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Stretta di Putin sul web, la Russia blocca LinkedIn

I servizi di LinkedIn bloccati in Russia. KEYSTONE/AP/PAUL SAKUMA sda-ats

(Keystone-ATS) Nuovo giro di vite di Putin su internet, l’ultimo bastione rimasto per il dissenso in Russia. A farne le spese questa volta è LinkedIn, un noto social network per lo sviluppo dei contatti professionali.

Roskomnadzor, l’ente governativo russo preposto al controllo dei mass media e delle telecomunicazioni, ha annunciato di aver ordinato agli internet provider di bloccare il sito web. Tempo a disposizione: 24 ore. Il motivo? Aver violato la normativa sul trattamento dei dati personali che obbliga ad archiviare i dati degli utenti russi in server che si trovino fisicamente nel territorio russo.

Per LinkedIn – che in Russia ha circa 6 milioni di utenti – si tratta di un duro colpo, ma secondo alcuni osservatori questa stoccata potrebbe anche essere una mossa per iniziare a scandagliare le acque prima di gettare l’amo verso pesci molto più grossi. Sono insomma avvisati giganti come Facebook, Twitter e Google (Gmail), che non hanno ancora obbedito alle direttive di questa controversa legge approvata dalla Duma (il parlamento russo) nel luglio del 2014 (nell’ultima seduta prima delle ferie estive) ed entrata in vigore più di un anno dopo, il primo settembre 2015.

Secondo il Cremlino, “non ci sono timori” di censura. Ma la realtà – stando ad alcuni esperti – è che con i dati degli utenti russi sotto chiave, per gli enti governativi e per i servizi segreti di Mosca sarà più facile accedere alle informazioni sui soggetti finiti nel loro mirino.

Un caso emblematico in tal senso è quello di VKontakte (Vk), una sorta di ‘Facebook russo’. Il suo fondatore, Pavel Durov, nel 2014 fu sollevato dall’incarico di amministratore delegato della sua stessa società, che adesso, guarda caso, è controllata da un miliardario vicino al Cremlino, Alisher Usmanov. Il sospetto è che la ragione del ‘licenziamento’ sia tanto semplice quanto indicativa di come vanno le cose a Mosca e dintorni: Durov si era ripetutamente rifiutato di collaborare con i servizi segreti russi (Fsb) per bloccare i gruppi di opposizione su Vk e per fornire i dati personali degli organizzatori del gruppo EuroMaidan, che ha dato il via alle proteste di massa in Ucraina del 2013-2014.

Il congelamento di LinkedIn comunque non arriva inaspettato. Il social network era da tempo un sorvegliato speciale per Roskomnadzor e la settimana scorsa un tribunale di Mosca aveva respinto il ricorso della società americana contro il blocco in Russia già chiesto dalle autorità.

In ogni caso per LinkedIn non tutto è perduto: i suoi manager sono in contatto con i dirigenti di Roskomnadzor e hanno già chiesto ai russi un incontro, evidentemente per trovare un compromesso, mentre lo stesso consigliere del Cremlino per le questioni che riguardano internet, Ghennadi Klimenko, si è detto ottimista sul fatto che verrà trovato un accordo. Inoltre Microsoft – che sta acquistando LinkedIn – si sta già allineando al volere di Putin, e ha presentato a Roskomnadzor un rapporto sul trasferimento in Russia dei server con i dati degli utenti russi. “La questione adesso è chiusa”, ha assicurato il capo dell’ente statale, Aleksandr Zharov, incontrando pochi giorni fa a Mosca il vice presidente del colosso americano, Steve Crown.

A preoccupare è piuttosto il modo in cui il Cremlino sta da tempo stendendo una fitta rete di controllo sul web. Il recente pacchetto di misure antiterrorismo che porta il nome della deputata Irina Yarovaya, per esempio, prevede provvedimenti da Grande Fratello per gli operatori telefonici e i provider internet, che sono costretti a conservare per sei mesi i dati di traffico fra gli utenti (inclusi foto, video, audio e messaggi) e per tre anni i metadati: informazioni preziose per le autorità russe. Probabilmente non solo per la lotta al terrorismo.

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