Non solo: è anche un’opera di grande successo nel circuito delle mostre svizzere, tanto che di recente è stato esposto in un museo della città natale dell’ex politico, nelle Alpi bernesi.

Quando non è esposto all’ammirazione del pubblico, il tappeto viene conservato nel modesto seminterrato di un edificio del ministero della Cultura di Berna, che ospita la Collezione d’arte della ConfederazioneCollegamento esterno sotto la direzione di Münch. Qui la temperatura, il livello di umidità e l’illuminazione sono ottimizzati per conservare il celebre tappeto uzbeko e altri doni diplomatici ricevuti dai vari esponenti del Governo svizzero fin dalla creazione della Confederazione, nel 1848.

Quando Andreas Münch ha assunto l’incarico, nel 2012, gli oggetti raccolti nel corso del tempo erano nel più totale disordine, abbandonati in magazzino con informazioni quasi nulle sulla loro provenienza e senza il minimo sistema di catalogazione. “Mi sono detto: o buttiamo via tutto o ci rimbocchiamo le maniche e cerchiamo di capire da dove vengono”, spiega. “E così è stato”.

Ufficialmente, i funzionari e le funzionarie federali, compresi ministri e ministre, non possono accettare regali di valore superiore a 200 franchi. Molti, però, lo fanno per cortesia e poi li consegnano ai loro assistenti o al Consiglio federale, in quanto organo esecutivo. Quelli che non vengono esposti in un edificio governativo o in un museo finiscono nella Collezione. Oggi, la banca dato dei doni diplomatici include quasi 600 oggetti, che variano notevolmente per valore economico, artistico e simbolico.

Alcuni non sfigurerebbero in una galleria d’arte, come i tre raffinati vasi d’argento che uno specialista dell’Università di Zurigo ha confermato essere opera di un argentiere giapponese dell’inizio del XX secolo, Tsukada Shukyo, noto anche come Shin’yusai. L’artista era famoso soprattutto per le sue pregiate spade da samurai. I vasi, caratterizzati da un’accurata lavorazione manuale, probabilmente venivano dalla corte imperiale, spiega Münch.

statuetta in bronzo
Il dono più antico della collezione è una scultura in bronzo del 1875 del celebre artista Alexandre Falguière, offerta dalla città francese di Tolosa per ringraziare la Svizzera di aver dato rifugio a 87’000 soldati francesi durante la guerra franco-prussiana. Matthias Bill

Come per molti degli oggetti più antichi della collezione, tuttavia, poco si sa delle circostanze in cui sono stati ricevuti. Oggi, Münch e il suo team insistono sulla necessità di avere informazioni complete sugli oggetti che arrivano al deposito.

L’unica cosa certa è il pensiero che sta alla base degli scambi di doni diplomatici: “La maggior parte ci dice qualcosa sui rapporti [tra i due Paesi], su chi li dona e sulle sue intenzioni”, dice Münch.

Lo scambio di doni fa parte del rituale, ogni volta che un o una presidente della Confederazione incontra un altro leader mondiale, spiega Susan Misicka, portavoce della Cancelleria federale. Le delibere in tal senso vengono prese molto sul serio.

“Prima dell’incontro, gli addetti o addette al protocollo discutono degli oggetti e del loro valore, per garantire un giusto equilibrio”, spiega Misicka in un’e-mail. “Nella maggior parte dei casi, il regalo viene scelto in base a chi dovrà riceverlo e proposto dai consulenti personali del o della presidente”.

I regali presentati dalla Svizzera hanno un valore che può andare da 50 a diverse migliaia di franchi e devono essere di origine elvetica: “In genere rappresentano l’eccellenza o la precisione svizzera”, spiega Misicka, che cita come esempi orologi, carillon, coltellini svizzeri, cioccolato, vino, ma anche sci e opere d’arte.

