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Vista sull’Africa dal Monte Bré

Corinne Hofmann, luganese d'adozione. Keystone

A 13 anni dall’uscita de “La Masai bianca”, Corinne Hofmann ha pubblicato di recente il suo quarto libro “Afrika, meine Passion” (Africa, la mia passione). Racconta di un viaggio, di slums e del primo incontro della figlia con il padre masai. Intervista.

Corinne Hofmann, scrittrice nata a Frauenfeld, nel canton Turgovia, da padre tedesco e madre francese, sarà per sempre la “Masai bianca”, ovunque andrà. Ha provato a chiudere con questo capitolo della sua vita, ci dice, ma l’Africa rimarrà per sempre nel suo cuore.

Che ha l’Africa nel cuore, ce ne accorgiamo non appena varchiamo la soglia della bella casa rossa di tre piani sui pendii del Monte Bré, comperata e ristrutturata dall’autrice alcuni anni fa. Nell’ampia sala con vista sul golfo di Lugano, tutto quanto, dai quadri, ai mobili, alle foto, alle suppellettili ricorda il continente nero a lei tanto caro. Ci accoglie calorosamente, così com’è avvenuto nei precedenti incontri.

swissinfo.ch: Dopo “La Masai bianca” e altri due libri non ancora tradotti in italiano (“Zurück aus Afrika” e “Wiedersehen in Barsaloi”), il suo quarto racconto è nuovamente focalizzato sull’Africa. Di cosa tratta?

Corinne Hofmann: Il mio ultimo libro è diviso in tre parti. La prima è il racconto di un trekking che ho intrapreso tra maggio e luglio 2009 in Namibia; la seconda narra del mio periplo tra gli “slums” (baraccopoli) di Nairobi in Kenya, dove mi sono stati presentati progetti di aiuto umanitario e di recupero sociale; la terza, sicuramente quella più commovente, è incentrata sul primo incontro tra mia figlia Napirai – nata il 1° luglio 1989 a Wamba nel nord del Kenya dal mio matrimonio con Lketinga, guerriero samburu (una tribù masai, ndr.), suo padre e tutta la sua famiglia africana.

Quando nell’ottobre del 2008 ho messo un termine alla mia “tournée” di letture in Svizzera tedesca, Germania ed Austria, letture  tratte da “La Masai bianca” e dai successivi due racconti, ero decisa a chiudere questo mio capitolo di vita. Non ho però resistito a lungo. Alla fine del 2008, dopo un viaggio di quattro settimane in India,  mi è tornata la “voglia d’Africa”, il “mal d’Africa”.

Non ho subito pensato ad un quarto libro quando, nel dicembre del 2008, ho risposto senza esitare ad un annuncio pubblicato in una rivista di viaggi.  Un fotografo d’avventure tedesco cercava un’ “autrice/accompagnatrice con tanto coraggio e senso dell’humor per una spedizione a piedi e con i cammelli laddove il mondo è ancora selvatico”. Adoro camminare e lo faccio spesso in alta montagna – anche in Ticino – cosicché il giorno dopo aver letto l’inserzione, ossia il 31 dicembre 2008, ho risposto che ero interessata.

swissinfo.ch: E cos’è successo?

C.H.: L’organizzatore del viaggio mi ha contattata subito, spiegando che avremmo camminato per sei settimane nel deserto della Namibia. Sono stata definitivamente conquistata e nel maggio 2009 sono partita alla volta dell’Africa, cinque anni dopo essere tornata in Kenya – a Barsaloi, paesino del mio ex-marito – per fare da assistente al regista del film tratto da “La Masai bianca.”

