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Ikea: addio al fondatore, creò il design per tutti

Il fondatore dell'Ikea Ingvar Kamprad (foto d'archivio) KEYSTONE/DPA/CHRISTIAN HAGER sda-ats

(Keystone-ATS) Ha arredato le case di milioni di persone con mobili low cost dai nomi esotici e a volte impronunciabili come Ektorp, Docksta, Malm, Klippan, rendendo il design democratico e per tutti. La Svezia dice addio al fondatore dell’Ikea Ingvar Kamprad.

Una vita, la sua, intrecciata a quella del colosso dell’arredo, fondato all’età di appena 17 anni e diventato un impero globale ma anche un’icona di cultura pop.

L’intuizione dei mobili a basso prezzo da montare a casa si rivelò vincente e i megastore dipinti in blu e giallo come la bandiera svedese sono diventati da anni parte del paesaggio urbano in tutto il mondo. Chissà se Kamprad, nato nel 1926 e scomparso a 91 anni, aveva sognato tutto questo quando iniziò la sua avventura imprenditoriale nella fattoria di famiglia, dopo avere mosso i primi passi negli affari vendendo fiammiferi porta a porta.

Descritto come frugale, quasi al limite della taccagneria, ed essenziale nella vita quotidiana come le linee dei suoi mobili, Kamprad era noto per guidare una semplice Volvo, fare la spesa nei mercati verso l’ora di chiusura per strappare qualche prezzo scontato, vestire in maniera poco appariscente. Tutto il contrario, insomma, del cliché del magnate.

Forbes lo inserì nella lista dei più ricchi del pianeta, considerando il valore miliardario dell’Ikea, proprietà tuttavia di una fondazione il cui statuto prevede che i proventi siano reinvestiti in azienda o dati in beneficenza, facendogli guadagnare la fama di filantropo. Ben più modesto, in realtà, il patrimonio personale di Kamprad pari “solo” a 113 milioni di dollari.

Nella sua vita non mancarono anche aspetti controversi, su tutti una sua giovanile simpatia per il nazismo e la militanza a inizio anni ’40 nel partito d’estrema destra Nysvenska Roerelsen (New Swedish Movement). Macchie che in seguito l’imprenditore tentò di scrollarsi di dosso derubricandole a “errori di gioventù”, ma le cui ombre lo accompagnarono fino agli ultimi anni.

Tra i passi contestati, in una carriera imprenditoriale peraltro considerata geniale, ci furono poi alcune strategie per tagliare i costi del lavoro e la sua decisione di trasferire la residenza in Svizzera per evitare di pagare le tasse all’esigente fisco svedese, negli anni ’70. Sarebbe rientrato in patria solo dopo la morte della moglie Margaretha, nel 2011.

Tutto ciò non ha impedito che la sua catena di negozi diventasse un vero e proprio ambasciatore della Svezia, promuovendo uno stile, i suoni insoliti della lingua e perfino i cibi tradizionali come le polpette di carne servite nei ristoranti. Ed è così che hanno voluto ricordarlo nel suo Paese. È stato “un vero imprenditore” – l’ha omaggiato re Carlo XVI Gustavo – che ha portato la Svezia nel mondo. “Il suo sogno era creare una vita migliore per la maggioranza delle persone – l’epitaffio pubblicato sul sito della multinazionale -, la nostra promessa è di continuare a farlo vivere”.

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