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Iraq: a 10 anni da morte di Saddam

Saddam Hussein in una vecchia foto, quando ancora era sostenuto dagli USA KEYSTONE/AP/ZUHEIR SAADE sda-ats

(Keystone-ATS) Domani, venerdì, saranno trascorsi 10 anni da uno degli anniversari meno gloriosi della storia recente: l’impiccagione di Saddam Hussein, il cui spettro pesa ancora come un “memento” del fallimento Usa in Iraq.

Gli americani erano andati per “esportare la democrazia” e hanno creato il caos, terreno fertile per gruppi terroristici come Isis.

La fine del raiss iracheno – solo formalmente decisa da un tribunale di Baghdad ma con il placet di Washington – innescò il processo di dissoluzione dell’Iraq avviato dall’emissario Paul Bremer che decise come prima mossa di sciogliere sia l’esercito che il partito Bath, gli unici elementi unitari dell’Iraq.

Quando Saddam venne impiccato il 30 dicembre 2007 l’allora presidente George W. Bush già sapeva che l’invasione dell’Iraq, che era già costata la vita a 3.000 soldati, non aveva portato ai progressi sperati.

La democrazia che Bush è la sua cerchia neo-con volevano esportare si trasformò in un incubo di sanguinarie lotte interconfessionali fatte di vendette tra la maggioranza sciita, vittima di Saddam, e la minoranza sunnita, al potere nei suoi anni di regime. Il tutto portando al potere gli sciiti che alla fine hanno subito e subiscono più l’influenza dell’Iran, culla dello sciismo, che degli Stati Uniti. In sintesi un fallimento totale contando anche il fatto che le vendette degli sciiti ha alimentato il risentimento dei sunniti, creando il terreno di coltura di Isis.

Non solo. Il fallimento in Iraq ha anche condizionato il presidente Barack Obama che decise nel 2011 di riportare a casa precipitosamente tutte le truppe Usa da uno Stato ancora debole, dando spazio agli estremisi e ai regolamenti di conti Non solo. Lo spinse – malgrado le celebri “linee rosse” che Bashar Assad non avrebbe dovuto varcare e che invece oltrepassò incurante delle sterili minacce di Obama – a non intervenire mai in Siria e oggi paga la prudenza e la riluttanza ad agire vedendo gli Usa scavalcati e marginalizzati dai nuovi protagonisti in Siria: Russia, Iran e Turchia. Sono questi tre Paesi, con la centro Mosca, ad aver concluso quella tregua che Washington, l’Onu, l’Ue hanno inseguito vanamente per anni.

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