Abbiamo percorso 720 chilometri attraverso paesaggi a volte rigogliosi a volte aridi, soffrendo il gran caldo di giorno e il freddo di notte e all’alba. Con noi c’era un ragazzo namibiano di 22 anni. Conduceva due cammelli che trasportavano tende e bagagli. Ho scoperto dei paesaggi stupendi, incontaminati, ho visto animali selvaggi, anche pericolosi, ho conosciuto un popolo stupendo, quello dei nomadi Himba. Ad ogni nostra tappa, arrivavano in massa e ci regalavano la loro gioia di vivere, i loro canti, i loro balli. Ho conosciuto le splendide donne rosse, interamente ricoperte di una specie di polvere d’ocra mischiata all’olio. Si ungono tutto il corpo e le trecce dei cappelli per proteggersi dal sole, dal freddo, dalle intemperie.

Ho provato anche paura quando  mi sono persa in un mare di nebbia, incontrata sorprendentemente anche sulle alture namibiane. Ho sofferto per le profonde vesciche ai piedi. Ho perso dodici chili, ma ho vissuto ogni attimo di questo periplo con la consapevolezza e la gioia di trascorrere un’esperienza unica, indimenticabile.

swissinfo.ch: Un periplo che le ha fatto riscoprire la strada del Kenya…

C.H.: Infatti. Tutto quanto vissuto in Namibia mi ricordava la mia esperienza nella savana del Kenya. Mi è tornata la voglia di rivedere quel paese dove nel 1990 avevo lasciato parte del mio cuore e dov’è nata mia figlia. Non pensavo però di tornare dalla famiglia del mio ex-marito da sola, non avrebbe capito perché neppure questa volta Napirai mi accompagnava. Dovevo quindi aspettare che mia figlia fosse pronta a scoprire le sue radici africane.

L’occasione mi è stata data quando sono andata alla scoperta di un altro Kenya, quello delle baraccopoli, dei milioni di poveri che le abitano attorno a Nairobi, lontano dai circuiti turistici. Klaus, un cameraman tedesco, conosciuto nel 2004 sul set del film “La Masai bianca” a Barsaloi, mi ha proposto di accompagnarlo in un viaggio nella capitale dove, nel corso degli anni, aveva conosciuto persone piene di iniziative e di progetti nell’ambito dello sviluppo e dell’aiuto umanitario.

Sono quindi partita nel febbraio del 2010 alla volta di Nairobi. Lì, lontano dalla modernità e dai quartieri residenziali della città, ho scoperto il mondo degli “slums”, queste gigantesche zone fatte di casupole in lamiera, laddove un milione di essere umani cerca di sopravvivere. Ho conosciuto alcuni progetti sociali come la costruzione di una scuola, di un foyer madre-figli. Ho toccato con mano storie vere, esperienze di vita di una quindicina di donne che prima vivevano sulla strada chiedendo la carità o prostituendosi.

Un’organizzazione le ha aiutate a realizzare i propri sogni, a diventare indipendenti economicamente grazie al sostegno del “microcredito”, sistema di piccolo finanziamento. Una di queste donne ha comperato così una macchina da cucire, si è messa a fare la sarta e dopo tanto lavoro è stata in grado di comperarsi una casetta dove vivere e far crescere dignitosamente i figli. Anch’io, nel mio piccolo, ho costituito una fondazione per raccogliere fondi in aiuto a queste popolazioni africane.

swissinfo.ch: Un’esperienza che l’ha quindi marcata?

C.H.: Sì, profondamente. E vorrei dire a chi legge che qua in Svizzera – o in Europa – non ci rendiamo conto del fatto che abbiamo tutto, che abbiamo un ottimo sistema sociale, previdenziale, sanitario. Non è così in Africa dove la maggior parte della gente può solo contare sul proprio lavoro e sui figli, quando questi sono in grado a loro volta di occuparsi dei genitori. Eppure quella gente che non ha nulla, che lotta per assicurarsi il minimo indispensabile, respira la gioia di vivere.

swissinfo.ch: Ci parli ora della terza parte del libro che tanto le sta a cuore?