Di tanto in tanto, i regali vengono scelti anche come corollario di questioni all’ordine del giorno. In occasione di una recente visita in Vaticano, per esempio, il presidente svizzero Alain Berset ha regalatoCollegamento esterno a Papa Francesco il romanzo Présence de la mort (La presenza della morte), dello scrittore svizzero Charles-Ferdinand Ramuz.  Scritto nel 1922, il testo immaginava un mondo devastato dal riscaldamento globale. Per non sbagliare, Berset ci ha aggiunto una copia delle previsioni meteorologiche per Ginevra del 29 luglio 1921, data in cui la Svizzera ha registrato la temperatura più alta dell’epoca (38,9°C), ispirando il romanzo di Ramuz.

papa francesco tra il presidente della confederazione alain berset e la moglie Muriel Zeender Berset
Alain Berset, nella foto con la moglie Muriel Zeender Berset, ha consegnato a Papa Francesco un romanzo svizzero di 100 anni fa che parlava di un mondo confrontato con le conseguenze del riscaldamento globale. Keystone / Vatican Media Handout

Susan Misicka non vuole rivelare quale dono abbia ricevuto il presidente francese Emmanuel Macron durante la recente visita di Stato in Svizzera, né se Berset abbia portato qualcosa al presidente ucraino Volodymyr Zelensky quando si è recato a Kiev a novembre. A quanto pare, in genere il governo non divulga questo tipo di informazioni.

Alcuni regali, tuttavia, non possono che finire sulla bocca di tutti. Durante la prima visita di Stato di un presidente russo in Svizzera, nel 2009, la delegazione di Dmitrij Medvedev regalò alla città di Berna due cuccioli di orso, Misha e Masha, a richiamare la lunga associazione della capitale con questi animali. Per ospitarli lo zoo della città dovette creare un apposito parco forestale.

L ex first lady russa Svetlana Medvedeva, con il sindaco di Berna Alex Tschaeppaet
La First Lady russa Svetlana Medvedeva ha presentato i due cuccioli di orso al sindaco di Berna Alexander Tschäppät e a Roswitha Merz, moglie del Presidente della Confederazione Hans-Rudolf Merz, nel settembre 2009. Keystone / Dmitry Astakhov/ria Novosti/krem

Per quanto fatto con le migliori intenzioni, tuttavia, ben presto il dono assunse una piega tragica: essendo stati allevati in cattività in Siberia, gli orsi divennero dipendenti l’uno dall’altra e, una volta avuti dei cuccioli, nel 2014, si dimostrarono incapaci di fare i genitori. Il maschio uccise uno dei piccoli sotto gli occhi di visitatori e visitatrici inorriditi, e pochi giorni dopo il personale dello zoo decise di abbattere il secondo per evitare ulteriori sofferenze.

Gli animali selvatici (perlopiù impagliati) e le armi sono stati usati come doni diplomatici fin dall’antichità, racconta Andreas Münch. La Collezione d’arte federale contiene almeno due modelli di aquila calva, il volatile simbolo degli Stati Uniti, emblema di potere e autorità. Il Kuwait ha invece optato per un più delicato falcone con gli artigli d’oro, completo del cappuccio rimovibile che in genere si usa per tenere calmo il rapace.

statuetta di un falco
L’allora presidente della Confederazione Johann Schneider-Ammann ricevette il falco durante una visita di Stato in Kuwait nel 2016, in occasione dei 50 anni di relazioni bilaterali. Federal Office of Culture

“I falchi sono una componente molto importante della cultura araba”, spiega Münch. “Un dono del genere non dice solo qualcosa sulla propria provenienza, ma funge anche da augurio che la forza dell’animale si trasmetta [a chi lo riceve]”.

Allo stesso modo, le armi, come fucili e spade (a carattere decorativo), sono simbolo di forza ma anche di autodifesa, dice lo storico dell’arte.

Ben presto Münch e il suo team dovranno recarsi nell’ufficio di Berset, che si dimetterà dall’incarico a fine anno. Il loro compito? Svuotare la stanza dai doni che il ministro degli Interni uscente ha accumulato in dodici anni di mandato e portarli nei meandri della Collezione d’arte federale. Münch non sa ancora se ad aspettarlo possa esserci qualche altro tappeto uzbeko unico nel suo genere.

A cura di Virginie Mangin

Traduzione di Camilla Pieretti

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