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Turchia: via processi ai capi di Amnesty, rischiano 15 anni

Idil Eser, direttrice di Amnesty International in Turchia. Keystone/AP Amnesty International Turkey/ sda-ats

(Keystone-ATS) Si apre oggi a Istanbul il processo nei confronti della direttrice di Amnesty International in Turchia, Idil Eser, e altri 9 attivisti per i diritti umani, che rischiano fino a 15 anni di carcere con accuse di “associazione terroristica”.

Alla sbarra ci sono anche due stranieri, il tedesco Peter Steudtner e lo svedese Ali Gharavi, detenuti da inizio luglio insieme ad altri sette imputati, tra cui la stessa Eser, dopo un blitz in una riunione sull’isola di Büyükada, al largo di Istanbul. Secondo la procura, avrebbero avuto in programma di fomentare il caos “con violenze simili a quelle di Gezi Park” durante la “marcia per la giustizia” da Ankara a Istanbul, condotta tra giugno e luglio dall’opposizione turca.

Avrà invece inizio domani a Smirne il processo al presidente di Amnesty in Turchia, Taner Kilic, accusato di “associazione terroristica” per sospetti legami con la presunta rete golpista di Fethullah Gülen. Anche lui rischia 15 anni.

Amnesty respinge con forza tutte le accuse ai suoi membri. “È stato chiaro sin dal momento dell’arresto che siamo di fronte a procedimenti di natura politica aventi l’obiettivo di ridurre al silenzio le voci critiche della Turchia”, ha dichiarato il direttore per l’Europa dell’ong, John Dalhuisen.

“Le autorità turche hanno cercato di montare un caso contro gli 11 difensori dei diritti umani con accuse prive di sostanza e di fondamento. Tre mesi dopo l’arresto, la pubblica accusa non ha portato alcuna prova. Non ci dovrebbe volere neanche mezz’ora al giudice per archiviare tutto”, ha aggiunto Dalhuisen. Secondo Amnesty, i magistrati userebbero come presunte prove normali attività in favore dei diritti umani.

Per quanto riguarda Kilic, i magistrati lo accusando di aver scaricato ByLock, un app di messaggistica per smartphone ritenuta prova di legami con i ‘gülenisti’. Una circostanza che Amnesty nega, portando come prova due perizie “indipendenti” sul cellulare di Kilic, che fu anche legale del blogger italiano Gabriele Del Grande durante il suo fermo nella scorsa primavera.

“Questi due processi costituiranno una prova decisiva per il sistema giudiziario turco e il loro esito ci dirà se stare dalla parte dei diritti umani sia diventato o meno un reato in Turchia. Gli occhi del mondo osserveranno i processi di Istanbul e Smirne”, ha concluso Dalhuisen.

Nelle ultime settimane è cresciuta la pressione internazionale a sostegno degli imputati. Oltre a diverse ong, anche il Consiglio d’Europa e il Parlamento europeo hanno chiesto il loro rilascio. Appelli analoghi sono giunti da Germania e Svezia per i loro cittadini detenuti e da altre istituzioni internazionali.

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