C.H.: Da quando ho scritto “La Masai bianca”, incontro lettori che mi chiedono quando pubblicherò il racconto della prima volta di mia figlia in Kenya. Per superare le paure e la timidezza di Napirai e prepararla ad affrontare il suo primo viaggio in Africa, ci sono voluti anni, la lettura delle lettere scambiate con la famiglia di suo padre, i miei racconti. La molla è scattata grazie ad una lettera molto commovente di James, il fratello minore del mio ex-marito che voleva incontrare sua nipote a Barsaloi.

Siamo partite nell’agosto del 2010 e la scoperta della sua terra natia ha sconvolto Napirai. Il primo incontro con suo padre a Maralal è stato commovente e il successivo viaggio fino a Barsaloi le ha permesso di avvicinarsi all’Africa reale, dopo l’idea che se ne era fatta attraverso le mie descrizioni. L’abbraccio tra lei e sua nonna è stato un momento indescrivibile, di grande emozione. Mia figlia ha anche conosciuto le quattro sorellastre e il fratellastro, figli della seconda moglie di suo padre, gli zii, le zie, i cugini. Il legame con loro, con il Kenya è ancora più forte, indissolubile. Ora posso davvero dire che l’Africa è la mia passione.

E’ nata il 4 giugno

1960 a Frauenfeld, nel canton Turgovia, da padre tedesco e madre francese. Dopo le scuole dell’obbligo a Glarona, ha seguito una formazione commerciale. Negli anni Ottanta si è stabilita a Bienne, nel canton Berna, dove ha aperto un negozio di vestiti da sposa di seconda mano.

La sua vita prende una svolta decisiva nel 1986 dopo un vacanza trascorsa in Kenya con il fidanzato svizzero. In un albergo di Mombasa, Corinne conosce Lketinga, un bellissimo guerriero masai che si esibisce in balli folkloristici per turisti. Se ne innamora perdutamente.

Di ritorno a Bienne, Corinne Hofmann rompe il fidanzamento, vende il negozio e riparte per il Kenya. Vi ritrova Lketinga nel paesino di Barsaloi dove si sposano in civile nel 1988. La nascita di Napirai, nel luglio del 1989, non migliora però una situazione resa tesa dalla gelosia di Lketinga, dalla sua tendenza a bere e dai problemi di salute di Corinne, messa a dura prova da condizioni di vita quasi estreme.

Nel 1990, con la scusa di fare conoscere la figlia alla sua famiglia, Corinne riesce a tornare in Svizzera con la bambina. Da lì avvisa il marito della decisione di non tornare in Africa e dalla volontà di divorziare.

Negli anni successivi il suo ritorno, lavora come assicuratrice e, pur crescendo sola la figlia, non smette mai di aiutare finanziariamente l’ex-marito e la famiglia. Il successo arriva nel 1998 quando la casa editrice tedesca A1 Verlag pubblica il suo racconto “La Masai bianca”. Tradotto in 17 lingue, il libro diventa un best-seller di cui ne vengono vendute tre milioni di copie. Nel 2004, ne viene tratto anche un film.

Nel 2002, la scrittrice sceglie di stabilirsi a Lugano. Rispondendo alla pressione dei suoi lettori, scrive la sua vita dopo la parentesi keniana: “Zürick aus Afrika”. Il terzo libro “Wiedersehen in Barsaloi” esce nel 2005 e narra il ritorno di Corinne Hofmann in Kenya, 14 anni dopo la sua partenza. Questi due libri sono stati tradotti in francese (Retour d’Afrique” presso le edizioni “Presses du Belvédère” di Sainte-Croix e “Retrouvailles au Kenya” presso le edizioni Pierre-Marcel Favre), ma non in italiano.

Afrika, meine Passion”,  il suo quarto libro, è stato pubblicato lo scorso 25 maggio da A1 Verlag. Il 22 giugno ha raggiunto il primo posto delle vendite in Svizzera tedesca. Di questa sua ultima fatica, Corinne Hofmann, ormai luganese d’adozione,  spera di vedere presto una versione italiana.

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